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venerdì, Dicembre 27, 2024
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2024: UN ANNO DI SCOPERTE ARCHEOLOGICHE.

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venerdì, Dicembre 27, 2024

L’anno che sta per chiudersi è stato ricchissimo di importanti scoperte archeologiche che hanno contribuito a gettare nuova luce su alcuni aspetti dello straordinario passato storico dell’umanità. Come di consueto, dedichiamo l’articolo finale dell’anno con un resoconto delle scoperte avvenute nel mondo.

L’Egitto e Pompei hanno fatto la parte del leone; l’Egitto in quanto gli scavi sia a Saqqara che a Taposiris Magna proseguono senza sosta, e sappiamo quanto ci sia ancora da scoprire sotto le sabbie della Terra dei Faraoni; Pompei in quanto gli scavi in corso nella Regio IX continuano a regalare ritrovamenti di stanze affrescate elegantemente, oltre ad oggetti raffinati, i quali confermano la ricchezza dell’antica città campana, vista dalla terrazza della Villa di Plinio, recentemente scoperta a Miseno.

E che dire della più antica mappa stellare ritrovata nel Carso Triestino? O del ritrovamento del muro difensivo costruito in Aspromonte dai Romani per sbarrare il passo all’esercito di Spartaco? Sapevate che a Narbonne, in Francia, un intero quartiere romano sarà distrutto per far posto ad un condominio?

E se al largo di Israele è stato scoperto uno dei più antichi relitti del mondo che andrebbe a rivoluzionare le nostre conoscenze sulle abilità marinare degli uomini dell’Età del Bronzo, a Roma, durante i febbrili lavori che dovrebbero consentire alla città di far bella figura (?) in occasione del Giubileo 2025, sono stati ritrovati una grossa lavanderia e i resti del Portico di Caligola.

Rimanendo in tema di imperatori, a Somma Vesuviana sembra sia stata rinvenuta la villa dove morì Augusto.

Non potevano mancare scoperte relative alla Pietra dell’Altare, nel misterioso sito di Stonehenge o alla Sala di Re Artù in Cornovaglia: in entrambi i casi esse hanno corretto ipotesi andate avanti per decenni.

Stesso discorso sulla fortezza di Masada, in Israele, pietra miliare dell’orgoglio nazionalista del moderno Stato ebraico: recenti scoperte basate su modelli 3D, hanno evidenziato che fu conquistata dai Romani in poche settimane e non in tre anni, come si è sempre creduto.

La tecnologia LIDAR (Light Detection and Ranging), ha permesso, inoltre, di ritrovare una città perduta in Amazzonia, mentre il metal detector di un cacciatore di tesori rumeno ha individuato, in Transilvania, un rarissimo gladio romano in eccellenti condizioni di conservazione.

Mentre in Danimarca vengono rinvenuti, in un cimitero vichingo, i resti di una donna sepolta su un carro, in Grecia gli studiosi individuano il ritratto realistico di Costantino XI, l’ultimo imperatore di Costantinopoli.

Questi alcuni esempi di ciò che troverete in questo nuovo articolo per la Rubrica “La Stele di Rosetta”, a dimostrazione che l’Archeologia è più viva e vitale che mai. Motivi di spazio e leggibilità ci hanno costretto, a malincuore, ad operare una scelta tra l’incredibile numero di scoperte avvenute, tutte importantissime ed alcune anche spettacolari. Nonostante tutto, l’elenco risultante rimane ancora di ragguardevole lunghezza, anche perché, a differenza dello scorso anno, abbiamo optato per più di due esempi per ogni mese. Il lettore potrà, comunque, dare un’occhiata all’indice dei contenuti e scegliere quelli di maggior interesse.

La “Stele di Rosetta” proseguirà anche il prossimo anno con nuovi, appassionanti articoli. L’Autore augura a tutti i lettori di IQ Buone Feste e Buon 2025!

INDICE DEI CONTENUTI:

GENNAIO

FEBBRAIO

MARZO

APRILE

MAGGIO

GIUGNO

LUGLIO

AGOSTO

SETTEMBRE

OTTOBRE

NOVEMBRE

DICEMBRE

GENNAIO

Saqqara (Egitto): scoperta una necropoli rupestre della II dinastia


Potevamo non cominciare con l’Egitto? Certamente no. Ed è per questo che iniziamo questa rassegna parlando del sito archeologico di Saqqara che, ancora una volta, è tornato a far parlare di sé con la scoperta di una necropoli rupestre utilizzata a partire dalla II dinastia ad opera della missione archeologica congiunta egiziano-giapponese del Consilio Supremo delle Antichità Egiziane e dell’Università di Waseda.

Si tratterebbe di tombe rupestri pressoché intatte, usate per quasi tutta la storia egiziana: le più antiche risalgono, infatti, alla II dinastia (2900-2700 a.C.) – datazione effettuata grazie allo studio comparato degli elementi architettonici e di quelli del corredo – per arrivare a sepolture di Epoca Tolemaica e Tarda, come testimoniano il riuso di un sarcofago della XVIII dinastia e un vaso in alabastro.

Oltre ad aver rinvenuto i resti antropologici di uomini e subadulti (non ancora adulti; è termine usato per indicare un individuo completamente sviluppato ma non ancora sessualmente maturo, e quindi non ancora in grado di riprodursi) – in particolare si segnala la sepoltura di un uomo con maschera colorata -, la missione egiziano-giapponese ha portato alla luce numerosi elementi di corredo: due statuette in terracotta della dea Iside con resti del dio Arpocrate mentre cavalca un uccello, una maschera con elementi colorati bianchi e verdi, amuleti in faience della dea Iside e del dio Bes, un frammento di ushabti con iscrizione geroglifica, una lucerna in ceramica e un ostrakon con iscrizioni in ieratico.

Spello (Umbria): scoperto un tempio romano intitolato alla famiglia di Costantino

La cosiddetta Porta Venere, a Spello, con i fornici di età augustea e le torri medievali in travertino.

A Spello, in Umbria, sono stati trovati i resti di un tempio romano di età costantiniana. Lo studio è stato presentato durante l’incontro annuale dell’Archaeological Institute of America, condotto dai ricercatori della Saint Louis University. Il tempio costituisce una testimonianza importante del culto pagano in un’epoca di diffusione del cristianesimo.

L’archeologo Douglas Boin, a capo dello scavo, ha affermato che questa scoperta rivelerebbe una significativa continuità tra il paganesimo classico e il mondo romano paleocristiano, due realtà che spesso vengono confuse nel panorama storico.
Il gruppo di ricerca ha basato la propria analisi dei resti, ritrovati sotto un parcheggio cittadino, sulla base del rescritto di Costantino, del 336 (due tavole in pietra conservate in città) che concedeva agli Umbri, attraverso la mediazione della colonia di Hispellum, di celebrare nel proprio territorio i riti e le manifestazioni ludiche connesse ad antiche consuetudini che li legava alla Tuscia e all’antico centro etrusco di Volsinii.

Foto aerea scattata da Douglas Boin.

L’imperatore nell’occasione attribuì alla città l’appellativo di “Flavia Constans” e dispose la costruzione di un tempio dedicato al culto della gens Flavia, ossia la propria famiglia.
Gli archeologi sono convinti che il tempio ritrovato sia proprio quello costantiniano. “Questo ritrovamento – commenta Boin – evidenzia l’esistenza di un culto imperiale sotto un sovrano cristiano”. Nel 2018 aveva aperto al pubblico la Villa dei Mosaici, una delle scoperte archeologiche più importanti in Umbria degli ultimi decenni.

Rupinpiccolo (Carso triestino): rinvenuta una pietra utilizzata come mappa stellare. Sarebbe la più antica mai scoperta

Il disco di pietra e le relative incisioni, dall’articolo scientifico.

La pietra è stata rinvenuta nella fortezza protostorica di Rupinpiccolo (il periodo di transizione tra la preistoria e la più antica storia documentata) nel nord-est dell’Italia. Su di essa ci sono segni di scalpello e si è subito pensato che quelle incisioni potessero rappresentare alcune delle stelle più luminose del cielo notturno. Così il team ha utilizzato l’analisi statistica rispetto ad asterismi astronomici noti con risultati che hanno mostrato pochi errori.

Vista a campo largo in luce visibile della regione della Cintura di Orione e della Nebulosa Fiamma.

I segni incisi sulla pietra sono in tutto 29. Nove di loro corrispondono alla coda dello Scorpione, cinque rappresentano Orione, comprese le stelle della cintura Betelgeuse e Rigel, e altri nove sembrano essere correlati all’ammasso delle Pleiadi. Sul retro sono presenti altri cinque segni che potrebbero rappresentare Cassiopea. L’assenza di un paio di stelle importanti e la presenza di un oggetto non identificato lasciano ancora un piccolo dubbio, ma comunque 28 incisioni che corrispondono alle posizioni di 28 stelle devono essere molto più di una semplice coincidenza.

Comunque per capire se queste incisioni rappresentino veramente una mappa stellare antica ci sarà bisogno di ulteriori analisi. Ad ogni modo si stima che i segni sulle pietre risalgano ad un periodo compreso tra il 1800 e il 400 a.C. Se la teoria dovesse essere confermata al 100% allora sarebbe una delle più antiche mappe del cielo mai trovate.

Mar Nero (Bulgaria): scoperti i relitti di 60 antiche navi. Una è la più antica del mondo. Alcune hanno forme sconosciute

Il Mar Nero si sta rivelando un vero e proprio scrigno di testimonianze archeologiche di enorme valore. Un vero e proprio gigantesco museo sottomarino. Le caratteristiche delle sue acque profonde, povere di ossigeno, hanno consentito la conservazione di un gran numero di relitti navali, come le sessanta imbarcazioni individuate sui fondali di quel mare, al largo della Bulgaria, da una squadra di ricercatori intenti a studiare gli effetti dei cambiamenti climatici. Alcune di queste navi avrebbero forme mai viste prima.
Gli scafi risalirebbero a varie epoche, da quella romana a quelle bizantina e ottomana. Soprattutto il relitto romano sarebbe in eccezionali condizioni, nonostante i due millenni trascorsi nell’elemento liquido.

Ora gli esperti stanno studiando le navi, cosa che potrebbe richiedere anni. Ovviamente, per motivi di sicurezza, l’area precisa, dove è stata fatta la scoperta, viene tenuta segreta.
Quella del Mar Nero potrebbe essere dunque, come hanno spiegato taluni studiosi, la scoperta di Archeologia subacquea più importante del nostro secolo. Il ritrovamento è stato effettuato nell’ambito del “Black Sea Project”, condotto dalla facoltà di Archeologia Marittima dell’Università di Southampton e finanziato dall’EEF (Expedition and Education Foundation).

Miseno (Bacoli): scoperti resti di una villa romana. Da qui Plinio il Vecchio osservò l’eruzione del Vesuvio?

Il sito in cui è stato portato alla luce il complesso della villa romana a Bacoli, in Italia. Si ritiene che la villa risalga al I secolo circa.

Alcuni lavori di scavo per la riqualificazione della villa comunale a Punta Sarparella hanno portato alla luce i resti di una villa romana di epoca imperiale, affacciata sul mare. Databile intorno al I secolo d.C., “realizzata in opera reticolata di cubilia di tufo assai ben costruita, che si estende senza soluzione di continuità fino alla spiaggia e ai fondali antistanti”, della villa sono stati individuati una decina di ambienti di grandi dimensioni, riconducibili a diverse fasi edilizie, con piani di calpestio e tracce di rivestimento murario che fanno pensare a reiterate ristrutturazioni.

