“Giovanissima e immensa”. Ritratto della nostra società alle soglie del new normal.
Libro di Achille Colombo Clerici ediz. Casagrande Lugano Milano. Interviste di Antonio Armano. Nelle librerie da Natale.
Anticipiamo uno stralcio del libro in cui si parla di convivialità e del Rajberti:
«Sarò anch’io de’ convitati?» L’incognita nell’arte di apparire. La reazione di Don Alfonso, quando Guglielmo dice «In onor di Citerea un convito voglio far», propone l’eterno dilemma mondano in chiave mozartiana: «esserci o non esserci». O, ancor peggio, invitato o imbucato?
“Umbra” come viene definito l’imbucato da Erasmo da Rotterdam nei suoi Adagia, riecheggiando Quinto Orazio Flacco. Esiste anche una declinazione milanese e ottocentesca della questione. Da Cosi fan tutte al medico Giovanni Rajberti – autore del più celebre Viaggio di un ignorante –, il quale pubblica nel 1850 e ’51 L’arte di convitare. Un ironico libro, accolto come un cavolo a merenda nella Milano in stato d’assedio che segue la repressione delle Cinque Giornate, e dove festeggiamenti e leggerezze varie sono bandite, anche per il rischio di trovarsi in casa una spia.
Naturalmente il Rajberti ne è consapevole e si giustifica nella prefazione: «Come sia nato in me il pensiero di questo libro non saprei dirlo in coscienza, perché non me ne ricordo più. Era in parte già fatto assai prima dei trambusti che fecero dimenticare tante inutili cose. Ora, da alcuni mesi ripigliai la penna, e di mano in mano che l’argomento mi dettava pagine una più matta dell’altra, il cuore mi diceva con forza sempre crescente, che io mi allontanava troppo dalle esigenze dei tempi, e che adesso il pubblico non si mena più a spasso con delle parole (che sciocco d’un cuore!), e che la gente non ha più voglia di ridere. E io gli rispondeva: “Taci, bestia, che i muscoli del riso non sono scomparsi dalle facce degli uomini, e siccome gli uomini usano delle loro facoltà finché possono, così in questo mondo si riderà sempre, per quanto gli affari vadano alla peggio: e meno c’è da ridere sulle cose grandi, più si ha bisogno di rivolgersi alle cose piccole”».
Rajberti definisce per sommi capi il Galateo come «l’arte di stare col prossimo il meno male per sé e per gli altri, ossia l’arte di vivere in società», e si inserisce, sia pure in modo parodistico, nel solco di una lunga tradizione italiana di manuali popolarissimi…