Anno 321 a.C. Una colonna di soldati attraversa l’Oriente scortando un carro ricoperto d’oro e ornato di mosaici e dipinti. Sul carro vi sono un trono ed un sarcofago, chiuso da un coperchio d’oro e ricoperto da un drappo di porpora. Al suo interno giace uno dei personaggi più leggendari dell’Antichità: Alessandro III, re dei Macedoni, colui che, realizzando il sogno di suo padre Filippo, ha conquistato tutta l’Asia, arrivando fino alla foce dell’Indo. Dopo questo straordinario personaggio, la Storia non sarebbe più stata la stessa: l’Oriente allora conosciuto fu investito da un ancora oggi sorprendente fenomeno culturale chiamato “Ellenismo”, che ha coinvolto le arti, la religione, l’architettura, e il modo stesso di pensare degli uomini e donne dell’epoca. Un fenomeno durato almeno fino alla conquista romana, la cui civiltà ne subì anch’essa il fascino. Sappiamo per certo che Alessandro, conosciuto poi come “il Grande”, dopo aver sottomesso quella parte del globo, stava progettando di invadere anche l’Occidente, quindi anche l’Italia e l’ancora fragile Roma: abbiamo testimonianze storiche che documentano una certa preoccupazione serpeggiante tra i senatori della Repubblica. Ma il 13 giugno del 323 accadde l’impensabile: nella sua reggia a Babilonia (che Alessandro aveva eletto a nuova capitale del suo nuovo impero universale), al termine di una breve malattia il grande Macedone morì a soli 33 anni. Ancora oggi le misteriose febbri che lo colsero fanno avanzare in molti il dubbio che sia stato avvelenato in seguito ad un complotto, forse ispirato dal suo antico maestro, il filosofo Aristotele. In effetti, in molti erano scontenti della scelta di Alessandro di trasformare l’Impero in un modello di integrazione ecumenica di popoli e culture diverse. Il suo entourage macedone voleva infatti dominare i Persiani, non trattarli come pari. Il matrimonio del re con Rossane (figlia del satrapo della Battriana) e l’adozione dei costumi e del cerimoniale persiani (tra cui la famigerata proskynesis, ossia l’atto di prosternarsi davanti al re) era considerato dai rudi Macedoni, per i quali il sovrano era un “primus inter pares”, un affronto gravissimo. Oltre alla teoria del complotto potrebbe esserci anche una spiegazione più banale: se proviamo a leggere un po’ la sua biografia, possiamo ipotizzare che gli eccessi e gli strapazzi di una “vita spericolata” (i Macedoni erano dei formidabili bevitori…) potrebbero aver fatto la loro parte nella dipartita di Alessandro.
Comunque siano andate le cose, la sua salma, opportunamente imbalsamata alla maniera egizia, parte da Babilonia diretta nell’estremo ovest del deserto egiziano, dove si trovava l’oasi di Siwa, famosa per il santuario di Zeus-Ammon nel quale, anni prima, il Macedone fu riconosciuto dall’oracolo come figlio del dio e come tale consacrato di natura sovrumana e destinato a regnare su tutto il mondo. Le ultime volontà del re prescrivevano, infatti, di essere sepolto nell’unico luogo degno di accogliere le sue spoglie. Tuttavia, lo splendido sarcofago d’oro non sarebbe mai giunto a destinazione: il generale Tolemeo (uno dei suoi amici che si è spartito l’impero con gli altri generali, appropriandosi dell’Egitto di cui sarebbe diventato re, fondando così la dinastia tolemaica – o lagide – che finirà con Cleopatra VII) intercetta la processione mentre attraversa la Siria, prende in consegna il carro regale e tumula la salma a Menfi. Perché lo ha fatto? Ogni potere regale ha bisogno di una legittimazione, che sia divina o no. Nel caso di Tolemeo, ospitare il corpo di Alessandro in Egitto gli avrebbe conferito una potentissima giustificazione del potere regale da poco acquisito, nonché una condizione di primato sugli altri regni ellenistici nati dalla disgregazione dell’effimero impero alessandrino. Fu lui o il suo successore, Tolemeo II Filadelfo, a trasferire in seguito il corpo del Macedone nella nuova, meravigliosa capitale dell’Egitto: Alessandria. Da allora e per secoli il grande conquistatore riposò nel fastoso sepolcro, che fu oggetto di pellegrinaggi anche da parte di imperatori romani, finché…non se ne seppe più nulla! A pensarci bene, la cosa ha dell’incredibile perché non stiamo parlando di un anonimo individuo, ma di un personaggio conosciuto universalmente, per cui la sua tomba era sotto gli occhi di tutti, venerata e curata. Come ha potuto cadere così nell’oblio fino a non conoscerne più nemmeno l’ubicazione?