Ma l’elemento più suggestivo, secondo l’ipotesi avanzata dalla stessa Soprintendenza Archeologia, Arti e Paesaggio per l’Area Metropolitana di Napoli, che si è occupata di condurre e mettere in sicurezza di scavi, ricondurrebbe proprio alla presenza di Plinio il Vecchio a Miseno, nel 79 d. C.: quanto rinvenuto finora, infatti, sarebbe pertinente a una delle terrazze della residenza del Prefetto della Flotta romana del Tirreno, la Classis Misenensis, incarico ricoperto all’epoca da Plinio. Da Punta Sarparella, posizione privilegiata che garantisce un’ampia veduta sul Golfo di Napoli, Plinio il Vecchio avrebbe visto l’eruzione, prima di salpare alla volta di Stabia, per soccorrere gli abitanti delle diverse città costiere.

Infatti, come sappiamo dal racconto di suo nipote Plinio il Giovane in una lettera indirizzata a Tacito, il 24 ottobre del 79, mentre si trovava a Miseno alla guida della flotta romana stanziata nel golfo, Plinio fu attratto da una gigantesca colonna di fumo che si innalzava dal vulcano, e decise di avvicinarvisi per poter studiare il fenomeno. E avvertito del pericolo in cui versavano alcuni amici proprietari di una villa nei pressi di Stabia decise di correre in loro soccorso via mare, spingendosi con le sue triremi dove l’aria era più impregnata di fumi ed esalazioni mortali, che gli procurarono la morte per soffocamento, all’età di 56 anni.

FEBBRAIO

Ercolano (Campania): l’AI legge i papiri carbonizzati

I rotoli di papiro carbonizzati ritrovati a Ercolano sono impossibili da aprire, ma le scansioni a raggi X possono rivelarne il contenuto. Credit: UK Photo.

A febbraio, i ricercatori hanno annunciato di aver usato un sistema di intelligenza artificiale per leggere parti di un rotolo di papiro di 2.000 anni fa bruciato con l’eruzione del Vesuvio del 79 d.c. – la stessa eruzione vulcanica che distrusse Pompei . Il rotolo è uno dei circa 1.800 papiri scoperti nel XVIII secolo tra i resti di Ercolano, antica città romana a circa 16 chilometri da Pompei, distrutta dall’esplosione di cenere, roccia e gas surriscaldati del vulcano.

L’eruzione ha ridotto i papiri a grumi carbonizzati che si pensava fossero illeggibili. Ora gli scienziati hanno scansionato uno di quei campioni con i raggi X, utilizzando l’intelligenza artificiale per decifrarne il contenuto. I brani decifrati – 11 colonne di testo, per un totale di oltre 2mila caratteri – parlano di musica, cibo e, in generale, di piacere, che è, per così dire, il bene supremo della filosofia epicurea. Potrebbero essere parole del filosofo greco Filodemo, che visse nella villa di Ercolano che ospitava i rotoli di papiro, o di un altro esponente dell’epicureismo.

Parte delle colonne svelate dei papiri di Ercolano.

Quanto letto finora corrisponde a circa il 5% dell’intero rotolo. La traduzione preliminare consente di dire che si tratta di un’opera inedita, non di un duplicato di un testo già conosciuto. In questi brani l’autore si interroga sul piacere e su cosa può influenzarlo, per esempio il cibo. E poi si chiede se le cose rare diano più piacere di quelle che si possiedono in abbondanza, concludendo che non è così, ma che per l’essere umano sembra più facile e naturale fare a meno delle cose che abbondano. Il testo decifrato corrisponde alla fine del rotolo e si conclude con la frase “tali domande saranno riprese in considerazione frequentemente”, suggerendo che si siano rotoli successivi sullo stesso tema.

Ci sono centinaia di rotoli di papiro di Ercolano sigillati ancora da leggere che potrebbero celare opere di Aristotele considerate perdute, oppure della poetessa Saffo o – chissà – magari di Omero. Si pensa anche che gran parte della biblioteca della villa dei papiri di Ercolano possa essere ancora sotto terra e la possibilità oggi concreta di ricavare informazioni preziosissime da quei rotoli potrebbe dare l’impulso per nuovi scavi.

Pompei (Campania): la Villa dei Misteri regala ancora sorprese. Scoperto un nuovo complesso

Continua a regalare meraviglie Pompei, dove recenti indagini nell’area della Villa dei Misteri hanno portato alla scoperta di un nuovo complesso di epoca romana. Il ritrovamento è avvenuto dopo la demolizione di una casa abusiva, con l’emersione di alcuni cunicoli dei tombaroli. “È stato scoperto un muro con una breccia dal quale si entra in un criptoportico, in una parte non scavata da Maiuri: erano i locali servili della Villa dei Misteri”, ha annunciato il direttore del Parco archeologico Gabriel Zuchtriegel, nel corso di un incontro di aggiornamento sulle collaborazioni tra Procura di Torre Annunziata e Parco Archeologico di Pompei, che hanno di recente rinnovato un protocollo d’intesa.

Sono stati trovati oggetti che non sono normalmente oggetto di studi archeologici, ma che possono essere utili a capire come si datano queste attività che sono molto dannose e al momento occorrono studi più accurati. “Dalla sovrapposizione delle piante disponibili – dice ancora il direttore del Parco archeologico di Pompei – si comprende che il muro che incrocia uno dei cunicoli è il muro di contenimento della Villa dei Misteri, che doveva correre lungo una strada a Nord della villa e a Sud abbiamo questo altro muro”.

MARZO

Dahshur (Egitto): scoperta sotto terra una mastaba ricca di affreschi di 4300 anni fa.

Image Credit : Ministry of Tourism and Antiquities.

La missione archeologica egiziano-tedesca dell’Istituto tedesco di Archeologia, guidata dal Dr. Stefan Zeidelmeier, è riuscita a scoprire un antico complesso funerario, durante i suoi lavori nella regione archeologica del Dahshur, conosciuta per la presenza di piramidi e necropoli. Si trova sull’altopiano deserto occidentale.
Gli scavi a Dahshur, come hanno affermato le autorità egiziane, hanno permesso di scoprire una mastaba costruita in mattoni di fango, contenente anche importanti dipinti e rilievi, che apparteneva a un alto funzionario di Stato, Neb-neb-af e alla moglie Idut , che vissero tra la fine della V e l’inizio della VI dinastia, cioè attorno al 2350 a. C.

La màstaba è un particolare tipo di tomba monumentale realizzata durante le prime fasi della civiltà egizia. Di fatto ha la forma della base di una piramide. E un tetto piatto.
Le màstabe servivano essenzialmente come casa per l’anima, dopo la morte, e ospitavano sepolture familiari con diversi pozzi sepolcrali che fungevano da “stanze”. Una seconda camera conosciuta come serdab sarebbe stata utilizzata per contenere oggetti essenziali per il defunto, come vestiti, oggetti preziosi, birra e grano.

Image Credit : Ministry of Tourism and Antiquities.

Secondo il dottor Stefan Zeidelmeier, ex direttore dell’Istituto tedesco di archeologia e capo della missione, Neb-neb-af ricopriva diversi titoli nel palazzo reale tra i quali quello di amministratore del palazzo stesso (khentyu-shi), mentre sua moglie aveva il titolo di sacerdotessa di Hathor.

Hisham Al-Laithi, segretario generale del Consiglio Supremo di Archeologia e capo del Dipartimento di Conservazione e Registrazione dei Beni archeologici, ha aggiunto che l’importanza della mastaba portata alla luce risiede anche nei magnifici dipinti di vita quotidiana che si sono conservati come la raccolta del grano, le navi che solcano Nilo, il mercato e le offerte, gli animali realizzati con grande realismo. Il tutto per delineare un mondo ricco e felice. Un al di qua il cui meglio veniva proiettato nell’Aldilà.

Narbonne (Francia): demoliscono officina. E, sotto, le scoperte. Torre e affreschi. Un quartiere romano che verrà cancellato. Sorgerà un condominio

Una stanza affrescata con imitazione di marmi rari, scoperta durante gli scavi. Il soffitto, crollato, era chiaro, con motivi vegetali . © Flore Giraud, Inrap.

Lo scavo, condotto dall’Istituto nazionale francese per le ricerche archeologiche preventive (Inrap), si è svolto al quai d’Alsace, lungo il fiume Robine. E’ stato dopo l’abbattimento delle vecchie officine della società Guille wood, in vista della realizzazione di un condominio con 118 appartamenti, che gli archeologi dell’Inrap hanno portato alla luce resti sorprendenti, tra i quali la torre del porto fluviale, domus con stanze affrescate, magazzini, sistemi di deumidificazione degli spazi per la conservazione di prodotti – probabilmente granaglie – ottenuti con un vespaio formato da anfore, che impediva il contatto con la terra bagnata della zona.

Il porto, al quale si giungeva con imbarcazioni dalla chiglia piatta era un punto di scambio intermodale tra il mondo dei trasporti marini e di quelli terrestri e fluviali. Era protetto da mura – gli archeologi ne hanno portato alla luce un tratto di 30 metri – e da una torre circolare.

Anfore praticamente intere sono state trovate in un vespaio realizzato per evitare che l’umidità del terreno fluviale raggiungesse i magazzini. © Jean-Baptiste Jamin, Inrap.

Lo scavo si è svolto in un’area periferica della città antica, urbanizzata intorno al 50 d.C., più di un secolo e mezzo dopo la fondazione della Colonia Narbo Martius nel 118 a.C. È composto da diversi isolati urbani, scanditi da tre strade e un vicolo, dotati di tubazioni che garantivano l’evacuazione delle acque piovane e reflue, alcune delle quali si intersecano. Il quartiere subì diverse riqualificazioni durante la sua fase di occupazione (dalla metà del I secolo fino al III secolo e poi – dopo una fase di abbandono – nel IV e V secolo).

Gli edifici ricostruiti sembrano legati ad altre attività. Così, una stanza con pareti particolarmente ben conservate, alte quasi 80 cm, è decorata con rivestimenti dipinti. Il loro disegno imita le lastre di marmo mentre il soffitto era decorato con intrecci vegetali su fondo bianco. Questo insieme sarà cristallizzato dai restauratori e integrerà, dopo gli studi, le collezioni del museo di Narbo Via grazie ad un accordo di deposito che vincola lo Stato e l’EPCC Narbo”.

Il Museo di Narbo Via.

E i resti romani che fine faranno? In buona parte saranno distrutti, ad esclusione di quelli notevoli. Le strutture individuate durante la diagnostica e gli scavi archeologici preventivi sono destinate alla distruzione, una volta documentate, per far posto a nuove costruzioni. – dicono gli archeologi dell’Inrap – Considerando l’eccezionalità delle scoperte effettuate sul Quai d’Alsace, il Gruppo SM – l’azienda immobiliare – ha deciso di modificare il proprio progetto di sviluppo, al fine di garantire la conservazione dei resti dell’antico recinto (torre e cortina muraria), che sarà essere quindi integrati nella realizzazione futura.

Çatal Hüyük (Turchia): scoperta una pagnotta di pane di 8.600 anni che potrebbe essere il pane più antico mai trovato

La pagnotta di Çatal Hüyük.

Questo ritrovamento potrebbe stabilire un nuovo record per il pane più antico mai trovato. Il team di archeologi, guidato dal dottor Ali Umut Türkcan dell’Università di Anadolu, ha pubblicato uno studio dettagliato su questo reperto unico. La scoperta è avvenuta in una fornace di Çatal Hüyük di cui ci siamo già occupati in un precedente articolo), dove inizialmente l’oggetto non era stato identificato. Tuttavia, le analisi hanno rivelato che si trattava di un impasto fermentato e cotto risalente al 6.600 a.C.

