“Zenobia, Regina d’Oriente, ad Aureliano Augusto. Mai nessuno ha osato chiedere quanto esige la Vostra lettera. È solo il coraggio che può decidere una guerra. Voi volete che io mi arrenda, ignorando che la regina Cleopatra preferì morire piuttosto che essere debitrice della vita, o di qualsiasi onore, a un padrone. Noi attendiamo imminenti e certi soccorsi dai Persiani e abbiamo come sicuri alleati Arabi e Armeni. Qualche predone di Siria ha già sconfitti i vostri eserciti, o Aureliano. Che accadrà quando giungeranno da ogni parte i rinforzi? Certo allora il vostro linguaggio, col quale mi imponete la sottomissione, si farà assai meno superbo”.
Così fece scrivere Zenobia ad Aureliano, che le imponeva la resa incondizionata. Una risposta coraggiosa, orgogliosa e regale, che ha fatto della regina ribelle di Palmira una delle eroine dell’antichità.
Chi fu Zenobia, e come si giunse ad una situazione di conflitto con Roma? Il suo nome latino era Julia Aurelia Zenobia o, in aramaico, Bath-zabbai, e nacque a Palmira intorno al 240 dell’era volgare. Apparteneva ad una famiglia di discendenza aramaica-seleucide. Ella stessa affermava di discendere da Cleopatra VII d’Egitto. Anche se non vi sono prove di ciò, le fonti ci dicono che possedeva alcune conoscenze della lingua egizia. Ben istruita, parlava fluentemente il greco, aramaico ed egiziano, con una conoscenza del latino. Si dice che fosse una donna bellissima ed intelligente e gli storici romani le attribuiscono una incredibilis venustas: su un volto abbronzato spiccavano, in straordinario contrasto, denti bianchissimi e due fascinosi occhi corvini. Altre fonti descrivono anche che Zenobia si comportasse come un uomo, amando l’equitazione, la caccia e bevendo con i suoi ufficiali. Sembra che abbia anche ospitato salotti letterari, circondandosi di filosofi e poeti, il più famoso dei quali è Cassio Longino, che divenne il suo primo consigliere.
La vicenda di Zenobia si interseca con quella del tardo Impero Romano. È un’epoca di grandi incertezze, in cui gli imperatori restano sul trono troppo poco per imporre la loro autorità alle province sempre più turbolente. Ai confini dell’Impero si formano territori dallo status giuridico incerto, che fanno politica in maniera autonoma e spesso si costituiscono in “regni” indipendenti, retti da personaggi che non è chiaro quanto siano alleati di Roma, suoi tributari o suoi concorrenti. Uno di questi potenti locali fu Odenato, di cui Zenobia era la seconda moglie.
Ma prima di andare oltre, cerchiamo di conoscere meglio la città di Palmira e perché essa era così importante. Tadmor, questo il suo nome originale, era un’oasi situata a metà strada fra l’Eufrate e i porti della Fenicia, e fu sempre un’importante tappa carovaniera. La Bibbia ne dà il merito a Salomone “che costruì Tadmor nel deserto”; ma in verità esisteva già da un paio di secoli prima, giacché la ritroviamo citata dal re assiro Tiglatpileser I (“Tadmor che sta nel paese di Amurru”). Fu all’epoca delle guerre tra Romani e Parti che l’oasi, da semplice luogo di sosta per i cammellieri, si trasformò in una vera e propria città ponendosi in concorrenza con Petra; e quando Traiano demolì il regno dei Nabatei nel 105, spostando i traffici verso la Siria, Tadmor, rimasta senza rivali, assurge al rango di metropoli. Adriano le concesse nel 130 particolari privilegi per cui divenne una specie di porto franco e raggiunse un’invidiabile opulenza tanto più quando Caracalla le concesse lo Jus italicus e lo statuto di colonia. I Palmireni potevano così chiedere, ed ottenere, la cittadinanza romana nel qual caso veniva assegnato un nome latino. La più influente di queste famiglie era quella dei Septimii: un Settimio-Udainath venne insignito della carica di senatore romano; suo figlio Settimio-Haiwan ricevette il titolo di Ras-Tadmor (Signore di Tadmor) e infine il figlio di questo, Settimio-Udainath (Odenato), la dignità consolare. Quando durante la