Già nel IV secolo d.C. Giovanni Crisostomo, in una sua omelia sulla vanità di ogni gloria terrena dice ai fedeli: “Dov’è, ditemi, la tomba di Alessandro?”. A distanza di secoli la domanda del padre della Chiesa è la stessa che ci poniamo noi. Leggende, fantasie, fake news giornalistiche hanno più volte annunciato nel corso degli anni di aver localizzato il sito del favoloso sepolcro il cui ritrovamento, è bene dirlo, rappresenta uno dei Sacri Graal dell’archeologia. Tuttavia, nessuno finora è stato in grado di fornire delle ragionevoli ipotesi sulla sua reale ubicazione. Dobbiamo anche dire che le testimonianze degli antichi scrittori non sempre sono chiare ed univoche, ma la loro lettura ci permette di ricavare alcune certezze. Ad esempio, sappiamo che già dal III secolo a.C. la tomba del Macedone si trovava ad Alessandria ed era nota come Sema (la “Tomba” per eccellenza) o Soma (il “Corpo”). Il geografo greco Strabone visitò la città intorno al 24-20 a.C. e riferisce che il sepolcro si trovava nei quartieri reali, in un recinto che conteneva le tombe dei re Tolomei. I quartieri reali, dunque. Ma dove? Mica facile: la reggia dei Tolomei era immensa ed occupava un quarto dell’intera città! Inoltre l’aspetto di Alessandria è stato stravolto nel corso dei secoli per cui resta pochissimo di quella che fu una delle più superbe città del mondo antico, capace di gareggiare in bellezza e fasto con la stessa Roma. L’esistenza del Sema è documentata ancora nella prima età imperiale: secondo lo storico Svetonio, Augusto visitò il sepolcro e depose sul capo della mummia di Alessandro una corona d’oro (celebre l’episodio in cui, quando gli venne proposto di visitare le altre tombe reali, Augusto rispose: “Sono venuto a vedere un re, non dei cadaveri”). Anche Caligola visitò il sepolcro, ma solo per spogliare la mummia della preziosa corazza d’oro. Altri imperatori romani visitarono il Sema, ma l’ultimo di cui si ha notizia è Caracalla, che tolse al feretro i gioielli e la tunica per poter “toccare con mano” quanto appartenuto al più grande condottiero della storia.
Il Sema entra ufficialmente nella leggenda agli inizi del III secolo d.C. Sono, questi, anni turbolenti, caratterizzati da forti tensioni sociali e religiose. Alessandria era teatro di gravi disordini e lotte tra pagani e cristiani in seguito agli editti teodosiani del 391 (una serie di provvedimenti atti a reprimere i culti pagani, ad esempio impedendo qualsiasi sacrificio animale e l’accesso ai templi, anche solo per ammirarne le opere d’arte…). Forse che la tomba e il corpo siano stati distrutti dalla furia iconoclasta dei cristiani? Oppure che i resti del Macedone siano stati spostati altrove dai pagani per salvarli dalla distruzione? Comunque sia, in questo periodo fioriscono un’infinità di leggende sul luogo di sepoltura di Alessandro, leggende alimentate anche dagli Arabi, che conquistarono la città nel 642.