Lo scavo nel sito neolitico di Çatal Hüyük in Anatolia – Università Necmettin Erbakan.

La pagnotta, di forma rotonda e di consistenza spugnosa, è stata trovata nell’angolo di un forno, sorprendentemente ben conservata grazie a un sottile strato di argilla, come sottolineato da Türkcan, che ha evidenziato l’importanza di Çatal Hüyük come sito chiave per la comprensione delle prime forme di urbanizzazione e della cultura alimentare
Il dottor Türkcan sottolinea come l’Anatolia sia stata una culla fondamentale per l’archeologia alimentare, con Çatal Hüyük che rappresenta un punto di riferimento essenziale in questo ambito.

Ma emerge una domanda: è davvero il pane più antico al mondo?
Questa affermazione viene messa in dubbio dalla scoperta, avvenuta nel 2018, di una focaccia di 14.400 anni nel Deserto Nero in Giordania. Tuttavia, la pagnotta di Çatal Hüyük rimane unica nel suo genere, essendo un vero e proprio pane fermentato a differenza del pane azzimo trovato in Giordania. La sfida sul primato del pane più antico continua a essere aperta, testimoniando la ricchezza della nostra storia alimentare.

Xinzhou (Cina): una suite dell’Aldilà perfettamente arredata

Porta d’ingresso alla tomba. Fonte: Istituto Archeologico della Provincia di Shanxi.

Gli archeologi dell’Istituto Shanxi – che si occupa di Beni culturali e di archeologia – hanno portato alla luce una tomba ben conservata della dinastia Ming (1368-1644) nella città di Xinzhou, nella provincia dello Shaanxi, nel nord della Cina. La scoperta è avvenuta durante i sopralluoghi in previsione dell’esecuzione del progetto di riallineamento dell’autostrada nazionale.

La tomba, lunga 25 metri e composta da una camera funeraria centrale e da una camera posteriore, di dimensioni inferiori, venne realizzata sul terrazzamento di un villaggio, utilizzando conci in pietra. L’accesso si trova alla fine di un corridoio in discesa lungo 17 metri. Al suo interno, uno splendido corredo integro. Piatti, mobilia, oggetti raffinati e preziosi di una nobiltà colta e raffinata. Un appartamento dell’Aldilà, arredato alla fine del Cinquecento.

Arredi funerari rinvenuti all’interno della tomba della dinastia Ming Fonte: Istituto Archeologico della Provincia di Shanxi.

Le iscrizioni trovate sulla bara e sui muri hanno fornito indizi determinanti, permettendo ai ricercatori di identificare il proprietario del sepolcro, un uomo vissuto tra il 1533 e il 1588. Data l’alta qualità dei manufatti e l’eccezionale stato di conservazione – tutto era a posto, come quando fu collocato, solo alcuni piccoli cedimenti dei tavolini hanno lievemente messo in disordine l’allestimento originario – gli archeologi hanno capito di essere entrati in una capsula del tempo appartenuta ad un nobile della fine del XVI secolo.

La tomba è, in pratica, una nobile suite. Il sepolcro vuol ricordare la camera da letto, mentre la stanza accanto è un salottino-studio. Questo vano è arredato con tavoli, sedie, candelabri altari di legno, incensieri, vasi di latta, tazze di latta, piatti di latta, statuine di legno dipinte, calamai, pennelli, portapenne e altri utensili per scrivere.

APRILE

Somma Vesuviana (Campania): scoperta la villa dove morì Augusto?

Scavi della Villa Augustea di Somma Vesuviana.

La Campania era uno delle regioni più apprezzate dall’élite romane ed è anche per questo se oggi in questa regione è possibile trovare un gran numero di ville, realizzate per le famiglie più ricche e importanti dell’Urbe.
Secoli di permanenza romana sono stati però sepolti dalla civiltà successive, per non parlare dell’eruzioni del Vesuvio che hanno spesso sommerso – come a Pompei – le vecchie strutture con vari metri di pomici e ceneri.

Una delle ville romane più importanti ed apprezzate della zona in epoca romana era la villa personale del primo imperatore di Roma, Augusto, che scelse di edificare a Nola un rifugio per sé e per la sua famiglia, dall’asfissianti e affollate sale della sua casa al Palatino.

Fino a questo momento, la posizione specifica di questa villa, nelle campagne di Nola, era sconosciuta, visto che secoli di storia e di predoni ne hanno occultato i resti, ma un team di archeologi dell’Università di Tokyo ha dichiarato di aver trovato i resti di un’abitazione romana, potenziali tracce della dimora di Augusto, durante le ricerche effettuate a Somma Vesuviana, sotto le fondamenta di un edificio più recente, che risale tuttavia al II secolo d.C.
Sebbene la costruzione della villa risalga al II secolo d.C. – quindi a un periodo successivo all’a morte dell’imperatore -, ricerche più recenti hanno individuato resti sottostanti di un edificio più antico, probabilmente risalente all’epoca di Augusto, che nacque Roma il 23 settembre 63 a.C. e che morì, appunto, nei pressi di Nola, il 19 agosto 14. Secondo i resoconti storici, Augusto sarebbe morto in una villa situata sul versante settentrionale del Vesuvio, divenuta in seguito luogo di culto imperiale.

Scavi dell’abitazione romana.

I ricercatori dell’Università di Tokyo hanno scoperto – di quest’area più antica – parte di una struttura che veniva utilizzata come magazzino. Una parete dell’edificio aveva decine di contenitori di anfore in ceramica disposti in fila. Inoltre, hanno scoperto i resti di quella che probabilmente era il forno di un ipocaustum utilizzato per riscaldare il bagno.
La datazione al carbonio del carbonio proveniente dal forno ha rilevato che la maggior parte dei campioni di legno combusto risalgono al I secolo circa.

La villa, dopo la morte di Augusto, fu poi colpita dall’eruzione del Vesuvio.
Secondo un’analisi della composizione chimica effettuata dal team, si è scoperto che la pomice vulcanica che ricopre le rovine ha avuto origine dal flusso piroclastico di lava, rocce e gas caldi dell’eruzione del Vesuvio del 79.

Cupa (Lecce): trovate 69 ghiande-missili risalenti all’assedio di Annibale

Il muro di Cupa e i ritrovamenti.

Le indagini dirette, avviate nel gennaio 2024, hanno consentito di documentare un lungo tratto della cinta muraria ugentina, in questo punto caratterizzata da due paramenti in grandi blocchi di calcarenite messi in opera a secco che racchiudono un emplekton di pietre e terra. In particolare, è stata messa in luce la cortina esterna della cinta muraria (muro α), comprensiva dell’angolo Nord Ovest delle fortificazioni, costituita da grandi blocchi di calcarenite locale disposti alternativamente di testa e per lungo nei filari sovrapposti, per uno spessore di 1,5 m ca.; il muro, che in questo punto si conserva per una lunghezza massima di 32 m e un’altezza massima di 1,48 m, presenta anche una cortina interna, ancora sepolta al di sotto del muro a secco moderno che le corre parallelamente. L’angolo della cortina, indagato con il fine di verificare la presenza di eventuali strutture di fortificazione, presenta tracce riconducibili alla riparazione (tamponatura) a seguito di un danneggiamento strutturale.

Del tutto inaspettatamente lo scavo ha finora restituito 69 ghiande- missili in piombo e altri manufatti metallici, tra cui la punta in ferro di un dardo e un anello in bronzo con cartiglio iscritto, rinvenuti all’interno di uno strato posto all’esterno della cortina muraria che, sulla base di un esame preliminare dei frammenti ceramici rinvenuti nonché delle relazioni stratigrafiche, può essere datato con buona approssimazione alla seconda metà del III sec. a.C. L’ipotesi, quindi, è che questi ritrovamenti testimonino l’assedio finale subito da Ugento nel corso della guerra annibalica.

Una ghianda-missile.

Le “ghiande-missili” erano i proiettili che usavano gli antichi e sono dette comunemente glandes. Di forma ovoidale, appuntiti ad una o ad entrambe le estremità vennero realizzati in vari materiali: terracotta (glandes latericiae), bronzo o leghe di rame e, più comunemente, piombo (glandes plumbeae). Potevano essere lanciati con catapulte o, più spesso, a mano da soldati specializzati detti funditores o frombolieri attraverso la rotazione di una fronda, realizzata con una fascia flessibile. Attestazioni dell’uso di fronde si hanno in Grecia già nel V secolo a.C. (Tucidide 6, 69, 2) e diventano più frequenti a partire dall’età ellenistica.

In ambito Italico non è chiaro con esattezza il momento in cui la glandes plumbea fu introdotta. È certo però che i Romani sembrano già conoscere quest’arma dal III secolo a.C., probabilmente in seguito ai contatti con gli eserciti di Magna Grecia e Sicilia, anche se l’uso di questo tipo di proiettili sembra essersi generalizzato negli eserciti romani solo a partire dal II secolo a.C.

Pompei (Campania): scoperto un salone decorato con immagini della guerra di Troia

Il “Salone Nero”, il nuovo ritrovamento di Pompei – Ansa/Ministero della Cultura.

Quasi 15 metri di lunghezza per 6 di larghezza: un grande ambiente probabilmente dedicato ai banchetti, tra affreschi e mosaici databili al III stile e raffigurazioni di coppie di eroi e divinità della guerra di Troia. Pompei non finisce di sorprendere e spunta nell’Insula X della Regio IX un antico salone romano con affreschi della Guerra di Troia in ottimo stato.

“Le pareti erano nere per evitare che si vedesse il fumo delle lucerne sui muri. Qui ci si riuniva per banchettare dopo il tramonto, la luce tremolante delle lucerne faceva sì che le immagini sembrassero muoversi, specie dopo qualche bicchiere di buon vino campano” spiega il Direttore del Parco Archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel. “Oggi, Elena e Paride siamo tutti noi: ogni giorno possiamo scegliere se curarci solo della nostra vita intima o di indagare come questa nostra vita si intrecci con la grande storia”, aggiunge Zuchtriegel.

Affresco che raffigura Elena e Paride ritrovato nel Parco archeologico di Pompei. 

Oltre a Elena e Paride in un’iscrizione greca tra le due figure con il suo altro nome “Alexandros”, appare sulle pareti nere del salone la figura di Cassandra, figlia di Priamo, in coppia con Apollo. La presenza frequente di figure mitologiche nelle pitture di ambienti di soggiorno e conviviali delle case romane aveva proprio la funzione sociale di intrattenere gli ospiti e i commensali, fornendo spunti di conversazione e riflessione sull’ esistenza.

Il salone si apre in un cortile che sembra essere un disimpegno di servizio, a cielo aperto, con una lunga scala che porta al primo piano, priva di decorazione.
L’attività di scavo nell’insula 10 della Regio IX è parte di un più ampio progetto di messa in sicurezza del fronte perimetrale tra l’area scavata e non, di miglioramento dell’assetto idrogeologico, finalizzato a rendere la tutela del vasto patrimonio pompeiano (più di 13mila ambienti in 1070 unità abitative, oltre agli spazi pubblici e sacri) più efficace e sostenibile.

MAGGIO

Amorosi (Benevento): trovata una necropoli dell’età del Ferro

Scavi nella necropoli di Amorosi.

