Ing. Espinosa, lei sta sviluppando vari progetti a livello nazionale e regionale, tutti con un chiaro focus sull’impegno UE di riduzione delle emissioni di gas climalteranti del 55% al 2030. Può spiegarci da quali dati muoviamo e quali sono a suo avviso i trend?
Sì, vede, in Italia la riduzione delle emissioni dal 2005 al 2015 è stata dovuta soprattutto al maggior impiego del gas naturale, in sostituzione di petrolio e carbone.
Dopo il 2015 non c’è stata alcuna ulteriore decarbonizzazione dell’economia, c’è stato piuttosto uno “stallo”, per cui ora dobbiamo assumere nuovi impegni con un nuovo know-how, nuovi contenuti e soggetti attuatori.
Ing. Espinosa, cosa possiamo fare, che tipo di azioni è possibile intraprendere per superare tale stallo?
La decarbonizzazione dell’economia richiede ora un radicale cambiamento dei modi di produrre, spostarsi, abitare e del sistema energetico; conseguentemente, la presenza di una molteplicità di fattori e incertezze rende difficile individuare un percorso evolutivo in orizzonti temporali di medio – lungo termine. Il ricorso ad analisi di scenario può consentire ai ‘decision maker’ di orientarsi, a condizione che di tali analisi costituisca parte caratterizzante la predisposizione di meccanismi di garanzia dei risultati, con tempi certi e monitoraggi continui Occorre, insomma, verificare la capacità del processo che si attiva di produrre i risultati attesi; la somma dei contributi di settore alla decarbonizzazione deve portare alla richiesta riduzione del 55% al 2030.
Ingegnere, lei ha maturato una grande esperienza anche gestionale, ricordiamo che tra l’altro è stato consigliere d’amministrazione dell’ENEA (allora Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente, ora Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) quando era Presidente il Premio Nobel per la Fisica Carlo Rubbia (1999-2005), come ribaltare il diagramma piatto di questi ultimi anni?
È necessario l’impegno diretto del territorio, con un ruolo di primo piano dei Comuni, seguiti dalle Regioni. Occorre in particolare che i Comuni apprendano il come operare attraverso un’auto-abilitazione di scopo su un percorso specifico.
Cosa intende per abilitazione di scopo?
L’auto-abilitazione di scopo è un rafforzamento delle competenze esistenti, in ambiti preselezionati, che richiede un apposito Piano e un conseguente contratto di abilitazione con il Ministero dell’economia e della finanza (MEF), della durata di 1 anno, che muova dalle competenze ed esperienze già disponibili. In tal modo, il Comune assumerebbe responsabilità operative rispetto al MEF e all’intero Governo. Importante la contrattualità secondo il modello europeo, con un contributo iniziale e successivi pagamenti a fronte di progressi monitorati.
Quale settore di quelli di competenza delle autorità locali (servizi, residenziale, agricoltura, etc.) lei ritiene possa realisticamente consentire il conseguimento di tagli rilevanti delle emissioni?
Giusto, entriamo nel merito. Se consideriamo i dati messi a disposizione dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale ISPRA, relativi al settore civile, datati 2018, su un totale di 81,3 Mton CO2 eq. (milioni di tonnellate CO2 equivalenti) il contributo maggiore proviene dal residenziale, con 50,3 Mton, cui segue quello originato dai servizi, 23.3 Mton. Non considerando la parte agricoltura, 7,7 Mton CO2 eq. risulta che la parte urbana, residenziale più servizi, con i suoi complessivi 73.6 Mton, è la componente principale, insieme ai trasporti, del quadro emissioni 1990-2018. Un lavoro su tale componente può portare un contributo determinante in funzione pro-climatica e ciò può avvenire instaurando anche un rapporto diretto con le popolazioni locali, aperto a nuove e informate forme di partecipazione.
Molto interessante. Mi consenta di chiederle un chiarimento: lei ha fatto uso di dati del 2018, non abbiamo dati più recenti?
I dati che le sottoponevo sono a mio avviso i più completi, forniti da ISPRA in modo aggregato e coordinato nella Strategia italiana di lungo termine sulla riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra. Altri dati, anche successivi, appaiono meno attendibili per una loro non adeguata considerazione delle interrelazioni tra i diversi settori.
