di Cristiano Ottaviani (*)
Ammetto la mia colpa: ho stimato Matteo Renzi. Ho pensato che dal PD, una volta rimossa la crosta vetero e catto comunista, potesse venir fuori una nuova classe dirigente pragmatica e pronta a rapportarsi con il capitalismo in maniera non servile, ma riformista e adulta.La mia illusione è stata dettata dalla disperazione ed è finita poco dopo la nomina di Renzi a capo del governo, quando il neo premier si è mostrato nei fatti sulla stessa lunghezza d’onda con la linea economica di chi lo ha preceduto. Il problema è che attualmente non esiste un vera forza capace di portare avanti un progetto alternativo al suicidio renziano.A mio avviso non può considerarsi seria la proposta esoterica di Casaleggio e dei suoi portavoce, le nostalgie fumogene e fumose della sinistra radical chic e quelle per ora populiste di Salvini e della Meloni.I banchieri pensano solo al proprio “particulare”, mentre Berlusconi ed il suo colorito seguito è sempre più stantio e non rappresenta che se stesso.
Il governo Renzi è morto nelle sue possibilità riformistiche a causa anche del modo in cui è nato. Il pronunciamento, gradito a determinati poteri contro il malaticcio governo Letta junior, ha fatto dell’ex sindaco di Firenze più il garante di lobby amiche, che il portatore di un mandato elettorale. Il successo delle europee non tragga in inganno. Gli 80 euro al mese e l’inconsistenza degli avversari hanno dato a Renzi insieme ai suoi slogan vuoti, tutti rimangiati a urne chiuse, un credito molto più labile di quanto sembri.
L’ultima trovata dell’ avvilente carnevale funerario con cui questo governo ci sta seppellendo, è di qualche settimana fa: la crisi italiana è dovuta alle garanzie dei lavoratori. Renzi non ha esitato a contrapporre i garantiti a quelli che non lo sono, non per estendere le tutele a chi non le ha, ma per toglierle agli altri in nome della sua particolare visione di egualitarismo.Intendiamoci la riforma del lavoro Ichino, quella vera, è cosa seria. Il suo sistema di collocazione, ispirato al modello danese, è ottimo. L’ibrido decreto Poletti che proporrà il governo invece, senza ammortizzatori sociali e in piena crisi, in un paese dove tra l’altro il merito, vedi i ministri Boschi e Madia, sembra un concetto fermo alla dogana, è la facciata dietro cui nascondere altro.
Non potendo offrire una politica di sviluppo la maggioranza, per “tutelare” gli imprenditori, propone di degradare le condizioni dei lavoratori a quelli dei salariati dei paesi del terzo mondo. Renzi a causa dei diktat europei non può abbassare le tasse, né è in grado, nonostante le ciance, di risolvere il problema del’accesso credito e per questo motivo pensa, oramai disperato, di risolvere l’ira crescente di Confindustria con i licenziamenti facili e una radicale trasformazione dello statuto dei lavoratori.Sicuramente nel nostro paese le piccole medie aziende hanno esigenze diverse rispetto alle grandi.E’ vero anche che leggi indecenti, barattate in cambio di assistenzialismo industriale, hanno creato procedure di mobilità indegne di uno stato moderno, ma l’idea, che abbassare la garanzie del lavoro migliori l’economia, è smentita da ogni persona minimamente documentata e in buona fede. Produzione e ricchezza si legano alla tecnologia e al capitale umano utilizzati dalle imprese non ai bassi salari. Non a caso i paesi con lavoratori specializzati e che investono in formazione e ricerca hanno buone realtà economiche, mentre chi non lo fa, pur forse attirando investimenti stranieri, ha un capitalismo sottosviluppato e un rapporto con l’estero non molto diverso da quello dei vecchi stati coloniali.Renzi vuole stravolgere lo statuto dei lavoratori e l’art 18 senza troppe discussioni, contando sull’appoggio della stampa e sull’innata simpatia che questo argomento suscita in Berlusconi.Il Presidente della Repubblica, vegliardo attivo e mai stanco , fedele al suo duttile realismo lo appoggia. Non resta, se il governo non ci saranno costruttive negoziazioni, che lo sciopero generale, arma estrema delle organizzazioni sindacali che dovrebbero però avere a questo punto piena consapevolezza della partita.
Il mio augurio è che Renzi torni il prima possibile nella sua bella Firenze, se non altro perché equivoco. Meglio i gauleiter tedeschi che i governi falsamente nazionali, i nemici vanno visti in faccia. Il governo Renzi non è democratico riformatore, ma un maquillage del più becero parasittismo di casa nostra. Incapace di concepire la dignità e l’interesse patrio perché sterile di fronte alle dinamiche della storia, il suo liberalismo di facciata non è che corporativismo fazioso, il suo liberismo, svendita agli interessi stranieri e totale rinuncia ai compiti di garanzia e di sviluppo che lo stato invece è chiamato a garantire. Solo una coalizione, capace di individuare nel problema della sovranità economica il principale nodo della crisi italiana e di agire con realismo sui rapporti di forza esistenti, potrà ristabilire più giustizia sociale e un capitalismo nuovamente sano e competitivo.
(*) Giornalista Pubblicista – Vicecaporedattore Informazione Quotodiana