Una nuova antica necropoli, risalente all’età del ferro, è stata scoperta vicino Napoli, nei pressi della città di Amorosi. Essa comprende 88 sepolture dall’elevatissimo valore archeologico, in cui sono presenti sia uomini che donne.
Questa scoperta offre la possibilità agli archeologi di studiare la cultura dei popoli che vivevano in Italia meridionale precedentemente l’arrivo dei greci e degli eserciti romani, visto che la tomba più recente della necropoli è datata a 2.800 anni fa.

Una delle sepolture.

All’interno delle tombe è stato possibile trovare non solo i corpi degli antichi abitanti della regione, ma anche le loro armi, i loro ornamenti di bronzo, inclusi braccialetti, pendenti, le “fibule” e diversi gioielli di ambra e osso, che venivano utilizzato specificatamente dalle donne. Tutti questi tesori sono stati trovati all’interno di due grandi tumuli circolari, di circa 15 metri di diametro.

Gli archeologi hanno anche trovato un gran numero di vasi e di frammenti di ceramica, che venivano solitamente lasciati ai piedi dei defunti insieme a dei doni.

I popoli che realizzarono questa necropoli probabilmente erano gli antenati dei Sanniti, coloro che per primi si opposero seriamente all’espansione di Roma e che riuscirono a sconfiggere l’esercito romano nelle famose Forche Caudine.

Tel Habwa (Egitto): scoperto nel deserto un millenario palazzo reale

Il ritrovamento riguarda le rovine di un insediamento reale fortificato risalente a 3500 anni fa ed è stato fatto da una missione archeologica egiziana nel Sinai settentrionale.
La struttura, situata a Tel Habwa, sarebbe attribuibile al periodo di Thutmose III, dunque a un lasso di tempo tra il 1479 e il 1425 a.C. Questo faraone è considerato uno dei più grandi condottieri militari del Paese del Nilo, ed a lui si attribuisce una rilevante crescita della potenza egizia a seguito di impetuosi successi militari. A testimoniarlo sarebbero l’architettura dell’edificio e i frammenti di ceramica preziosa e rarissima rinvenuti durante gli scavi.

La struttura è molto estesa. La pianta è costituita da due grandi sale rettangolari poste in successione e da diversi ambienti comunicanti. L’ingresso principale, piazzato sul lato nord del palazzo, consente l’accesso al primo salone, a lato del quale svettano tre colonne di pietra.
Il secondo salone, più piccolo del primo, presenta al centro due colonne e ingressi caratterizzati da rifinite soglie di pietra.

Marliens (Francia): scoperto un antico monumento “senza precedenti” che potrebbe riscrivere la storia

Monumento antico “senza precedenti” scoperto in Francia. Crediti: Jérôme Berthet , Inrap.

In Francia il ritrovamento ha lasciato tutti senza parole. In quella che l’Istituto nazionale francese per la ricerca archeologica preventiva (Inrap) definisce una scoperta “senza precedenti” a Marliens, in Francia, vicino a Digione, gli scavi hanno rivelato una serie di occupazioni su un sito che va dal periodo neolitico alla prima età del ferro.

 Il responsabile degli scavi Uwe Moos lavora sulla straordinaria tomba scoperta, che probabilmente appartiene al tardo Neolitico.

L’occupazione più antica presenta un monumento con tre recinti interconnessi. La sezione centrale offre un recinto circolare di 11 metri di diametro, il più grande del gruppo. A nord un recinto più piccolo a forma di ferro di cavallo lungo 7.9 metri si collega direttamente al pezzo centrale principale. A sud, un disegno circolare rimane aperto su un lato, ma si collega comunque al cerchio principale. Il team ritiene che tutte e tre le strutture siano collegate tra loro sia nel posizionamento che per la datazione e che uno strato di ghiaia trovato sui due recinti laterali suggerisca che fosse presente anche una recinzione.

“Questo tipo di monumento sembra senza precedenti e attualmente nessun confronto è stato possibile”, afferma il gruppo di ricerca in una nota. Un fascio di manufatti, tra cui sette punte di freccia in selce, due bracciali da arciere, un accendino in selce e un pugnale in lega di rame, scoperti nei fossati del sito corrispondono a selci tagliate, suggerendo un’attribuzione al periodo neolitico, potenzialmente risalente al periodo compreso tra il 10.000 a.C. e il 2.200 a.C. L’analisi del radiocarbonio è prevista per aiutare a determinare la datazione esatta.

GIUGNO

Parco d’Aspromonte (Calabria): ritrovato il muro difensivo costruito dai Romani contro Spartaco

Parte della struttura difensiva romana.

Un articolato programma di ricerche condotto dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Reggio Calabria e la provincia di Vibo Valentia, in collaborazione con il Parco Nazionale dell’Aspromonte, ha consentito la “riscoperta” di una struttura muraria che attraversa per quasi 3 chilometri i boschi del Dossone della Melia, superando ripidi dislivelli, un pianoro e, nel tratto conclusivo, anche un torrente.

Il rinvenimento di armi romane, databili con certezza all’epoca tardo-repubblicana, rende plausibile l’identificazione della struttura con il muro realizzato dal console Licinio Crasso nel 72 a.C. per intrappolare i ribelli guidati da Spartaco e per impedire loro l’accesso a ogni rifornimento.
A detta dello storico greco Plutarco, “in poco tempo” i Romani scavarono una fortificazione “sull’istmo da mare a mare”, lunga 330 stadi e larga e profonda 15 piedi e affiancata da un muro “di mirabile altezza e solidità”.

La parabola di Spartaco si concluse nel Bruzio. Sconfitto per due volte da Crasso e dopo aver tentato senza successo di attraversare lo Stretto di Messina e portare la rivolta anche in Sicilia, Spartaco e il suo esercito furono costretti a rifugiarsi tra le montagne calabresi dove vennero nuovamente sconfitti e dove il gladiatore trace trovò la morte in battaglia.

Le attività di indagine compiute nel sito hanno già consentito il rinvenimento di numerosi oggetti metallici inquadrabili tra il II e il I secolo a.C., tra cui alcune lame ricurve di ferro, una punta di lancia, due esemplari di pilum, un particolare tipo di giavellotto utilizzato dall’esercito romano nei combattimenti a breve distanza. Sono stati ritrovati, inoltre, un pomolo forse pertinente a una spada e un’impugnatura d’arma da taglio. Le ricerche proseguiranno: quella che finora è una ipotesi di lavoro potrà trovare fondamento in seguito alla esecuzione di più ampie e approfondite indagini di scavo già programmate dalla Soprintendenza di concerto con gli organi centrali del Ministero.

Israele (Mar Mediterraneo): scoperto al largo uno dei relitti più antichi del mondo

Le anfore del relitto.

Uno dei relitti più antichi del mondo è stato scoperto nel Mar Mediterraneo, a circa 90 chilometri dalla costa di Israele. Il rinvenimento è straordinario anche perché la nave contiene ancora centinaia di anfore intatte. Il relitto è stato trovato a 1.800 metri di profondità dalla compagnia petrolifera Energean durante un’indagine esplorativa condotta con un ROV nel 2023. Gli archeologi marini dell’IAA (l’Autorità per le antichità israeliana) hanno così costituito con Energean un team di ricerca, che ha effettuato nel corso del 2024 diverse campagne di studio confermando la presenza di un grosso quantitativo di anfore di un’età compresa tra i 3.300 e i 3.400 anni.

Le anfore sono state identificate come vasi di contenimento della tarda età del bronzo, risalenti al periodo cananeo, appartenenti ad un’antica civiltà che fiorì tra il 3.500 e il 1.150 a.C. in quelli che oggi sono i territori di Israele, Palestina, Libano, Giordania e Siria. La scoperta è notevole non solo per il rinvenimento dei reperti ma anche per la posizione del relitto, così lontano dalla terraferma, dove non c’è alcuna linea di vista della costa che possa aiutare nell’antica navigazione a vela.

Le due anfore recuperate.

Il suo ritrovamento è stato davvero un colpo di fortuna senza eguali. Il relitto è lungo tra i 12 e i 14 metri ed è stato affondato da una tempesta o da un attacco di pirati, due eventi molto comuni all’epoca. Due anfore sono state sollevate dal fondo e recuperate utilizzando attrezzature appositamente progettate per farlo, ma sotto il sedimento limoso del fondale devono essere centinaia quelle presenti, insieme addirittura a resti del legno della struttura della nave.

Fino ad ora il presupposto accademico era che il commercio a quel tempo si effettuava navigando in sicurezza da un porto all’altro e restando a contatto visivo con la costa. La scoperta di questa barca cambia l’intera comprensione delle abilità degli antichi marinai: è la prima ad essere trovata a una distanza così grande senza linea di vista verso alcuna massa continentale.

I resti di quella nave testimoniano in maniera straordinaria non solo le abilità di navigazione di uomini vissuti più di mille anni prima di Cristo, ma anche l’esistenza di regolari commerci tra i popoli di quel bacino marittimo. C’è un enorme potenziale per la ricerca La nave è preservata a una profondità così grande che il tempo si è congelato dal momento del disastro. La scoperta di questa imbarcazione ha cambiato, o cambierà completamente la nostra comprensione delle abilità degli antichi marinai dell’età del bronzo.

Pompei (Campania): scoperto l’augurio latino, citato anche da Shakespeare

La serie di graffiti sui muri del “Salone Nero”.

È stato pubblicato sull’E-Journal degli scavi di Pompei un nuovo articolo di approfondimento su alcune recenti scoperte provenienti dal cantiere della Regio IX, insula 10.

Sono stati, infatti, rinvenuti e analizzati da Maria Chiara Scappaticcio, docente ordinario di lingua e letteratura latina all’Università Federico II e Gabriel Zuchtriegel, direttore del Parco archeologico di Pompei, numerosi graffiti nel “Salone Nero” (di cui abbiamo già parlato prima) e in alcuni ambienti vicini, da cui emergono tracce di vita vissuta. Si tratta di iscrizioni graffite, di firme autografe di persone che, oltre duemila anni fa, attraversarono quei luoghi lasciando traccia del proprio passaggio: oltre ai nomi dipinti (in greco) accanto alle rappresentazioni affrescate di Elena e Paride, si legge il nome di Pudens, di Vesbinus, o ancora di Valerius e di un Silvanus.

La scritta “hic et ubique”.

C’è poi la scritta “hic et ubique“, “qui e ovunque”, un saluto, un’espressione beneaugurante rivolto probabilmente ai padroni di casa, a cui qualcuno ha rivolto l’auspicio di “felicità e benessere”. Hic et ubique è un’espressione rinvenuta quasi esclusivamente sulle pareti pompeiane. Solcherà i secoli, mettendo Pompei in connessione con Shakespeare, con il tramite della preghiera liturgica.
Con un hic et ubique, infatti, inizia la battuta che pronuncerà l’Amleto shakespeariano rivolgendosi all’onnipresente fantasma del padre.

LUGLIO

Piazza Pia (Roma): scoperti una lavanderia e il Portico di Caligola

Veduta aerea della lavanderia rinvenuta a Piazza Pia.

Durante i lavori di ristrutturazione in corso a Roma in piazza Pia a pochi passi dal Vaticano, per i festeggiamenti del giubileo 2025, gli archeologi del Ministero dei Beni Culturali hanno fatto un’incredibile scoperta: una fullonica, una lavanderia di cinquecento metri quadrati, che conserva ancora in perfetto stato le vasche in pietra e gli straordinari pavimenti in mosaico. Gli studiosi hanno datato la struttura tra la seconda metà del II secolo d.C. e gli inizi del III d.C. A quanto pare si trova in un’area che, in antichità, era occupata da residenze imperiali che si affacciavano sul fiume Tevere. “Da un punto di vista storico è molto interessante vedere questo fenomeno in cui una proprietà imperiale cambia la sua funzione e si è trasformata in epoca abbastanza antica. Riteniamo che questa fullonica possa essere datata indicativamente tra la fine del II secolo d.C. e la prima metà del III secolo d.C. Si tratta di un fenomeno piuttosto sconosciuto a Roma. Solitamente questo tipo di trasformazione degli impianti avviene più tardi, quindi per noi è una novità interessante”, ha dichiarato Alessio De Cristofaro, archeologo responsabile dei lavori.

