Questa rubrica non vuole parlare in linea generale del mondo dell’economia sociale e non desidera soffermarsi su come questa realtà, sempre più importante nel nostro Paese, stia cambiando in maniera significativa. Non intende farlo in maniera astratta ma desidera invece far vedere cos’è l’Economia Sociale tentando di “fotografarne” alcuni modelli virtuosi . Prima però di intraprendere questo viaggio è necessario definire mappa e regole di ingaggio con cui si vuole esplorarne la realtà. Bisogna intendersi anzitutto su cosa sia l’ “Economia Sociale” e per farlo è necessario chiarire termini simili e spesso confusi come No Profit, Economia Civile e Terzo Settore.
Se No Profit è una termine fondamentalmente economico atto a indicare lo scopo non di profitto tipico invece dei soggetti di mercato classico, l’espressione Terzo Settore meglio sottolinea una definizione di carattere più sociologico che vuole sottolineare il ruolo della società civile. Si tratta di quei soggetti, che attraverso forme di organizzazione democratica, tendono a svolgere specifici compiti di utilità pubblica in collaborazione con gli enti dello stato e i privati. Il legislatore ha escluso dalla categoria del Terzo Settore realtà come partiti, sindacati e fondazioni bancarie per la loro particolare natura politica e finanziaria mentre vi fa rientrare tutte le altre organizzazioni senza finalità di lucro e democraticamente strutturate rispondenti a specifici requisiti giuridici.
L’Economia Civile invece, stando alla definizione che ne danno Luigino Bruni e Stefano Zamagni, è la teoria economica che si ispira all’ umanesimo civile e ancor prima a grandi pensatori della classicità quali Aristotele, Cicerone oltre che a a teologi come San Tommaso d’ Aquino o della scuola francescana.
Si tratta di un pensiero civile di cui è ipotizzabile tracciare uno specifico profilo storiografico che caratterizza in particolare le vicende secolari del nostro Paese. E’ possibile notare questa storia nelle regole monastiche, nelle forme precapitalistiche tipiche dell’ultima fase del nostro medioevo e poi ancora osservarla attraversare come un fiume carsico i secoli bui per riemergere a tratti nel pensiero e nell’ opera del mondo cattolico e della sua dottrina sociale o nelle tradizioni legate a parte importante del nostro laicismo democratico, quale le leghe cooperative mazziniane e socialiste già presenti nella seconda parte del XIX secolo.
Questa tradizione, spesso inconsapevole del nostro Paese e su cui gli italiani, come in molti altri campi in cui pur avendo eccellenza non hanno fiducia, è la stessa che ha portato a fenomeni capitalistici originali quali la storia imprenditoriale e civile di Adriano Olivetti o alle prime cooperative sociali integrate nate dopo la Legge Basaglia per dare inserimento sociale alle persone affette da problemi psichiatrici di cui parla il film “ Si può fare” con Claudio Bisio.
Zamagni e Bruni insistono molto sull’ originalità dell’ economia civile sottolineandone i legami con il nostro illuminismo.
Effettivamente fu nel XVIII secolo che l’economia divenne quella di Adam Smith anche se sempre nello stesso periodo Antonio Genovesi, Ludovico Muratori e Gaetano Filangeri tentavano attraverso il concetto di “ economia civile” di darne un’altra definizione. Smith , uomo dal pensiero ricco e profondo, era convinto che il mercato fosse uno strumento di crescita civile ma non considerava l’idea di economia estesa a valori non strumentali. Per i sostenitori dell’economia civile invece l’attività economica può essere anche espressione di uno spazio di condivisione non utilitaristica e finalizzata al profitto perché questa dimensione è intrinseca alla natura sociale degli esseri umani e piena espressione delle virtù civili. Per i nostri pensatori l’economia civile andando oltre il mero utilitarismo è capace, più del mercato finalizzato a se stesso, di produrre un diffuso benessere in grado di appagare da diversi punti di vista gli esseri umani.
Ovviamente questa visione si presta a critiche da parte di molti economisti tradizionali tesi con la loro disciplina soprattutto negli ultimi decenni a considerare “ sovrastrutture” le interpretazioni psico sociali e le chiavi di lettura antropologico culturali del contesto economico, che invece a nostro avviso dovrebbe essere concepito sempre in maniera interdisciplinare e come aspetto olistico del fenomeno sociale.
L’Economia Civile piace anche a chi non ama più di tanto il “libero mercato” e spesso prova a usarla per cercare di creare una contrapposizione. Alcuni sostengono infatti che l’Economia Civile, sia pure diversamente definitiva, debba essere un modello opposto all’attuale “ Capitalismo”; quasi una rivincita dopo il fallimento delle teorie marxiste e stataliste del secolo scorso.
