Padre e figlio, legati a doppio filo dalla stessa maledizione, uniti fino all’ultimo, divisi per sempre da un’overdose di cocaina e cannabis. Gerardo Ventrella, 53 anni vissuti pericolosamente nelle periferie di Torino, pensava di essere uscito dal tunnel della droga. Ne era talmente convinto da aver scritto un libro, nel quale, con il suo linguaggio sgrammaticato, nel 2007 aveva raccontato al figlio Samuele — allora appena adolescente — il suo percorso a ostacoli fra malattie, arresti e tentativi di recupero. Il messaggio era chiaro: «Vivi fino in fondo la tua vita, ma non farti trascinare da un baratro dal quale non riuscirai a emergere». Tredici anni dopo la pubblicazione de «Il mio quartiere» (editore Lampi di Stampa), Gerardo e suo figlio, oggi 25enne, sono stati trovati in strada, privi di conoscenza, a due passi dal lungomare di Lido di Camaiore, in Versilia.
Si erano sentiti male, a mezz’ora di distanza l’uno dall’altro, probabilmente per un’overdose di cocaina e marijuana, mischiata ad alcol. Quando la prima ambulanza è arrivata in via don Minzoni, Samuele era già in arresto cardiaco. I volontari del 118 hanno cercato di rianimarlo e all’ospedale di Massa hanno tentato anche con l’ossigenazione extracorporea, ma il giovane operaio torinese è morto poco dopo il ricovero. Gerardo è stato soccorso all’angolo fra via Foscolo e via Santa Caterina, non troppo distante da una sala bingo. Lo hanno portato all’ospedale Versilia, intubato e in prognosi riservata, ma non dovrebbe essere in pericolo di vita. Le prime analisi eseguite nei due ospedali hanno confermato un alto tasso di droga e alcol nel sangue e la Procura ha aperto un fascicolo per morte come conseguenza di un altro delitto.