IQ: 19/07/2013 – Il 19 luglio 1992, dopo aver pranzato a Villagrazia con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino si recò insieme alla sua scorta in via D’Amelio, dove viveva sua madre.
Una Fiat 126 parcheggiata nei pressi dell’abitazione della madre con circa 100 kg di esplosivo a bordo detonò al passaggio del giudice, uccidendo oltre a Paolo Borsellino anche i cinque agenti di scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto fu Antonino Vullo, scampato perché al momento della deflagrazione stava parcheggiando uno dei veicoli della scorta.
Questa è la cronistoria di una morte annunciata, quella di Paolo Borsellino, assassinato 21 anni fa perchè era un giudice scomodo, che metteva il naso in affari scomodi, roba di mafia e Stato.
Il 19 luglio 2013, tutta Italia ricorda l’uccisione del giudice Borsellino. 21 e 56 sono numeri importanti per la memoria collettiva e la coscienza civile di un Paese.
21 sono gli anni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio, in cui vennero barbaramente uccisi, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, 56 sono i giorni di distanza da una uccisione all’altra.
Dopo 21 anni, i mandanti delle stragi di Capaci e via D’Amelio, sono ancora sconosciuti.
Sempre alla ricerca di qualcosa. Inchieste perse o brandelli di storia che sembrano però portare in una unica direzione: alla trattativa Stato – mafia.
Ed è forse proprio per questo che non si arriva mai a nessuna verità, ad inchieste mai in grado di puntare più in alto. Di svelare quei tanti misteri avvolti nei due attentati.
In quei 56 giorni perché nessun magistrato ha mai avuto il tempo di interrogare il giudice Borsellino a seguito dell’uccisione di Giovanni Falcone?
«Non è solo la mafia che vuole uccidermi» svelava alla moglie il giorno prima di essere ammazzato.
E mentre a Palermo, con un processo che si è ufficialmente aperto il 27 maggio 2013, si cerca la verità sulla presunta trattativa tra Stato e mafia, a Caltanissetta si è avviato un altro dibattimento che riparte dell’agendina rossa.
Agenda che Paolo Borsellino portava sempre con sé, nella sua borsa. E che aveva anche quando la sua auto saltò in aria.
Le nuove indagini cercano di trovare nuovi riscontri attraverso le testimonianze del pentito di mafia, Gaspare Spatuzza (condannato a 15 anni per la strage di Via D’amelio, assieme a Fabio Tranchina e Salvatore Candura).
La storia di via D’Amelio, forse, rimarrà uno dei tanti punti interrogativi in Italia.
Nulla ridarà indietro un uomo di tale onestà e statura intellettuale e morale.
Ma sapere e conoscere la verità su quell’esplosione farà sì che non sia stato fatto invano il lavoro del giudice Borsellino. E che la sua vita non sia stata interrotta per nulla. Farà sì che la legalità e la lotta alla mafia continui in maniera ancor più forte e pressante.