Il Supremo Consiglio per le Antichità dell’Egitto ha riconosciuto ben 140 tentativi, effettuati negli ultimi secoli, di localizzare la tomba di Alessandro Magno. Vediamone qualcuno. Nel IX secolo è attestata l’esistenza di una moschea detta di Dhu’l Qarnayn, che si pensava contenesse la tomba del Macedone; nel 1850 Ambroise Schilizzi annunciò di aver scoperto la tomba nei sotterranei della moschea di Nabi Daniel ad Alessandria; nel 1879 un operaio disse di aver visto nei suoi sotterranei, oltre una porta, un cadavere in trono con in testa un diadema. C’è anche chi giurò di aver ricevuto dal nonno la mappa con il luogo di sepoltura del Sema. Nel 1996 l’archeologa greca Liana Souvaltsi annunciò di aver trovato il sepolcro nell’Oasi di Siwa, ma i frammenti di iscrizioni e lapidi trovate nel sito non affermano con certezza che si tratti di una tomba. Mentre tutti rincorrevano i sensazionalismi, quasi nessuno fece caso ad un monumento scoperto già nel 1907 dall’archeologo italiano Evaristo Breccia: una stanza di alabastro costruita con pochi blocchi colossali. La stanza era perfettamente levigata all’interno, mentre all’esterno appariva grezza, segno che doveva essere stata interrata. Era ubicata nel Cimitero Latino di Alessandria, in una zona che dovrebbe corrispondere all’ala sud-est del Palazzo reale dei Tolomei. Negli anni Trenta un altro archeologo italiano, Achille Adriani, studiò questa stanza ricordando alcune testimonianze degli autori antichi: Pausania, ad esempio, scrisse che Alessandro era stato sepolto “alla maniera dei Macedoni”, quindi camere sotterranee ricoperte da tumuli di terra. Adriani sviluppò l’ipotesi che la camera di alabastro fosse un elemento del più vasto complesso destinato ad accogliere le spoglie di Alessandro. Nel 2014 fece scalpore la notizia del ritrovamento ad Anfipoli, nella Macedonia centrale, di una grossa sepoltura di età ellenistica, attribuita ad Alessandro Magno. In essa fu rinvenuto anche uno scheletro, attualmente studiato per determinarne l’identità. Questa tomba ha un aspetto monumentale ed ostenta opulenza e ciò fa pensare che lo scheletro appartenga a una persona di rilievo nella società macedone. Ovviamente può essere chiunque, non necessariamente colui che tutti sperano.
Concludiamo con un’ipotesi alternativa, suggerita dal programma “Mystery Files” del National Geographic. In un episodio si ipotizzava che il corpo del Macedone non si troverebbe più ad Alessandria ma a Venezia, dove sarebbe stato portato nell’828 da due mercanti veneziani che lo avrebbero scambiato per il corpo di San Marco Evangelista, che proprio ad Alessandria avrebbe subito il martirio. Erano gli anni della conquista musulmana e per recuperare le reliquie del santo messe in pericolo dalla furia islamica, il Doge Giustiniano Partecipazio inviò i due mercanti nella città. Secondo “Mystery Files” le ossa prelevate da Alessandria e portate nella Basilica di San Marco a Venezia, dove sono tuttora venerate dai devoti, potrebbero in realtà essere quelle di Alessandro Magno, che sarebbero state scambiate con quelle del santo evangelista. Attualmente, nessuna analisi scientifica è stata effettuata per confermare o smentire tale ipotesi.
La caccia alla tomba di Alessandro è quindi ben lungi dall’essere conclusa: è un’epopea che dura da secoli, non meno affascinante ed avventurosa delle imprese stesse del Macedone.