I resti del Portico di Caligola.

Nel corso dei lavori di scavo stratigrafico e delocalizzazione della fullonica rinvenuta nel cantiere per il sottopasso di piazza Pia, a Roma, sono stati rinvenuti i resti di un’interessante opera di sistemazione a giardino, affacciata direttamente sulla riva destra del Tevere. Si tratta di una struttura costituita da un muro in opera quadrata di travertino, di terrazzamento della riva del fiume, dietro al quale fu realizzato un portico colonnato, di cui restano le sole fondazioni, e un’ampia superficie aperta sistemata a giardino. Lo scavo, condotto dalla Soprintendenza Speciale di Roma ha permesso di documentare come la sistemazione sia stata interessata da tre fasi edilizie, susseguitesi tra l’età di Augusto e quella di Nerone.

L’iscrizione con il nome di Caligola sul tubo idrico di piombo.

Il rinvenimento di un tubo idrico in piombo (fistula plumbea), timbrato con il nome del proprietario della fornitura di acqua, e dunque del giardino, permette di identificare il personaggio titolare del primo rifacimento del complesso. L’iscrizione recita C(ai) Cæsaris Aug (usti) Germanici: si tratta dunque di Caligola, figlio di Germanico e Agrippina maggiore e imperatore dal 37 al 41 dopo Cristo. Il ritrovamento potrebbe trovare un interessante riscontro anche nelle fonti letterarie antiche. Un passo dell’Ambasceria a Gaio (Legatio ad Gaium) scritta da Filone di Alessandria, storico ebreo di Alessandria d’Egitto, racconta di come Caligola avesse ricevuto la legazione di ebrei alessandrini proprio negli Horti di Agrippina, in un vasto giardino affacciato sul Tevere, che separava il fiume da un monumentale porticato.

Lo scavo, inoltre, ha restituito una serie importante di Lastre Campana, terrecotte figurate usate per la decorazione dei tetti, con scene mitologiche inusuali, riutilizzate come coperture delle fogne della fullonica, ma in origine probabilmente realizzate per la copertura di una qualche struttura del giardino, forse dello stesso portico.

Transilvania (Romania): scoperto un rarissimo gladio romano

L’arma romana subito dopo il ritrovamento. Il cercatore ha fissato il punto con il Gps.

Un cacciatore di tesori, il romeno Csaba Kolozsvari, un Fisico ambientale che ama passare il proprio tempo libero nei boschi e nei prati, ha rinvenuto con il suo metal detector un rarissimo gladio romano.

Csaba ha al suo attivo numerose scoperte eclatanti di oggetti antichi, che coprono temporalmente un periodo compreso tra la preistoria al Medioevo. Tutti denunciati all’autorità. Ha segnalato diversi ritrovamenti agli archeologi, prima del recupero del reperto, così che lo scavo potesse avvenire con criteri professionali, nell’attenzione del contesto stratigrafico.

Che ci faceva un gladio romano, in quel punto? Perché fu sepolto? Quale storia dolorosa o spaventosa nasconde? Per ora si può dire che non faceva parte di un corredo tombale. Nei dintorni pare che non ci sia null’altro. Gli archeologi hanno stabilito che si tratta di un gladio di tipologia Pompei. I Romani arrivarono a conquistare anche l’area dell’attuale Romania, che da loro prende il nome.

I gladi sono reperti estremamente rari e, normalmente, si trovano in condizioni pessime. In questo caso, l’oggetto è in ottimo stato di conservazione.
Il gladio romano è stato l’arma iconica delle legioni. Questa spada corta di origine celtica – solitamente 50-60 centimetri – era apprezzata per la sua efficacia in combattimento ravvicinato. Il nome “gladio” deriva dall’etrusco kladi(b)os, che probabilmente recupera un nome di area celtica. Comunque sia significa spada. Anche se è più corta rispetto alla spatha vera e propria, che è quella utilizzata dalla cavalleria.

Il Gladio Pompei.

Il gladio Magonza e il gladio Pompei – quello trovato ora in Transilvania – sono due varianti della spada romana gladius che si differenziano principalmente per la loro forma e funzione.
Il gladio Magonza ha una lama più lunga e un manico corrispondentemente più lungo, progettato forse per migliorare la portata e la potenza dell’attacco. Al contrario, il gladio Pompei ha una lama più corta e un manico più compatto, ideale per il combattimento ravvicinato e il controllo preciso durante il corpo a corpo. Entrambi i tipi di gladio erano ampiamente utilizzati dalle legioni romane durante l’era imperiale, ciascuno con caratteristiche progettate per adattarsi alle esigenze specifiche sul campo di battaglia.

Pompei (Campania): scoperta una stanza dipinta di un rarissimo colore blu

Il parco archeologico di Pompei svela continuamente tesori nascosti, sorprendendo sempre di più archeologi e appassionati. L’ultima scoperta riguarda una stanza decorata con un raro colore blu. Questa scoperta sottolinea l’importanza di questo colore all’interno della società romana ed offre uno sguardo affascinante sulla vita e le pratiche artistiche di quell’epoca.

Durante uno scavo nel sito archeologico di Pompei, preservato dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., alcuni ricercatori hanno scoperto una stanza colma di opere d’arte caratteristiche. Le pareti di questa stanza sono adornate con delle figure femminili e sono colorate di un raro blu, riservato ad occasioni e luoghi di un enorme importanza decorativa. Infatti il blu all’epoca rappresentava un colore pregiato ed utilizzato soltanto per circostanze speciali.

Anfore nella “Stanza Blu”.

Questa stanza si trova nella Regio IX del centro di Pompei e misura circa 8 m² ed è soprannominata, grazie alla sua probabile funzione di luogo per oggetti sacri, Sacrarium.
Le pareti di questa stanza sono decorate con immagini delle quattro stagioni (Horae) e con allegorie della pastorizia e dell’agricoltura raffigurate tramite il pedum e l’aratro, un corto bastone utilizzato da cacciatori e pastori.

Oltre alla sua straordinaria pittura murale, gli archeologi sono riusciti a trovare all’interno della stanza svariate anfore, lampade ad olio, brocche di bronzo e gusci di ostriche che solitamente venivano macinati per essere aggiunti all’intonaco e alla malta dei pittori.

AGOSTO

Urbisaglia (Macerata): scoperto l’unico birrificio di epoca romana rinvenuto finora in Italia

Veduta aerea dei recenti scavi di Urbs Salvia e Villamagna.

Un team di archeologi dell’Università di Macerata che stanno scavando nel Parco archeologico Urbs Salvia, situato nell’attuale comune di Urbisaglia, nella frazione di Villamagna, hanno scoperto una villa romana di 1600 anni fa dove è stata localizzata l’unico birrificio di epoca romana finora rinvenuta in Italia.

Un’archeologa del team durante i lavori di scavo.

I ritrovamenti straordinari sono stati fatti nel Foro della colonia romana e nella zona del criptoportico. Forni ceramici e fucine metalliche dell’epoca repubblicana che gettano nuova luce sulla romanizzazione del Piceno. A questo punto dell’indagine gli archeologi non hanno potuto fare a meno di porsi una domanda: questo birrificio potrebbe derivare dalle origini galliche della zona?

Nel IV secolo a.C. la tribù dei Senoni, popolo gallico che abitava le attuali regioni della Senna e della Marna, del Loiret e dell’Yonne, si stabilì in quella che oggi è Macerata. È ampiamente documentato che i Galli fossero grandi consumatori di birra, quindi è molto probabile che secoli dopo i proprietari di questa villa suburbana romana mantenessero ancora la tradizione di produrre la popolare bevanda.

Stonehenge (Regno Unito): nuova scoperta sulla Pietra dell’Altare centrale

Secondo un nuovo studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature l’Altar Stone, uno dei più grandi megaliti al centro di Stonehenge, il misterioso e celebre complesso preistorico di pietre situato nel sud dell’Inghilterra, proviene dal nord della Scozia e non dal Galles sud-occidentale, come si pensava fino ad ora. La distanza tra Stonehenge e l’estremo nord della Scozia è di circa 750 chilometri e questo suggerisce che l’organizzazione della società neolitica britannica fosse molto più complessa e avanzata di quanto indicassero le scoperte precedenti.

Ci siamo già occupati di Stonehenge in un precedente articolo e per chi volesse approfondire, può cliccare sul seguente link. Stonehenge è composta principalmente da due tipi di pietra. I sarsen sono enormi massi di arenaria: costituiscono la parte più imponente e visibile della struttura e provengono prevalentemente da West Woods, Marlborough, a circa 25 chilometri a nord di Stonehenge. Ci sono poi le cosiddette “pietre blu”, pietre più piccole chiamate così per la loro tonalità grigio-bluastra che sono state utilizzate per creare una forma interna a ferro di cavallo e un anello esterno del gigantesco complesso.

Vista in pianta di Stonehenge che mostra i megaliti costituenti esposti e la loro provenienza. Immagine tratta dalla rivista Nature.

La pietra dell’altare al centro della nuova ricerca è la più grande delle pietre blu, pesa sei tonnellate e si trova proprio al centro di Stonehenge.
La scoperta suggerisce dunque che i popoli del Neolitico non erano isolati, ma possedevano una rete di contatti e scambi che si estendeva su distanze notevoli.

Kafr El-Sheikh (Egitto): scoperto un osservatorio astronomico egizio del VI secolo a.C.

L’osservatorio astronomico più antico (Consiglio Supremo per l’Archeologia egiziano foto)

La missione archeologica egiziana del Consiglio Supremo per l’Archeologia ha scoperto, presso Kafr El-Sheikh, un grande osservatorio astronomico. Durante lo scavo, la missione ha scoperto anche una meridiana in pietra, uno dei più importanti dispositivi di misurazione del tempo nell’antichità, insieme a statue, manufatti di ceramica e strumenti di misura.

Sculture in pietra e strumenti provenienti dall’osservatorio, utilizzati per scopi astronomici e cerimoniali. (Credito immagine: Ministero egiziano del turismo e delle antichità)

Si tratta dell’osservatorio astronomico più antico e ampio del VI secolo a.C. Costruito interamente in mattoni di fango, si trova nel tempio di Buto Betel Pharaohs ed è stato utilizzato per osservare e registrare eventi astronomici, come il movimento del sole e delle stelle. Queste osservazioni erano cruciali per determinare il calendario solare e le date dei riti religiosi, inclusa l’incoronazione dei re e l’inizio delle stagioni agricole.
La scoperta non solo evidenzia l’abilità degli antichi egizi in campo astronomico, ma offre anche nuove prospettive sulle tecniche che utilizzavano, dimostrando una sorprendente capacità di osservazione e registrazione nonostante la semplicità degli strumenti a loro disposizione.

L’architettura dell’osservatorio è impressionante. Con una superficie totale di circa 850 metri quadrati, l’edificio è situato nell’angolo sud-ovest del tempio e presenta un ingresso laterale orientato ad est, dove sorge il sole. La struttura principale è una sala a colonne centrali, disposta a forma di L, e affiancata da un imponente muro di mattoni di latte che si piega verso l’interno, un dettaglio architettonico che richiama lo stile della calligrafia egiziana visibile negli ingressi dei templi.
All’interno dell’edificio sono state trovate diverse camere in mattoni di latte, probabilmente utilizzate per conservare gli strumenti necessari all’osservazione astronomica.

