Proseguiamo nel nostro percorso con il qualificato ed esaustivo intervento della Dirigente scolastica Professoressa Patrizia Sciarma, la Presidente della Rete Nazionale Istituti professionali indirizzo Servizi per la Sanità e l’Assistenza Sociale e la Vice Presidente di CONFASSOCIAZIONI Cultura e Istruzione con delega all’Istruzione Professionale. In particolare il suo occhio vigile e competente ha spaziato nella vasta e complessa dimensione dell’Istruzione Superiore Professionale e Tecnica, con un focus importante sulla questione dell’orientamento scolastico post diploma che ha vissuto la situazione straordinaria dello scorso anno che ha di fatto impedito interventi in tal senso in presenza per i quarti e i quinti anni.
1) Professoressa Sciarma, iniziamo con una panoramica sull’offerta formativa e lavorativa degli Istituti Superiori Professionali ad indirizzo socio-sanitario, sulle loro peculiarità e potenzialità.
Dopo la Riforma dell’istruzione professionale avviata nel 2017, il diplomato dell’indirizzo “Servizi per la sanità e l’assistenza sociale” andrà a possedere specifiche competenze utili a co-progettare, organizzare ed attuare, con diversi livelli di autonomia e responsabilità, interventi atti a rispondere alle esigenze sociali e sanitarie di singoli, gruppi e comunità, finalizzati alla socializzazione, all’integrazione, alla promozione del benessere bio-psico-sociale, dell’assistenza e della salute in tutti gli ambiti in cui essi si attuino e/o siano richiesti; andrà, pertanto, a realizzare attività di supporto sociale e assistenziale per rispondere ai bisogni delle persone in ogni fase della vita, accompagnandole e coadiuvandole nell’attuazione del progetto personalizzato, coinvolgendo sia l’utente che le reti informali e territoriali.
Nonostante l’alto profilo, corrispondente ad un quarto livello EQF, quest’ultima riforma non ha tuttavia sanato la questione, drammaticamente aperta con il riordino del 2010, dell’assenza di concreti sbocchi professionali dei diplomati di questo indirizzo di studio, poiché al profilo in uscita dall’istruzione secondaria non corrispondono precise figure professionali immediatamente reclutabili nel mercato delle professioni sociali e sanitarie.
Per portare un contributo fattivo di riflessione e ricerca alla risoluzione del problema, stimolando anche il dialogo interistituzionale tra i vari soggetti coinvolti (Stato, Regioni, Ministeri dell’Istruzione, della Salute, del Lavoro) è nata quattro anni fa la Rete Nazionale degli Istituti ad indirizzo Servizi per la Sanità e l’Assistenza Sociale (RE.NA.I.S.SAN.S), che attualmente mi onoro di presiedere e che ha posto la questione all’attenzione dei decisori politici di tutti i governi che in questo lasso di tempo si sono avvicendati. Soluzione che non può più essere rimandata, poiché il permanere di tale aporia si ripercuote duramente sulla motivazione di studenti e insegnanti, non solo per l’assenza di sbocchi occupazionali certi e ufficiali in linea con questo tipo di formazione, ma soprattutto a causa del paradosso che è sotto gli occhi di tutti, ancor più clamoroso da quando è scoppiata la pandemia: quanto più c’è richiesta di tali operatori nell’ambito delle professioni socio-sanitarie, tanto è maggiore l’inerzia della politica nel soddisfare tale domanda. Va detto infatti che i nostri diplomati trovano impiego molto facilmente e molto rapidamente, nel privato e nel privato sociale, ma con inquadramenti contrattuali decisamente inferiori alle loro competenze; una stortura non imputabile ai datori di lavoro, ma al sistema.
Non siamo certo ignari delle difficoltà e dei costi che incontra oggi il welfare, naturale settore di sbocco per i nostri diplomati, ma è anche vero che l’emergenza legata alla pandemia ha messo definitivamente e drammaticamente in luce tutte le criticità di un modello di welfare che non regge più. Infatti nel PNRR Missione 6/Salute si comincia ad intravedere una prospettiva di cambiamento, legata essenzialmente alle misure volte a realizzare l’assistenza di prossimità e la telemedicina. In molte scuole della Rete sono in atto sperimentazioni all’avanguardia che vanno esattamente in questa direzione, riaffermando nel contempo e con forza la vocazione sociale del nostro indirizzo di studi. Non si tratta, infatti, di un diploma che immette in canonici processi produttivi, ma di un percorso che forma lavoratori e lavoratrici che si fanno carico di quella parte di umanità divenuta estranea alle logiche di profitto, considerata improduttiva, e collocata nel cono d’ombra del PIL. La prospettiva, quindi, non è solo di trovare a questi giovani un posto di lavoro che sia adeguato al loro profilo, ma di ricostruire, grazie alla carica di umanità che da essi promana, la trama di una rete sociale spesso smagliata dall’atteggiamento incurante degli adulti. Insomma, la battaglia è anche e soprattutto culturale.
2) A Suo avviso qual è e quale potrà essere in futuro il ruolo delle Fondazioni ITS e in particolare quelle delle Nuove Tecnologie della Vita e quale appeal può esercitare questa tipologia di studi sui giovani diplomati nell’ambito sanitario?