disfatta di Valeriano i barbari sfondarono le frontiere dell’Impero d’Occidente, e quello d’Oriente rimase alla mercè del re dei Parti Shapur I, Odenato ritenne prudente inviare al trionfatore profferte d’amicizia e d’alleanza. La risposta, a quanto pare addirittura oltraggiosa, provocò le ire del Principe di Palmira il quale, impugnate le armi, vendicò subito l’affronto sbaragliando sull’Eufrate le truppe persiane e riaffermando la propria fedeltà all’imperatore Gallieno, figlio e successore di Valeriano, che stava combattendo su tutti i fronti contro Alemanni, Franchi, Goti, Eruli, contro le ribellioni d’Europa e d’Africa, e soprattutto contro una trentina fra pretendenti e usurpatori. Uno di costoro era Fulvio Quieto; Odenato lo assediò e lo fece uccidere ad Emesa e Gallieno, in premio, lo nominò Dux totius Orientis, cioè in pratica viceré. Questo status giuridico gli consentiva di avere la piena potestà sulla città di Palmira, come di un suo possesso personale. Tale infatti egli la considerava, al punto da fondare una vera e propria dinastia. Nel 258 Zenobia divenne la seconda moglie di Odenato. Nel 266 essi ebbero un figlio: Lucio Julius Aurelius Settimio Vaballathus Atenodoro. All’inizio del 268 Odenato partì alla volta della Cappadocia minacciata dai Goti; ma venne assassinato a Emesa per mano del nipote Meonio. Misterioso il movente: escludendo che Roma si privasse di un così prezioso uomo di fiducia, non rimane che congetturare sulla personalità di Zenobia che aveva ben altre ambizioni e di certo non approvava la granitica fedeltà del consorte a Gallieno.
Soppresso quindi Odenato, Zenobia prende il potere in nome del figlio Vaballato, che aveva un anno, col sogno e l’ambizione non solo di mantenersi autonoma da Roma, ma di creare un Impero d’Oriente da affiancare all’Impero Romano. Pertanto, assumendo il governo della città, Zenobia per prima cosa proclama la propria totale e assoluta indipendenza da Roma. Trasformò il suo Stato nel Regno di Palmira e si autoproclamò Augusta, attribuendosi il titolo divino Discendente di Cleopatra e nominando il proprio figlio Vaballato Augusto.
Zenobia attuò una politica ostile all’Impero Romano e favorevole ai Persiani di Shapur I, lanciando il suo esercito, guidato dal capace generale Zabdas, alla conquista dei territori soggetti ai Romani. In questo modo, ella occupò l’Egitto, la Bitinia, la Siria e tutta l’Anatolia. Tali imprese e il fatto che essa stessa, a cavallo, conducesse gli eserciti in battaglia, le valsero il titolo di “Regina guerriera”
Gallieno reagisce e le spedisce contro il generale Eracliano, in breve sonoramente sconfitto dalla pugnace regina. Nel frattempo anche Gallieno, nel 268, viene assassinato e sul trono dei Cesari sale Claudio II che dedica i suoi due brevi anni di regno a combattere i barbari meritandosi il titolo di Gotico.
Nel 270 Aureliano succede a Claudio e prende in pugno con estrema determinazione un Impero ormai in pieno sfacelo politico e finanziario: nei primi due anni libera da ogni minaccia i confini dalle Alpi al Danubio. Occupato com’era in tali operazioni, fu di fatto costretto, seppur temporaneamente, a riconoscere l’autorità di Zenobia, a cui furono ratificate le conquiste che aveva fatto ai danni dell’Impero stesso. Quando tuttavia la regina cominciò a presentarsi in pubblico avvolta in un manto purpureo, a battere monete con la propria effigie e quella del figlio (escludendo Aureliano, il che era un aperto atto di ostilità), il legittimo imperatore si allarmò e ritenne di dover intervenire. Con un imponente schieramento di forze, Aureliano si dedica al recupero dei territori orientali. E mentre Probo, il suo braccio destro, riconquista l’Egitto, l’imperatore in persona affronta Zenobia: attacca l’Asia Minore, ne espelle tutte le guarnigioni palmirene, libera Antiochia, sbaraglia Zabdas sull’Oronte e poi a Emesa, e piomba su Palmira che stringe d’assedio intimando la capitolazione alla regina.