SETTEMBRE

Masada (Israele): la fortezza non fu conquistata in tre anni ma in poche settimane

I ricercatori dell’Istituto di Archeologia Sonia & Marco Nadler dell’Università di Tel Aviv hanno utilizzato una serie di tecnologie moderne, tra cui droni, telerilevamento e modellazione digitale 3D, per generare la prima analisi oggettiva e quantificata del sistema di assedio romano a Masada.

I risultati indicano che, contrariamente al mito diffuso, l’assedio di Masada da parte dell’esercito romano nel 73 d.C. non durò più di qualche settimana. Quindi un mito fondante della storia ebraica si rivela, per lo meno, sopravvalutato.
Lo studio si è concentrato sul sistema d’assedio che, grazie alla posizione remota e al clima desertico, è il sistema d’assedio romano meglio conservato al mondo.

I ricercatori hanno utilizzato droni con sensori remoti che hanno fornito misurazioni precise e ad alta risoluzione dell’altezza, della larghezza e della lunghezza di tutti gli elementi del sistema di assedio. Questi dati sono stati utilizzati per costruire un modello digitale 3D accurato, che ha permesso di calcolare con precisione il volume delle strutture e il tempo necessario per costruirle. Sono disponibili stime affidabili della quantità di terra e pietre che un soldato romano era in grado di spostare in un giorno. E’ noto che circa 6.000-8.000 soldati parteciparono all’assedio di Masada. E’ stato quindi possibile calcolare oggettivamente il tempo necessario per costruire l’intero sistema di assedio – otto campi e un muro di pietra che circondava la maggior parte del sito. I ricercatori hanno scoperto che la costruzione richiese solo circa due settimane. In base alle testimonianze storiche antiche, è chiaro che una volta completata la rampa d’assalto, i Romani lanciarono un attacco brutale, conquistando la fortezza nel giro di poche settimane al massimo.

I forti romani “A”, “B” e “C”.

La narrazione di Masada (a cui abbiamo dedicato l’articolo di esordio di questa Rubrica), la Grande Rivolta Ebraica, l’assedio e la tragica fine raccontata da Flavio Giuseppe sono entrati a far parte del DNA israeliano e dell’ethos sionista e sono ben noti in tutto il mondo. La durata dell’assedio è un elemento importante in questa narrazione, che suggerisce che per il glorioso esercito romano fu molto difficile conquistare la fortezza e schiacciare i suoi difensori. Invece, secondo lo studio, i Romani arrivarono, videro e conquistarono, sedando rapidamente e brutalmente la rivolta in questo luogo remoto.

Il campo romano “F”, ovvero quello della Legio X Fretensis.

Il fatto che la Legione romana impiegò solo qualche settimana a conquistare la remota fortezza di Masada non stupisce, nel momento in cui i soldati romani erano abituati a compiere opere ingegneristiche che ancora oggi stupiscono in tempi brevissimi. I legionari romani costruivano fortezze e deviavano fiumi, quindi per loro prendere una piccola fortezza, per quanto impervia, era una questione di ordinaria amministrazione.

Pompei (Campania): nella Regio IX Scoperte due nuove vittime dell’eruzione del Vesuvio

Il sacrarium dove le due vittime hanno cercato rifugio.

Ancora una volta la protagonista è la Regio IX, in particolare quella conosciuta come insula 10, dove un team di archeologi del ministero dei beni e delle attività culturali e del Parco archeologico di Pompei ha riportato alla luce due nuove vittime dell’eruzione del Vesuvio. Si tratta dei resti di un uomo e di una donna, quest’ultima adagiata su un letto e accanto alla quale è stato rinvenuto un piccolo tesoro di monete d’oro, d’argento e di bronzo. La donna indossava anche un paio di delicati orecchini d’oro e perle.

Lo scheletro della donna adagiata su un letto, insieme ad alcune monete d’oro e orecchini.

A quanto pare, per rifugiarsi dalla violenza dell’eruzione vulcanica la coppia scelse un piccolo cubicolo (stanza) situato dietro il sacrarium, uno spazio dedicato alle attività rituali e alla conservazione degli oggetti sacri, scoperto già all’inizio di luglio dagli archeologi.
La finestra della camera era chiusa. Forse con questo intendevano impedire che la pioggia di pietre e cenere lanciata dal vulcano penetrasse nella stanza, cosa che riuscirono a fare. Ma sfortunatamente per loro la stanza adiacente non ebbe la stessa fortuna e si riempì completamente di materiale vulcanico, bloccando così l’uscita e impedendo alla coppia di scappare. Infine, l’arrivo dei flussi piroclastici avrebbe finito per provocarne la morte.

Un’archeologa del team al lavoro per ripulire lo scheletro dell’uomo ritrovato.

Grazie all’analisi delle tracce lasciate nella cenere, gli archeologi hanno potuto identificare i mobili e la loro esatta posizione nella stanza al momento dell’eruzione. Apparentemente all’interno del cubicolo c’erano un letto, una cassapanca, un candelabro in bronzo, un tavolo con il piano in marmo e con vari utensili in bronzo, vetro e ceramica ancora al loro posto.

Åsum (Danimarca): in un cimitero vichingo scoperta una donna sepolta su un carro…e una triscele

La tomba della donna scoperta ad Åsum.

È stato davvero difficile capire, all’inizio, cosa facessero i resti di un corpo femminile su una struttura ampia, anomala. Il sito di sepoltura vichingo è situato ad Åsum, a est di Odense, in Danimarca. Questa località, che si estende su circa 2.000 m², ha rivelato un’importante area funeraria che risale all’VIII e IX secolo, un periodo cruciale per la storia vichinga.

Una delle tombe più straordinarie rinvenute ad Åsum è quella di una donna sepolta in un carro-fading, ovvero la parte superiore di un carro vichingo utilizzata come bara. La donna era stata caricata su un carro con il quale potesse affrontare le distese di erbe e di ombre.
Questo particolare tipo di sepoltura indica un alto status sociale. All’interno della tomba, sono stati trovati oggetti preziosi, tra cui una collana di perle di vetro, una chiave di ferro, un coltello con il manico avvolto in filo d’argento e un amuleto di vetro. Questi doni non solo riflettono la posizione della defunta nella società, ma suggeriscono anche pratiche funerarie elaborate e credenze spirituali significative.

Il Triskell ritrovato.

Uno degli oggetti più affascinanti trovati nel sito è la triscele (ecco il reperto, recto e verso), un antico simbolo che rappresenta movimento e progresso. Il triskell, noto anche come triscele, è un simbolo antico che ha assunto significati diversi nelle tradizioni celtiche e nordiche. La sua forma caratteristica, costituita da tre spirali o bracci che si sviluppano da un punto centrale, rappresenta una varietà di concetti e filosofie, che spaziano dalla cosmologia alla spiritualità. Il 3 dava potere e la triscele era l’ordinatore di un universo basato, tutto, su questo numero. Il simbolo ricordava quindi tutto quanto fosse tripartito ed invitava a considerare tutti i significati che si erano stratificati sul 3, oltre che a considerarlo come motore dell’universo. Per chi fosse interessato a saperne di più sul significato di questo simbolo, vi rimando a questo link.

OTTOBRE

Tell Al-Abqain (Egitto): scoperte fortezza militare e una spada con cartiglio di Ramesse II

Veduta degli scavi nel forte di Beheira. Fonte: Ministero del Turismo e delle Antichità.

Una missione archeologica egiziana del Consiglio Supremo delle Antichità, guidata dal Dr. Ahmed Said El-Kharadly, ha scoperto una serie di unità architettoniche in mattoni di fango risalenti al Nuovo Regno, tra cui caserme militari per soldati e magazzini per lo stoccaggio di armi, cibo e provviste. Queste scoperte sono avvenute durante gli scavi in corso presso il sito di Tell Al-Abqain nel distretto di Hosh Issa (o Housh Eissa), nel governatorato di Beheira (o Buḥayra), ovvero nella regione nord-occidentale del delta del Nilo a circa 135 km dal Cairo.

Un’altra veduta degli scavi nel forte di Beheira. Fonte: Ministero del Turismo e delle Antichità.

Il ritrovamento si è subito rivelato importante in quanto, oltre alla caserma, sono stati riportati alla luce numerosi reperti e oggetti personali appartenuti ai soldati, offrendo agli studiosi uno spaccato sulla vita condotta dagli uomini che la frequentavano.
La fortezza doveva proteggere il confine nord-occidentale dagli attacchi dei Libici e dei Popoli del Mare, era uno dei principali avamposti militari dell’antico esercito egiziano lungo la strada militare occidentale. Le unità architettoniche in mattoni crudi sono meticolosamente progettate, suddivise in due gruppi identici separati da uno stretto passaggio.

Entrambe le caserme erano divise in piccole celle simili ad un alveare. Questa particolare e regolare disposizione degli ambienti dimostra l’abilità degli antichi ingegneri egizi nell’adattare il loro spazi per servire diverse necessità.

La lunga spada di bronzo decorata con il cartiglio di Ramses II, presumibilmente apparteneva a un ufficiale di alto rango sotto il regno del faraone. Ministero egiziano del turismo e delle antichità.

Alcune delle unità architettoniche rinvenute erano utilizzate come magazzini per depositare le provviste che quotidianamente venivano fornite ai soldati. Gli ambienti destinati allo stoccaggio erano separati da un’area aperta ed erano protetti da due stanze riservate alle guardie. All’interno dei magazzini sono stati trovati grandi granai, vasellame in ceramica che conteneva resti di ossa animali e pesci e diversi frammenti di ceramiche. Sul sito sono stati scoperti anche forni cilindrici in argilla per la cottura dei cibi e la tostatura dei cereali, operazione che ne prolungava la conservazione.

Durante gli scavi sono stati scoperti anche applicatori di kajal, ossia trucchi per gli occhi, in avorio, perline di corniola, scarabei e amuleti protettivi. © Ministero egiziano del Turismo e delle Antichità.

Tra i ritrovamenti vi è una lunga in bronzo decorata con il cartiglio di Ramesse II, ma sicuramente ad interessare maggiormente gli studiosi è l’insieme di tutti i reperti tornati alla luce, in quanto forniscono una visione della vita quotidiana, delle credenze religiose e delle attività militari degli occupanti del forte. Sono proprio le armi usate in battaglia, gli attrezzi da caccia, gli ornamenti personali e gli oggetti per l’igiene (come i diversi applicatori per il kohl in avorio), le perline di cornalina e faience, gli scarabei e i vari amuleti protettivi a renderci un quadro preciso della vita nella fortezza durante il regno del più famoso sovrano della XIX dinastia.

Villa Adriana (Tivoli): scoperto un complesso sconosciuto di epoca romana

Tivoli, Villa Adriana.

Un nuovo rinvenimento a Villa Adriana offre spunti affascinanti sugli antichi usi e le trasformazioni strutturali del sito, noto come una delle opere più imponenti e sofisticate dell’imperatore Adriano. Durante gli scavi presso l’area di Piazza d’Oro, dove sorgeva un maestoso edificio destinato a celebrazioni e banchetti imperiali, è emersa una struttura di grandi dimensioni che fino ad oggi non era mai stata documentata.