Personalmente ho sempre ritenuto gli ITS lo sbocco per così dire “naturale” dell’istruzione tecnica e professionale, promuovendo specifiche azioni di orientamento rivolte agli studenti e alle famiglie. L’istituto che dirigo, l’I.I.S. “VIA DI SAPONARA 150” di Roma, oltre a due indirizzi professionali (il succitato Servizi per la Sanità e l’Assistenza Sociale e l’indirizzo Servizi Commerciali per il Turismo accessibile e sostenibile) ha anche un indirizzo Tecnico Economico – Amministrazione Finanza e Marketing – a cui in particolare si è rivolto l’intervento di orientamento che la Fondazione ITS Nuove Tecnologie per la Vita presieduta dal Prof. Giorgio Maracchioni ci ha riservato lo scorso 30 settembre, con la collaborazione di Confassociazioni Terzo settore, nella persona del Dott. Massimo de Meo, e della Fondazione Roma Litorale, presieduta dal Dott. Stefano Galloni. Anche sul versante istituzionale molto è stato fatto negli ultimi anni dal Ministero e dagli Uffici Scolastici Regionali per far conoscere e promuovere gli ITS. Nel Lazio particolarmente incisiva è stata la campagna di informazione voluta e attuata dall’ex Direttore Generale, Dott. Gildo De Angelis, attraverso numerose iniziative che trovano continuità nell’attuale direzione del Dott. Rocco Pinneri. Tuttavia, si tratta di un canale dell’istruzione terziaria ancora non sufficientemente entrato nell’immaginario e nelle prospettive concrete di chi si accinge a scegliere come e dove proseguire gli studi dopo il diploma. C’è ancora molto da fare per superare quello che forse è ancora un pregiudizio culturale, una resistenza tutta italiana al cambiamento e all’innovazione, nonostante gli indubbi e molteplici vantaggi che il percorso formativo offre ai neodiplomati. Per coloro in particolare che escono con un diploma in Servizi per la Sanità e l’Assistenza Sociale vedo piena coerenza sia con il profilo del TCF (Tecnico per il Controllo Qualità in ambito farmaceutico), che soprattutto con il profilo del TSC (Tecnico per il Controllo Qualità dalla Supply Chain al prodotto per la salute).
3) Donne e STEM: un binomio possibile. Strategie e suggestioni per le giovani motivate ad essere attrici di eccellenza nel colmare il gender gap nelle discipline scientifiche.
Questo tema così attuale e sensibile mi tocca da vicino in quanto donna e dirigente, poiché partendo da una formazione prettamente umanistica, nella professione ho dovuto necessariamente acquisire on the job competenze gestionali imprescindibili da conoscenze basilari di natura scientifico-matematico-statistica, nonché tecnologica. Pertanto, mi piace fornire sul tema un punto di vista legato al mio vissuto di dirigente scolastica di un istituto che insiste su un’area cosiddetta a rischio della periferia sud della capitale. Soprattutto nei due indirizzi professionali, e in particolare in quello socio-sanitario, l’utenza della mia scuola è in gran parte femminile. Elevata è anche la percentuale delle ragazze di origine straniera, comunitaria ed extra-comunitaria. Quello che noto, sia al biennio nella disciplina Scienze Integrate, che al triennio in Igiene e Cultura Medica, è che un approccio metodologico innovativo gestito da docenti competenti e motivati, mirato all’acquisizione di competenze e basato su unità di apprendimento che partono dall’assegnazione di “compiti di realtà” e studio di casi, coinvolgono le studentesse in un processo di apprendimento significativo, interiorizzato e duraturo che spazza via in un sol colpo tutti i pregiudizi sulla presunta scarsa attitudine delle ragazze allo studio delle materie scientifiche. Bisognerebbe riflettere molto su questo aspetto per innovare radicalmente e sistematicamente le metodologie didattiche nelle discipline STEM, in tutte le scuole di ogni ordine e grado.
4) Qual è la Sua opinione circa l’orientamento scolastico nello specifico nel Lazio e in generale in Italia con i suoi eventuali punti di forza, criticità e prospettive.
Mi rifaccio alla risposta precedente per affermare con assoluta convinzione la natura formativa dell’orientamento. Informare va bene, ed è necessario farlo in corrispondenza degli snodi del sistema di istruzione, nei passaggi tra un ciclo e l’altro, quando si è chiamati ad operare delle scelte precise. Ma la scelta si rivela efficace solo se consapevole, maturata nel tempo, e la consapevolezza nasce da processi formativi di lungo periodo. In questa ottica l’orientamento permanente dovrebbe essere parte integrante del percorso scolastico, dalla scuola dell’infanzia all’università, e dovrebbe generare competenze trasversali che la persona si porta dietro per tutta la vita lavorativa. Nelle Linee guida sull’Orientamento che il Ministero dell’istruzione pubblica periodicamente questi principi sono fondanti e ribaditi con forza. Tuttavia, nella pratica, nelle scuole, nel Lazio come più o meno ovunque in Italia, la situazione reale è ben diversa. C’è scarsa consapevolezza del valore orientante delle discipline in se stesse e degli assi culturali, così come delle attività extracurricolari e di quella che un tempo veniva chiamata Alternanza scuola-lavoro e che ora, più correttamente, ha preso il nome di PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento). Anche a livello istituzionale si organizzano grandi eventi, fiere, workshop, per illustrare il vasto panorama delle offerte formative, ma il più delle volte i ragazzi e le famiglie escono da queste giornate più storditi e confusi che mai. A livello di singolo istituto si possono attivare progetti mirati, anche in collaborazione con enti esterni. Mi riferisco, per esempio, a percorsi collaudati come AlmaDiploma e AlmaOriéntati, in collaborazione con l’Alma Mater Studiorum di Bologna, o alle misure di accompagnamento di ANPAL che ci hanno consentito di attivare l’apprendistato di primo livello e di supportare i ragazzi nell’elaborazione del curriculum vitae e nell’acquisizione di soft skills per sostenere il colloquio di lavoro. Ma anche in questo ambito è necessario un cambio di passo, un salto di paradigma che innesti l’orientamento nella pratica educativa quotidiana e faccia assumere un habitus mentale permanentemente orientato a quella che potremmo definire una vera e propria “filosofia della scelta”.