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Il XX Rapporto Einaudi sull’economia globale e l’Italia presentato in Assolombarda a Milano
LA RIPRESA? DIPENDE LARGAMENTE DA NOI
Per avere la certezza che la fine della crisi si sia trasformata in vera ripresa, e non in un semplice rimbalzo produttivo, bisognerà attendere i prossimi trimestri.
Mai si è vista una situazione così complessa sia nel mondo, sia a casa nostra.
Siamo sospesi tra orizzonti di speranza e il venir meno del vecchio ordine internazionale, economico e politico.
Certo, in un’Europa che fatica a trovare la propria misura, l’Italia si rivela in controtendenza, riprendendo a muoversi sul cammino, necessariamente lungo, del recupero e della ripresa e potremmo essere noi di esempio al Vecchio Continente.
E’ comunque la politica che deve offrire assistenza e indirizzo all’economia italiana anche se sembra non si sia ancora compiutamente espresso un disegno strategico in tal senso.
Questa la cornice del XX rapporto Einaudi sull’economia globale e l’Italia dal titolo “La ripresa, e se toccasse a noi?” curato da Mario Deaglio che si è avvalso di valenti collaboratori (Giorgio Arfaras, Anna Caffarena, Gabriele Guggiola, Paolo Migliavacca, Anna Paola Quaglia, Giuseppe Russo, Giorgio Vernoni) presentato in Assolombarda a Milano da Salvatore Carrubba, presidente del Centro Einaudi; Gianfelice Rocca, presidente di Assolombarda; Franco Polotti, presidente di Ubi Banca, che ha promosso lo studio; Alberto Bombassei, presidente di Brembo; Yoram Gutgeld, commissario governativo alla revisione della spesa; Victor Massiah, consigliere delegato di Ubi Banca.
Ed in tale cornice sono contenuti dati ed analisi spesso contraddittori, sempre di grande interesse.
Si va dall’economia lombarda che meglio ha retto la crisi (- 9,4% rispetto alla performance italiana -23,9%) con una chiusura in positivo dei bilanci aziendali nel 2015 e previsioni ancora migliori per il 2016 alla non ancora risolta crisi delle costruzioni, indispensabile pilastro per consolidare la ripresa; al profondo cambiamento nel mondo del lavoro sempre più provvisorio e insidiato, almeno a breve termine, dalla tecnologia, la quarta rivoluzione industriale, cui la Germania, a differenza dell’Italia, sta dedicando grandi risorse; al miglioramento globale della qualità della vita; all’aumento delle disuguaglianze che prima o poi potrebbe esplodere; all’Africa potenziale serbatoio per la ripresa nel mondo e nel contempo serbatoio di terrorismo; al Mezzogiorno che si allontana sempre più dalle ricche regioni del Nord; all’insostenibile debito pubblico.
La “sommessa conclusione” del Rapporto mette in rilievo che negli ultimi vent’anni l’economia italiana ha fortemente ridotto la sua presenza in settori chiave (elettronica, chimica, farmaceutica, finanza); ma nel contempo, anche, attraverso l’ associazione con industrie straniere, registra successi nell’auto, nel tessile di qualità, in nicchie di elettronica e di meccanica di precisione, nella filiera alimentare, nel turismo, nei servizi.
L conclusione è contenuta in un sogno ragionevole. L’aumento della domanda interna del 2-2,5% per dieci anni porterebbe il rapporto debito pubblico/Pil a meno del 120%, creando 150-200.000 occupati l’anno.
Un futuro possibile. Ma è anche probabile?
Dipende largamente da noi, dalla politica economica e dalla “politica familiare” delle spese e dei risparmi. Sperando che non succedano disastri a livello di economia globale, di società europea, di assetto climatico, sì, ce la possiamo fare.