IQ. 17/03/2013 – A volte, anche nella turbolenta e spessa atmosfera di Giove si aprono degli spiragli che ci permettono di indagare cosa succede negli strati più profondi del più grande pianeta del Sistema solare.
Queste zone, di colore più scuro, prendono il nome di Hot spot, ovvero ‘punti caldi’ poiché nell’infrarosso risultano molto più brillanti di quelle circostanti, indice di temperature più elevate. La loro natura e i fenomeni che ne modellano continuamente la loro forma e ne determinano gli spostamenti all’interno della complessa circolazione dell’atmosfera gioviana sono da decenni oggetto di approfonditi studi da parte di ricercatori di tutto il mondo. Un grande passo in avanti arriva oggi da un lavoro guidato da David Choi, del Goddard Space Flight Center della NASA. Lo studio si basa sulle riprese fatte dalla sonda Cassini in occasione del passaggio ravvicinato a Giove del 2000, necessario per fornirgli la spinta gravitazionale che gli avrebbe fatto raggiungere quattro anni più tardi il suo obiettivo scientifico, ovvero Saturno e il suo sistema.
“Questa è la prima volta che è stato possibile seguire in dettaglio l’evoluzione nel tempo della forma e degli spostamenti di numerosi punti caldi, che è il modo migliore per apprezzare la dinamica di queste strutture atmosferiche” sottolinea Choi. Per far questo il team ha ricostruito una serie di animazioni con le centinaia di immagini scattate da Cassini durante il suo massimo avvicinamento al pianeta. I filmati più interessanti sono quelli che seguono l’evoluzione di una catena di hot spot situata circa 7 gradi a nord dell’equatore di Giove per circa due mesi, in cui sono ben evidenti le variazioni giornaliere e settimanali nelle loro dimensioni e forme.
Analizzando queste animazioni, i ricercatori hanno mappato i venti attorno ad ogni hot spot e hanno esaminato le loro complesse interazioni con vortici atmosferici. Per separare questi movimenti dalla corrente a getto presente nella zona dove sono presenti i punti caldi, gli scienziati hanno anche monitorato i movimenti di piccole e veloci nubi, simili per conformazioni a cirri presenti nell’atmosfera terrestre, usandoli come ‘traccianti’. Con il risultato di ottenere così la prima misura diretta della velocità del vento nella corrente a getto, che oscilla tra 500 e 720 chilometri all’ora, molto più di quanto si pensasse finora. I punti caldi invece sembrano prendersela più comoda, dato che si muovono a ‘soli’ 360 chilometri l’ora.
(Fonte Media Inaf)