La scoperta si trova ai margini di una struttura ellittica che era stata a lungo interpretata come una vasca per il riposo o per l’allevamento ittico. Negli anni Novanta, alcuni lavori di manutenzione avevano riportato alla luce dettagli attribuibili a un ipotetico anfiteatro, ma le più recenti indagini, avviate nel 2024, hanno rivelato qualcosa di molto diverso.
Sotto pochi centimetri di terreno, sono emerse le imponenti murature di un complesso databile all’epoca adrianea, che misura oltre 25 metri di lunghezza per 15 di larghezza.

Struttura ellittica (a) all’interno della quale sono  emersi i resti di un edificio con una grande aula rettangolare (b) circondata da stanze quadrate (c) affacciate su un terrazzo sostenuto da pilastri (d).

A capo del progetto capo del progetto di scavo per il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Urbino, il professor Cavallero. L’Università di Urbino ha poi spiegato come la struttura sia composta da una grande aula rettangolare, circondata da otto stanze, ciascuna affacciata su un terrazzo sorretto da pilastri alti più di tre metri.
I ricercatori hanno anche rinvenuto materiali decorativi che danno un’idea dell’originaria ricchezza estetica del complesso: frammenti di marmi, sia bianchi che colorati, oltre a intonaci di colori vivaci come il giallo, il rosso e il verde, decorati con motivi floreali e a forma di melagrana.

Fila di pilastri sui quali era appoggiato il terrazzo (A) e particolare di uno di questi conservato per oltre tre metri (B1) coperto da uno spesso strato di macerie (B2) all’interno del quale sono stati rinvenuti numerosi intonaci (C) e marmi appartenenti al complesso distrutto.

Secondo l’Università di Urbino, il nuovo edificio “venne in parte distrutto per lasciar posto al cosiddetto anfiteatro ma le macerie, invece che essere asportate, furono utilizzate per creare il piano sul quale si realizzò il pavimento della nuova struttura ellittica”.
Tutti questi dettagli ornamentali, che includono materiali come il serpentino verde e il porfido rosso, fanno ipotizzare che l’edificio fosse destinato a ospitare eventi importanti e fosse concepito per impressionare per ricchezza e complessità decorativa. Finora, un complesso di tale imponenza e qualità decorativa non era mai stato identificato a Villa Adriana.

Llanos de Mojos (Bolivia): una città perduta individuata nella foresta amazzonica

Un’immagine dell’insediamento ottenuta grazie alla tecnologia LIDAR.

Le rovine di una vasta e antica civiltà, rimaste nascoste sotto la fitta vegetazione della foresta Amazzonica in Bolivia per secoli, sono state mappate con un livello di dettaglio senza precedenti grazie a un sistema di laser sparati da un elicottero.

L’insediamento ritrovato si estende per più di 200 chilometri quadrati nella regione boliviana del Llanos de Mojos, e comprende piramidi, strade rialzate, canali, bastioni, “isole di foresta” rialzate ed edifici disposti in modi che lasciano intuire una visione cosmologica del mondo. Le strutture sono state costruite dalla civiltà Casarabe, un popolo indigeno che ha vissuto e prosperato tra il 500 e il 1400 d.C. e che è arrivato a occupare circa 4.400 chilometri quadrati nella foresta pluviale amazzonica.
Per quanto diverse spedizioni sul campo e le conoscenze acquisite dalle popolazioni indigene locali avessero già fornito informazioni importanti sugli insediamenti perduti della regione, una tecnica di rilevo da remoto chiamata LIDAR (Light Detection and Ranging) ha ora permesso di far emergere l’estensione totale e ampissima, nonché la sorprendente complessità, di questa civiltà.

Funzionamento del LIDAR.

Gli scanner LIDAR funzionano così: emettono impulsi laser verso oggetti a terra da veicoli aerei e registrano il tempo che serve al segnale per rimbalzare indietro. In questo modo, è possibile generare dettagli minuziosi di una topografia che vanno al di là della capacità di altri strumenti. LIDAR è uno strumento particolarmente popolare tra chi si occupa di archeologia su siti coperti da fitta vegetazione, perché riesce a far affiorare dettagli su insediamenti antichi che sarebbero altrimenti difficili da individuare o visitare a terra.
Per quanto alcune delle strutture sepolte a Llanos de Mojos fossero già note, i nuovi dati LIDAR hanno rivelato una rete di insediamenti collegati da strade sopraelevate che si estende per chilometri nella foresta e in cui l’acqua era gestita con un grande sistema di canali e serbatoi.

Gli insediamenti rilevati dal LIDAR sotto la fitta foresta amazzonica.

I due insediamenti di grandi dimensioni, Cotoca e Landívar, erano protetti da strutture di difesa concentriche, tra cui fossati e mura. Diversi indizi di una vita ricca di cerimonie sono visibili nelle aree più popolate: piramidi coniche alte più di 20 metri ed edifici di terra a cui è stata data una curiosa forma a U.

Per quanto molti di questi monumenti si presentino tra le rovine delle aree un tempo più popolate, la regione analizzata dallo studio potrebbe aver ospitato infiniti piccoli villaggi che sono troppo difficili da individuare anche per il sistema LIDAR, sottolinea il gruppo di ricerca. Messe insieme, le nuove scoperte offrono uno sguardo affascinante su una società che ha prosperato in questa regione per secoli, costruendo infrastrutture di agricoltura e acquacoltura massicce, in grado di sostenere una vita sociale e rituale ricca.

NOVEMBRE

Bodmin Moor (Cornovaglia): la Sala di Re Artù è più antica di 4000 anni

Il cosiddetto Recinto di Re Artù, in Cornovaglia.

Il misterioso monumento fatto di terra e pietra si trova in una zona remota di Bodmin Moor, in Cornovaglia, e viene ritenuto molto antico. Lo chiamano Sala di Re Artù, ma la sua vera origine rimane incerta ed enigmatica. Di recente poi la scoperta straordinaria e sconvolgente: ha almeno 5mila anni, ovvero 4mila anni in più di quanto gli archeologi ritenessero finora. Pensavano infatti che la King Arthur’s Hall fosse stata costruita nel Medioevo. Gli ultimi scavi hanno dimostrato invece che fu edificata – addirittura – nel Neolitico.

Il monumento è costituito da 56 pietre in posizione eretta e parzialmente sepolte. Gli archeologi hanno concluso che è antico quanto Stonehenge. La datazione, basata sull’analisi della luminescenza stimolata otticamente (OSL), indica che sarebbe stato costruito infatti tra 5.000 e 5.500 anni fa nel Neolitico medio. In Gran Bretagna o altrove non esiste comunque nulla di simile e lo scopo del monumento rimane sconosciuto.

Statua di Re Artù sulle scogliere di Tintagel.

Sebbene la struttura sia classificata da Historic England come un recinto medievale destinato agli animali, gli studiosi hanno dovuto concludere che si tratta di un sito preistorico in ragione delle sue pietre erette, dell’orientamento nord-sud e della ubicazione in un’area di Bodmin Moor che ospita numerosi altri reperti molto antichi.
Dal monumento sono stati raccolti anche dei campioni per verificare l’esistenza di resti fossili di piante e animali, inclusi semi, polline, insetti e uova di parassiti. Si è così stabilito col metodo del radiocarbonio che il suo riempimento iniziò nel periodo tardo preistorico (2.000–2.500 anni fa) e continuò in quello medievale (500–1.000 anni fa).

Athribis (Egitto): scoperto l’ingresso monumentale di un antico tempio tolemaico

Il tempio tolemaico di Athribis.

In Egitto, ad Athribis, un villaggio vicino a Sohag, non lontano dal Cairo, gli archeologi dell’Università di Tubinga e del Ministero egiziano del Turismo e delle Antichità hanno compiuto una scoperta eccezionale: gli scavi hanno infatti portato alla luce l’ingresso di un monumentale tempio tolemaico, e si sospetta la presenza di un santuario rupestre ancora celato dietro cumuli di macerie.

La struttura, datata al II secolo a.C., presenta un ingresso principale fiancheggiato da due torri imponenti. Il complesso è stato costruito tra il 144 a.C. e il 138 d.C., in un’epoca di fiorente attività edilizia e religiosa. La portata della scoperta è tale che i lavori, iniziati nel 2012, si sono concentrati non solo sull’esplorazione del tempio ma anche sul tentativo di identificare un possibile santuario nascosto nella roccia.
Il tempio monumentale è largo 51 metri, e originariamente le torri raggiungevano i 18 metri di altezza. Oggi, ne restano soltanto cinque metri, poiché gran parte del materiale è stata riutilizzata come pietra da cava, un’operazione datata al 752 d.C. grazie al ritrovamento di una moneta.

Gli archeologi hanno scavato nella torre settentrionale e nel cancello d’ingresso, rinvenendo rilievi straordinari. Tra questi, figurano rappresentazioni di Tolomeo VIII, re del II secolo a.C., che offre sacrifici alla dea dalla testa di leone Repit e a suo figlio Kolanthes. Le iscrizioni geroglifiche indicano che fu proprio Tolomeo VIII a commissionare la decorazione e la costruzione del pilone.

Un decano (stella che permette di misurare il tempo di notte) con una testa di falco. Fonte: pagina Facebook Ministero del Turismo e delle Antichità

Nella torre nord, è stata scoperta una camera sconosciuta, lunga circa sei metri e larga tre, utilizzata inizialmente per conservare utensili e successivamente per immagazzinare anfore. Il soffitto della stanza è stato liberato da un enorme blocco di pietra di circa 20 tonnellate, rimosso con tecniche avanzate che hanno coinvolto cuscini d’aria, impalcature di legno e rulli.
Un corridoio collega la camera all’ingresso principale, rendendola dunque accessibile anche dall’esterno. L’ingresso è decorato con rilievi raffiguranti la dea Repit e il dio Min, accompagnati da rari decani – figure stellari con teste di falco e ibis, utilizzate per misurare il tempo durante la notte. Min era il dio della fertilità maschile, ed è probabilmente a lui che era dedicato il tempio.

Questo tempio, costruito tra l’81 a.C. e il 138 d.C., fu decorato nel corso di oltre due secoli, con contributi di Tolomeo XII e successivi imperatori romani come Tiberio, Claudio e Adriano. Gli scavi condotti dal 2012 hanno riportato alla luce circa 400 blocchi decorativi caduti, ciascuno del peso di 34 tonnellate, che sono stati catalogati e analizzati per comprendere meglio la storia del sito.

Wdecki (Polonia): un tesoro archeologico attorno al corpo di un soldato tedesco della II mondiale

Il luogo del ritrovamento del soldato tedesco.

Questa è forse la più curiosa notizia dell’anno. Nell’affascinante contesto del Parco Paesaggistico di Wdecki (Wdecki Park Krajobrazowy), situato nei pressi del villaggio di Stara Rzeka, a nord della Polonia, un’équipe di archeologi ha fatto una scoperta che unisce la storia recente della Seconda Guerra Mondiale con antiche testimonianze risalenti a migliaia di anni fa.

Durante le loro ricerche, gli archeologi hanno portato alla luce la tomba di un soldato tedesco, ucciso probabilmente nel febbraio del 1945 durante la battaglia per il ponte di Grzybek. Tuttavia, la vera sorpresa è arrivata poco dopo, quando gli scavi hanno rivelato che il soldato era sepolto in un sito archeologico incredibilmente ricco di reperti. La storia sovrappone e rende caotica la lettura dei campi di battaglia, che sono sconvolti. Forse il soldato portava con sé le monete. Forse i reperti neolitici stavano accanto, casualmente.

Alcune delle 30 monete ritrovate accanto al corpo del militare tedesco.