Chiaro. Consideriamo allora in modo più specifico il ‘residenziale’.
Consumi ed emissioni provenienti dal settore ‘civile residenziale’ sono passati dai 57,5 Mton CO2 eq. del 1990 ai 50,3 Mton CO2 eq. del 2018; si tratta di una diminuzione lenta e insufficiente In 28 anni, dal 1990 al 2018, le emissioni sono così diminuite del 12 %; cioè a un tasso dello 0,4 % all’anno, con diagramma piatto negli ultimi anni. Per imprimere una svolta, occorre l’impegno di tutto il Governo: queste emissioni sono una parte consistente delle emissioni complessive del Paese, il residenziale ha un profilo di priorità de facto. Applicando al settore l’obiettivo di una riduzione del 55% al 2030 rispetto ai valori del 1990, dovremmo porre in essere una riduzione che porti il residenziale a 25,9 Mton CO2 eq. Considerato il valore misurato al 2018, la riduzione da realizzare (da 50,3 Mton CO2 eq. del 2018 a 25,9 Mton del 2030) è pari a 24,4 Mton; stiamo cioè perseguendo il dimezzamento delle emissioni del settore in 9 anni, obiettivo che richiede una vera e propria discontinuità operativa.
Come si può mettere a terra quest’idea?
Per favorire questa svolta, si propone l’istituzione presso il MEF o enti e agenzie afferenti di un ‘Fondo’ ad hoc per clima, occupazione, territorio, responsabilità dei Comuni e delle Regioni’, che, autorizzato dal Comitato interministeriale Transizione Ecologica – CITE, possa erogare finanziamenti abilitativi ad hoc, a fondo perduto, a carico delle risorse Next Generation UE, del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – PNRR (settore immobiliare, pubblico e privato, economia circolare ed altro). Il contratto di abilitazione di scopo dei Comuni dovrebbe prevedere anche un limitato versamento iniziale, per finanziare le spese di messa a punto del Piano, seguito da pagamenti condizionati alla presentazione di adeguata documentazione e monitoraggi.
Cosa esattamente dovrebbe contenere il ‘Piano’ di cui lei parla?
Per accedere al Fondo MEF ai fini dell’abilitazione, il destinatario (Comune, Gruppo di Comuni, Città Metropolitana, Regione) dovrà presentare un ‘Piano’ di auto – abilitazione e interventi. Tale Piano conterrà una valutazione di costi, monitoraggi, risultati attesi, in accordo con l’obiettivo del 55% di decarbonizzazione al 2030. L’attuazione del Piano comporterà benefici sull’occupazione (anche permanente), sulla qualità dell’aria, sulla salute, e consentirà dei risparmi per i cittadini, dovuti al maggiore utilizzo dei servizi pubblici, potenziati e riqualificati.
Ogni Comune metterebbe quindi a punto il suo Piano secondo le specifiche esperienze, esigenze e scelte. In alcune relazioni da lei di recente presentate, viene sottolineato come centinaia di centri urbani – e in particolare Capoluoghi di provincia e Comuni con tra i 50.000 e i 200.000 abitanti – potrebbero così diventare protagonisti sul territorio della decarbonizzazione dell’economia.
Secondo le nostre stime, il Comune, ai fini del Piano, avrà mediamente bisogno dell’equivalente di 10 laureati, dal costo medio aziendale di 60.000 euro /anno, quindi, per 1 Comune, 600.000 euro; per 100 Comuni, 60 milioni euro /anno. Sono costi di incremento della capacità progettuale, programmatoria e di intervento, con monitoraggio e capacity-building. Si porrebbe in essere un’esperienza di finanziamenti pubblici europei – italiani ad elevato, monitorabile fattore di moltiplicazione della capacità di intervento; esempio di un modo di spendere utilmente i finanziamenti europei – italiani, creando un’industria dei servizi pubblici sostenibile.
