E’ stato l’archeologo per antonomasia ma anche uno dei simboli della mentalità avventurosa, romantica e intraprendente del XIX secolo. Sono trascorsi ieri 200 anni dalla nascita di Heinrich Schliemann, avvenuta il 6 gennaio del 1822 a Neubukow nel Granducato di Meclemburgo -Schwerin, in Germania.
Suo padre, un pastore protestante, gli aveva trasmesso sin da piccolo l’amore per le civiltà del passato. A sette anni gli regalano un libro per bambini sulla storia di Troia, allora ritenuta una leggenda, Schliemann si convince: l’avrebbe trovata. Tutto nella sua esistenza è stato difficile ma anche sfida dai tratti epici e insperato successo.
A nove anni perde la mamma, lo mandano a vivere dallo zio. Inizia gli studi ginnasiali ma deve interromperli a 14 anni a causa dell’indigenza della sua numerosa famiglia. Lavora come apprendista presso un commerciante e dimentica la sua precedente vita fino a quando, come scopriamo dall’ affascinante autobiografia, una sera sente un ubriaco recitare i versi di Omero in greco antico e in lui si risveglia qualcosa.
Costretto a interrompere il suo mestiere a causa di un incidente, decide di emigrare in Venezuela ma la sua nave naufraga sull’isola olandese di Texel. Lavora come fattorino ad Amsterdam e da autodidatta impara l’inglese, il francese, l’ italiano e il russo. Nelle sue memorie scrive di aver inventato un metodo tutto suo per apprendere le lingue. E’ certo che, grazie alle nuove conoscenze e alle tante amicizie, inizia a fare il commerciante a San Pietroburgo e poi negli Stati Uniti. In America c’è la febbre dell’oro e qui il giovane Schliemann gestisce miniere e presta soldi ai pionieri. Accusato di truffa, è costretto a lasciare gli Usa. Si trasferisce nuovamente a San Pietroburgo dove sposa Caterina Petrovna Lyschinla, la figlia di un ricco avocato della città. Grazie alla guerra di Crimea, in cui vende viveri e armi alle truppe dello Zar, diventa un magnate. L’ iperattività di Schliemann, appagata negli affari, si riversa sulle lingue e così nel giro di pochi anni impara l’arabo, l’ebraico e il tanto amato greco antico. Un po’ Paperon de Paperoni, un po’ Indiana Jones, raggiunta la maturità a 46 anni si ritira dagli affari per dedicarsi all’archeologia. Lascia la Russia e la prima moglie per sposarsi con una giovane greca Sophia Engastromenou che sarà sua compagna di avventure e da cui avrà due figli: Andromaca e e Agamennone. Viaggia in Oriente, visita la Cina, il Giappone e l’India e poi l’Italia, la Grecia e la Turchia. Fedele alle indicazioni di Omero nel 1870 inizia clandestinamente gli scavi in Turchia per cercare l’antica Troia. Le autorità del luogo e i proprietari dei terreni delle sue ricerche non la prendono bene e lo denunciano. Ottenute le autorizzazioni inizia a esplorare la collina di Hissarlik nella sponda orientale dello stretto dei Dardanelli. Dopo anni di scavi a sue spese, il 4 agosto 1872 trova armi, resti di mura e oggetti domestici di epoca antica. La collina era stata sede non di una, ma di ben otto diverse città distrutte nel tempo da incendi o terremoti. La prima risale all’età del bronzo, l’ultima di epoca romana al IV secolo d.C, tra queste Troia. La comunità scientifica è scettica. Lo accusano di essere un ciarlatano, un ricco dilettante senza titoli di studi, ma Schliemann durante le sue ricerche rivoluzione l’archeologia. Nei suoi scavi applica l’analisi stratigrafica appresa negli anni in cui dirigeva miniere in California, scheda i ritrovamenti che fa fotografare e disegnare. I suoi cantieri sono organizzati a perfezione grazie al suo rigoroso stile teutonico. Nel giugno del1873 è in procinto di chiudere gli scavi, quando trova in un vaso di rame diverse migliaia di gioielli d’oro. E’il tesoro di Priamo re dei Troiani, per molti la prova definitiva. Schliemann dopo aver nascosto la notizia ai suoi stessi operai, porta segretamente il tesoro in Grecia e poi in Germania. Quando i turchi lo vengono a sapere pretendono dal ricco archeologo il pagamento di una multa superiore al valore effettivo del ritrovamento. Schliemann paga senza batter ciglio. Divenuto proprietario legittimo della scoperta, la dona però alla Germania, sua mai dimenticata terra natia. Il tesoro, dopo l’invasione sovietica del 45, sarà segretamente portato a Mosca. Solo nel 1993, crollato il muro di Berlino, si saprà ufficialmente la verità e inizierà una disputa per la sua assegnazione che ancora persiste tra Russia, Grecia, Turchia e Germania.
La scoperta di Troia non fu l’ultima impresa di Schliemann che, seguendo le indicazioni degli antichi scritti, si reca a Micene dove trova tra le rovine nel 1879 l’antica agorà e le possibile tombe degli Atridi con diversi oggetti, tra cui quella che si pensa sia la maschera funebre di Agamennone.
I sogni e il desiderio di avventura lo accompagnano fino alla fine. Quando muore in circostanza un po’ misteriose a Napoli il 26 dicembre del 1890, progetta la scoperta di Atlantide, il continente perduto. Diceva di aver tradotto da giovane ai tempi di San Pietroburgo un geroglifico egizio in cui si narra di un faraone che aveva mandato una spedizione a occidente per cercare i resti dell’ antica terra da cui erano giunti gli egizi portando con loro i segreti di una conoscenza arcana. Schliemann si spense forse così, pensando all’ultima impresa che avrebbe voluto realizzare, a una carta ingiallita e al sogno di un bimbo che rende reale una fiaba. Ora riposa nel cimitero storico di Atene in una tomba di marmo bianco insieme alla moglie greca e alla figlia Andromaca. Il suo monumento funebre ha fregi dedicati a episodi della sua vita e alle narrazioni di Omero mentre lui è ritratto con il casco coloniale e con in mano l’Iliade.