In realtà l’Economia Civile, che generalmente adopera i propri utili per reinvestire nello sviluppo delle sue attività, non è solo in grado di produrre ricchezza ma è anche capace di convivere con il profit tradizionale arricchendo la pluralità delle offerte e le possibilità di ricche e utili sinergie. L’homo reciprocans dell’economia civile non esclude ma coopera con l’ homo oeconomicus a cui offre una possibilità e un canale attraverso cui organizzare la propria attività.
In un mondo che richiede sempre più qualità e conoscenza e in cui il ruolo della tecnologia è destinata a crescere in maniera esponenziale è interessante domandarsi come questa visione cooperativa e della reciprocità non strettamente utilitaristica finalizzata al lucro, possa essere una forma importante con cui organizzare la società superando un modello che spinge ad un eccesso di competitività e alla conseguente alienazione.
E’ mia convinzione che l’economia civile potrà avere successo se stimolata in modo opportuno culturalmente e anche attraverso interventi politici specifici in grado di incentivarla, ma che non debba mai essere imposta dall’alto cosi come sarà inoltre fondamentale fissare il suo contesto naturale di sviluppo nell’economia di mercato avanzata ovvero della libertà. L’Economia Civile per essere forte ha bisogno non dello Stato, ma di gruppi spontanei organizzati intorno ai corpi intermedi. Ha la necessità di uscire dalla cappa protettiva della burocrazia per rapportarsi invece, sia pure con gli opportuni strumenti ,alla realtà del fare impresa, ai criteri della buona gestione economica e alla razionalità dei bilanci.
Lo stesso termine “competizione” ,a cui l’economia civile contrappone per definizione quello di “cooperazione” , non deve essere demonizzato se con questa parola vuole intendersi la capacità di saper innovare il proprio prodotto anche sociale. Se l’economia è la proiezione di una cultura, le realtà dell’ Economia Civile fatte da storie significative deve essere pronta nel nuovo ordine post pandemico ad affrontare la sfida ricordando a tutti quanto può essere fondamentale cooperare, creare ricadute sociali, organizzarsi in maniera democratica e saper fare investimenti senza tenere immediatamente conto dei profitti individuali.
L’Economia Sociale non è altro che la veste operativa di tutto quello di cui abbiamo parlato. Ci interessa darne una fotografia più che soffermarci sui sistemi perché siamo convinti che l’attività economica come quella sociale sia prima di tutto vita reale, risultati concreti frutto del lavoro e delle idee e che questi fatti da soli, più di qualsiasi teoria, possano fornire esempi di ispirazione e eccellenza.
L’Economia Sociale, non essendo un’ idea ma una realtà specifica, restringe la sua definizione pur variabile ai soggetti no profit appartenenti al terzo settore che agiscono secondo i principi dell’ Economia Civile. Possono farne parte vere e proprie imprese ( è il caso delle cooperative e delle imprese sociali), Fondazioni non bancarie, Associazioni che esercitano anche attività commerciali o Mutue.
Recenti scandali come quello di “Mafia Capitale”, che hanno colpito da vicino grandi cooperative romane, hanno posto degli interrogativi all’ opinione pubblica su quanto queste esperienze possano essere considerate frutto di una cultura retorica legate a rendite clientelari.
Sicuramente l’ Economia Sociale ha i suoi nei.
E’ inutile negare la forte presenza di soggetti che interagiscono in questa realtà sfruttando rendite di posizione politica, che non sanno innovarsi e che spesso usano la loro natura sociale per ottenere favori di legge, aggirando i normali meccanismi del mercato a cui invece sono vincolati le imprese profit.
Se questa realtà c’è ed è bene tenerne conto, è vero tuttavia che ne esiste anche un’ altra. E’ quella scelta da ragazzi spesso con un curriculum di studi brillante che decidono di investire la loro vita in qualcosa di diverso rispetto alla logica del guadagno materiale.
E’ quello di disabili che hanno deciso di non vivere di assistenza ma di unirsi e farsi forza creando realtà “ competitive” importanti in grado di gareggiare in eccellenza con il mondo profit.
E’ quella di un mondo che sa interagire con la cultura, con la ricerca anche accademica e sa creare positive commistioni con le istituzioni e le imprese private. E’ il riscatto dell’ uomo attraverso il lavoro che diventa anche altro, la socialità che sa farsi impresa, la cooperazione che riesce a essere sanamente competitiva. Il nostro scopo con questa rubrica sarà quello di volervi descrivere questo mondo contro ogni retorica e pietismo, convinti della sue forza e bellezza.
Per saperne di piu:
Luigino Bruni, Stefano Zamagni, Economia civile. Efficienza, equità, felicità pubblica, Il Mulino, 2004.
Stefano Zamagni, L. Bruni, Dizionario di economia civile, Città Nuova, 2009.
Ludovico Antonio Muratori, Della pubblica felicità, Donzelli Editore ( 1996); 1749
Antonio Genovesi, Lezioni di economia civile, a cura di F. Dal Degan,Vita e Pensiero( 2013), 1765