Ed eccoci quindi al momento della risposta che ha aperto questo articolo. Gli attesi rinforzi persiani arrivarono, ma furono sconfitti. Zenobia decise di recarsi personalmente da Shapur (ignorando che era morto proprio in quel periodo) per sollecitarne di più consistenti, ma venne catturata, insieme con Vaballato, prima che riuscisse ad attraversare l’Eufrate. Intanto i palmireni erano incerti se continuare la lotta oppure arrendersi, chiedendo perdono all’imperatore. Alla fine prevalse la seconda opzione. Sul finire del 272, il generale Zabdas consegnò la città ai Romani. Successivamente la regina e i suoi fedelissimi raggiunsero in catene Emesa per essere processati. Aureliano, seguendo una precisa politica di pacificazione già messa in atto in ognuno dei territori recuperati, perdona tutti, tranne Longino, accusato di aver scritto la lettera con cui la regina aveva rifiutato la resa e punito perciò con la morte.
Nonostante si proclamasse discendente di Cleopatra, Zenobia non ne seguì l’esempio ma, secondo le fonti più attendibili, dopo essere stata esibita come trofeo, legata con catene d’oro, durante le celebrazioni per il trionfo di Aureliano nel 274, trascorse il resto dei suoi giorni a Tivoli ove, con i figli, “visse come una matrona romana”. Che incutesse grande rispetto alla stregua dei più prodi condottieri lo dimostra lo stesso Aureliano rispondendo ai senatori che, per malintesa cavalleria o per banale maschilismo, avrebbero preferito relegarla al ruolo di fragile creatura: “Voi, Padri Coscritti, mi rimproverate come azione indegna di un uomo l’avere celebrato il trionfo su Zenobia. Ma coloro stessi che mi biasimano non mi rifiuterebbero i loro elogi se sapessero di quale donna essi parlano, se ne conoscessero la prudenza e la saggezza, la perseveranza nelle discussioni, la fermezza verso i soldati, la sua liberalità o severità a seconda che le circostanze lo esigano”
I tesori di Zenobia risolsero di colpo tutti i problemi finanziari di Roma, e i famosi arcieri palmireni, addestrati contro i beduini del deserto, intruppati nell’esercito imperiale daranno magnifica prova del loro modo di combattere in molte campagne, dall’Africa alla Bretagna.
Della regina di Palmira rimane il ricordo di una corte fastosa e illuminata, frequentata dagli intellettuali del tempo. Zenobia aveva favorito il multiculturalismo: i continui transiti e scambi, incoraggiati dalle efficienti strutture di accoglienza palmirene, rendevano la città ricca e cosmopolita, così come l’architettura e l’urbanistica riflettevano la coesione delle diverse culture. Numerosi furono i palazzi e gli edifici fatti costruire dalla sovrana. Purtroppo, la fanatica furia islamica radicale dell’Isis ha distrutto nel 2015 moltissimi di questi gioielli archeologici, ritenendoli blasfemi, che erano sopravvissuti fino ai giorni nostri…
La figura di Zenobia ispirò al Tiepolo il famoso Trionfo d’Aureliano, alla Pinacoteca Reale di Torino. Un’opera di Gioacchino Rossini, dal titolo Aureliano in Palmira, venne rappresentata alla Scala nel 1813 senza successo. Molto ne ebbe invece la sua Ouverture da quando, tre anni dopo, fu trasferita di peso, tale e quale, nel Barbiere di Siviglia. Ad ogni modo, la regina di Palmira si è guadagnata un posto nel ristretto club di donne di potere che la storiografia antica ha descritto come affascinanti e pericolosissime. Ed accanto a Semiramide e Cleopatra siede Zenobia, la donna che sostenendo il sogno utopico di indipendenza, fece tremare Roma.