Proposta davvero molto interessante, che pone la popolazione dei centri urbani come primo e decisivo soggetto che può interessarsi direttamente, nella sua città, al percorso di cambiamento, creando così – sue parole – una «constituency» di base a difesa del clima. Ing. Espinosa, lei viene da una lunga esperienza ENEA, ha utilizzato diverse stime dell’ISPRA, ma ha anche sempre mantenuto una linea di dialogo e collaborazione con il Consiglio Nazionale delle Ricerche – CNR e altri enti pubblici di ricerca, con centri di eccellenza e università pubbliche e private; che ruolo avranno tali enti nella realizzazione del suo Progetto?
Anzitutto l’Università Bocconi di Milano, eccellenza europea negli studi di economia e management, è già attiva sull’iniziativa e ha presentato il nostro Progetto. La Bocconi, che intende mantenere sui temi dell’energia, dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile forti rapporti di collaborazione con tutti gli enti di ricerca e alta formazione pubblici e privati, si è anzi offerta come punto di incontro di tutti gli operatori interessati ad un confronto quantificato, monitorato anno per anno, sugli sviluppi dell’azione volta al perseguimento degli obiettivi posti dall’Accordo di Parigi sul clima e ribaditi nel Green Deal europeo, nel PNRR e, più di recente, nella Proposta di Piano per la Transizione ecologica. La stessa Bocconi ha di recente presentato un proprio progetto di intervento proclimatico di livello internazionale, che dovrebbe coinvolgere importanti investitori privati. Rispondendo ora più in generale alla domanda, le università e i centri di ricerca potrebbero contribuire in modo assai rilevante all’impegno locale e nazionale per una svolta in accordo con il clima se accettassero di concentrarsi sul livello territoriale, locale e regionale, fornendo soluzioni estese fino al cosiddetto “ultimo miglio”, quindi riscontrabili e monitorabili in termini concreti.
Ing. Espinosa, lei è uno degli autori, con Enzo Tiezzi, di uno dei libri ‘storici’, I limiti dell’energia – come limitare i consumi energetici senza limitare lo sviluppo per un’Italia da 100 MTEP (1987), in cui venivano affrontati i problemi tuttora sul tappeto: il libro illustrava i caratteri generali dell’energia e i suoi vari tipi e sosteneva che le energie fossili, oltre che essere per loro natura non rinnovabili, sono responsabili, con la loro combustione, della formazione del più diffuso gas serra, la CO2, causa principale del crescente riscaldamento terrestre. C’è qualcosa che si sente oggi di raccomandare in relazione al perseguimento degli obiettivi di decarbonizzazione?
Anzitutto, all’inizio di dicembre si è a mio avviso registrata una svolta di interesse, assai concreta, da parte delGoverno, e in particolare il Presidente del Consiglio Mario Draghi, che, in sede di chiusura dell’Assemblea dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani – ANCI a Parma, ha lanciato una precisa richiesta di intervento pro-climatico a Comuni e Città metropolitane, quantificando in 50 miliardi il contributo finanziario pubblico in ambito PNRR. Ciò significa che, per esempio, una regione come l’Emilia Romagna potrebbe accedere a circa 5 miliardi (10% del totale), comprensivi degli interventi nei trasporti e dei finanziamenti per il Superbonus del 110% introdotto dal Decreto – Legge 19 maggio 2020, n. 34 (c.d. Decreto Rilancio), la cui attuazione rende necessario un intervento diretto e responsabile del Comune, in collaborazione con la Regione.
In secondo luogo, l’intervento coerente, coordinato e con puntuale verifica dei risultati da parte pubblica può associarsi positivamente ad un rilevante effetto di traino del finanziamento privato. Questo oggi appare fondamentale perché la difficoltà principale non sta più nelle quantità finanziarie disponibili, ma piuttosto nella capacità pubblica / privata di completare in modo regolare e concreto i progetti, conformemente agli impegni assunti a livello europeo.
Infine, sulla base di una lunga esperienza, posso affermare che la partecipazione diretta, informata, attiva anche nelle scelte individuali quotidiane in relazione agli obbiettivi da realizzare nel proprio comune – in particolare nei settori del residenziale, dei trasporti e dell’economia circolare – può rappresentare il nuovo e determinante fattore di successo nel cambiamento pro-climatico dello sviluppo, a partire dal territorio.