Durante lo scavo, l’équipe ha trovato manufatti preistorici, monete e ceramiche che offrono uno spaccato di diverse epoche della storia europea. Tra i manufatti scoperti vi sono utensili risalenti al periodo mesolitico (circa 15.000-5.000 anni fa) e ceramiche del Neolitico, segno che il sito era già frequentato migliaia di anni prima degli eventi bellici del XX secolo. Tra i tesori recuperati figurano ceramiche riconducibili alla Cultura delle Anfore Globulari, una civiltà neolitica attiva tra il 3.100 e il 2.600 a.C. in diverse aree dell’Europa centrale e orientale.

Tra i reperti più curiosi rinvenuti vi è un assortimento di circa 30 monete, risalenti a diverse epoche storiche, trovate nelle acque poco profonde di una laguna vicino alla tomba del soldato. La serie include sesterzi romani, un follis bizantino del X-XI secolo, monete dell’Impero Austro-Ungarico e una britannica dell’epoca della regina Vittoria. Secondo Olaf Popkiewicz, archeologo a capo della missione, è possibile che il soldato tedesco (o un suo commilitone) fosse un collezionista di monete antiche, portandole con sé durante la campagna militare e forse perdendole o lasciandole in loco al momento della sua morte.

Panoramica del Wdecki Park Krajobrazowy.

Lo studio della zona, induce a comprendere che un guado o un ponte hanno attorno a sé le testimonianze umane di migliaia d’anni poiché sono stati passaggi obbligati, luoghi di sfruttamento – per il servizio di passaggio – punti di confine e di battaglia, aree in cui sorgevano strutture di servizio, poi cancellate – in molti casi – dal tempo. Il Parco Paesaggistico di Wdecki, oggi popolare meta turistica e riserva naturale, sembra essere stato un luogo prediletto anche dalle popolazioni preistoriche. La posizione del fiume Wda, con la sua portata stretta, offriva condizioni favorevoli per l’insediamento umano e la continuità di utilizzo del territorio suggerisce una sua centralità per varie epoche della storia.

DICEMBRE

Taposiris Magna (Egitto): scoperte monete e cosmetici durante la ricerca delle tombe di Antonio e Cleopatra

Il grande tempio di Taposiris Magna, che letteralmente significa tempio della tomba di Osiride, è conosciuto localmente come Qasr Abusir (قصر أبو صير).

Gli scavi condotti presso il tempio di Taposiris Magna, situato a ovest di Alessandria, svelano nuovi dettagli preziosi sulla storia e le pratiche culturali della tarda epoca tolemaica. La missione archeologica egiziano-dominicana, guidata dalla dottoressa Kathleen Martinez (nota per la sua convinzione che in tale località vi siano le tombe di Cleopatra VII e di Marco Antonio) in collaborazione con l’Universidad Nacional Pedro Henríquez Ureña (UNPHU), ha individuato in queste settimane depositi di fondazione sotto il muro meridionale del recinto del tempio. Questi reperti rappresentano un contributo fondamentale per comprendere le dinamiche storiche e artistiche della regione nel I secolo a.C. I depositi di fondazione sono offerte rituali che venivano compiute prima della costruzione di un edificio. Ma sarà davvero così o questo deposito è collegato ad altro? Perché anche un contenitore di cosmetici?

Gli oggetti ritrovati nel deposito di fondazione (la fossa in secondo piano).

I depositi di fondazione, tipicamente associati alle cerimonie di consacrazione di strutture sacre, contengono una vasta gamma di manufatti, tra cui una statuetta in marmo bianco raffigurante una donna con il diadema reale e un busto in pietra calcarea di un sovrano con il copricapo Nemes.
Tra gli altri reperti spiccano 337 monete con l’effigie di Cleopatra VII, lampade a olio, vasi cerimoniali, un contenitore di calcare per cosmetici, statue in bronzo e un anello in bronzo dedicato alla dea Hathor. Un amuleto scarabeo con l’iscrizione “La giustizia di Ra è sorta” aggiunge una dimensione simbolica a questi ritrovamenti.

Una delle monete di Cleopatra, trovate ora dagli archeologi. Il rilievo fisionomico per le monete era generalmente preciso per garantire la riconoscibilità del sovrano o dell’imperatore. Esso avveniva di profilo e poteva essere compiuto facendo posare la persona. Il ritratto poteva avvenire a mano libera – per i disegnatori più abili – o osservando la figura attraverso un vetro. In quest’ulti caso si seguiva poi il profilo con un colore. E il profilo veniva ricalcato. L’immagine di Cleopatra su questa moneta conferma il naso aquilino della regina, che nell’insieme della figura, conferiva alla sovrana una bellezza unica.

Il tempio e i manufatti ritrovati sono strettamente legati al periodo di Cleopatra VII, l’ultima sovrana della dinastia tolemaica. La sua figura, celebrata e controversa, emerge chiaramente attraverso le monete e l’iconografia del sito. Cleopatra, regina astuta e diplomatica, giocò un ruolo centrale nei conflitti politici che segnarono la fine dell’era ellenistica. Il suo legame con Giulio Cesare e Marco Antonio, così come la sua morte tragica, continuano a ispirare storici e archeologi.

La dottoressa Kathleen Martinez.

Taposiris Magna è un antico complesso templare situato sulla costa mediterranea dell’Egitto, a ovest di Alessandria. Il sito fu fondato durante il regno di Tolomeo II Filadelfo (283-246 a.C.) ed è dedicato a Osiride, il dio della resurrezione e della fertilità. Il nome “Taposiris” significa “sepolcro di Osiride”, alludendo al simbolismo funerario e religioso del luogo.

Taposiris Magna è oggi al centro di numerose ricerche archeologiche, in particolare per la possibilità che vi siano sepolti Cleopatra VII e Marco Antonio. Nonostante nessuna prova definitiva sia ancora emersa, il sito continua a offrire reperti di straordinaria rilevanza, come monete, statue e oggetti cerimoniali che testimoniano il suo ruolo centrale nel tardo periodo tolemaico.

San Casciano dei Bagni (Siena): scoperte uova di gallina di 2.000 anni fa

UOVO INTEGRO (Copyright SABAP-SI Comune di San Casciano dei Bagni Unistrasi) Foto di Alessandra Fortini.

Anche questo è un curioso ritrovamento. A San Casciano dei Bagni – in provincia di Siena -, un sito archeologico unico nel suo genere, sono state scoperte, nel corso del 2024, numerosi preziosi reperti – bronzi, monete, ecc. – e uova di gallina, alcune rotte e altre incredibilmente intatte, risalenti a oltre 2000 anni fa. Quelle rotte, trovate nel fango, emanavano un intenso odore. Il rinvenimento è collegato alle offerte rituali. Le uova sono state trovate nel fango caldo delle terme, sul fondo di una vasca antichissima. Questo straordinario ritrovamento si colloca nel contesto del Bagno Grande, un complesso termale e santuario utilizzato prima dagli Etruschi e successivamente dai Romani. Il sito, che fu frequentato per le sue acque termali considerate sacre, ha restituito una varietà di reperti, tra cui statue in bronzo, altari votivi e altri materiali organici – soprattutto vegetali – in condizioni eccezionali grazie all’ambiente protettivo della vasca sacra e al fango caldo.

Le uova ritrovate, simboli di fertilità e rinascita, si sono preservate grazie a un ambiente privo di ossigeno e a temperature costanti nelle acque termali. Queste condizioni hanno impedito la decomposizione dei gusci e del contenuto interno. L’assenza di perturbazioni nel sedimento e il contatto diretto con il fango ricco di minerali hanno contribuito ulteriormente alla loro eccezionale conservazione.
Nel contesto del santuario di San Casciano, le uova potrebbero essere state offerte agli dèi come ex voto, celebrando la fertilità e la vita. Questo si collega ai valori simbolici della vasca sacra, già nota per le offerte di serpenti in bronzo a divinità come Iside, Apollo, Esculapio e Fortuna Primigenia. L’uovo, affermano gli archeologi, è collegato al ciclo eterno della rinascita.

EMOZIONI A BORDO VASCA (Copyright SABAP-SI Comune di San Casciano dei Bagni Unistrasi) Foto di Claudia Petrini

San Casciano dei Bagni è balzato alla ribalta della comunità archeologica e della cronaca per il ritrovamento di 24 statue di bronzo di epoca romana, scavi di un santuario etrusco-romano.
Si tratta di busti o figure intere, alcune alte quasi un metro, che raffigurano divinità, togati, donne e bambini, che secondo il Ministero della Cultura potrebbero avere una valenza straordinaria nella storia della statuaria etrusca e romana.

Taxiarchon (Grecia): scoperto il ritratto di Costantino XI, l’ultimo imperatore d’Oriente

Il ritratto realistico di Costantino XI, ritrovato nel Monastero di Taxiarchon.

Importante ritrovamento in Grecia, dove è stato riportato alla luce un pezzo unico della storia bizantina: è stato infatti trovato un ritratto dell’ultimo imperatore d’Oriente, Costantino XI Paleologo (Costantinopoli, 1405 – 1453), l’imperatore bizantino venerato come santo dalla Chiesa ortodossa, caduto in battaglia contro gli Ottomani nello scontro che avrebbe portato alla definitiva caduta di Costantinopoli e alla fine dell’Impero bizantino o, più correttamente, dell’Impero romano d’Oriente. Il dipinto è stato scoperto durante i lavori di manutenzione nella chiesa cattolica dell’antico monastero di Taxiarchon, situato a circa 15 chilometri dalla città di Aigio, nel Peloponneso, non lontano da Patrasso.

Il Monastero di Taxiarchon.

La scoperta è merito dell’archeologa Anastasia Koumousi, direttrice dell’Eforato delle Antichità dell’Acaia (omologo delle Soprintendenze italiane). Koumousi, mentre supervisionava il restauro degli affreschi del monastero, ha identificato nel secondo strato di pitture murali un’immagine che ha suscitato grande emozione nella comunità accademica: un ritratto dell’ultimo sovrano di Costantinopoli. La notizia è stata data dal Ministero della Cultura della Grecia.

Il ritratto raffigura un uomo maturo, avvolto in un manto porpora ricamato in oro, ornato con medaglioni che riportano il simbolo dell’aquila bicipite, un’icona associata alla dinastia dei Paleologi. L’imperatore indossa una corona dialitica e tiene uno scettro cruciforme, elementi che, insieme, costituiscono le insegne imperiali.
I dettagli sono di un realismo sorprendente per l’arte bizantina, spesso stilizzata o idealizzata. Il volto magro, i lineamenti marcati e l’espressione composta riflettono un’immagine autentica e non stereotipata di Costantino XI. Questo lo rende un documento visivo eccezionale: si tratta, secondo il ministero greco, dell’unico ritratto coevo del sovrano, datato dagli studiosi ellenici alla metà del XV secolo, durante il suo breve regno (dal 6 gennaio 1449 al 29 maggio 1453).

La caduta di Costantinopoli.

A differenza di molti ritratti idealizzati, questo affresco cattura la personalità del sovrano: non un eroe distante, ma un uomo reale, segnato dagli eventi che portarono alla caduta di Costantinopoli nel 1453. L’imperatore, che morì in battaglia contro le truppe ottomane di Maometto II, è qui ritratto in un momento di relativa tranquillità, quando la sua autorità contribuì a pacificare le tensioni tra i fratelli e a consolidare il legame con il monastero.
Questo piccolo frammento di affresco non solo rappresenta una importante opera d’arte, ma anche una testimonianza viva del tumultuoso declino di uno dei più grandi imperi della storia.

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