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Quel «mai più» e l’olocausto degli ucraini.

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Riportiamo l’articolo della nota giornalista e scrittrice Fiamma Nirenstein pubblicato su Il Giornale del 18 marzo 2022.

L’appello del Pericle dei nostri tempi, Zelensky, ai parlamenti dei Paesi democratici ha una sua tappa fondamentale domani a Gerusalemme, alla Knesset. Modulato, memore di episodi differenziati è un’ unica chiamata alla guerra per la libertà: a Berlino contro il muro dell’oppressione comunista; a Londra con l’esaltazione di Churchill che portò il mondo libero alla vittoria contro Hitler; a Washington, l’orrore di Pearl Harbour e dell’11\9. Zelensky ha mostrato che la ferita ucraina sanguina del sangue di chiunque da innocente si è trovato aggredito. E domani, è la volta del il Parlamento e del popolo che, sulla memoria della persecuzione genocida, sulla bandiera bianca e azzurra con la Stella di David porta idealmente scritto “Never Again” a caratteri di fuoco. É evidente che oggi Zelensky userà queste parole, anche perchè, a buon diritto, sono quelle che gli suggerisce la sua memoria di ebreo ucraino: dal 1600 agli anni del nazismo e poi del comunismo il popolo ebraico è stato in Ucraina perseguitato, sterminato, legato, confinato e costretto a fughe infinite. Zelensky alla Knesset proporrà di sicuro il tema ” Never Again” e subito, a ragione, ci sarà chi gli dirà che la Shoah non ha paragoni.

Ed è vero: mille volte abbiamo spiegato come lo sterminio degli ebrei sia stato lo scopo primo che ha condotto alla guerra di dominio di Hitler, ora è una guerra di dominio che porta alle stragi cui assistiamo, che per misura e intenzione non sono comparabili a quelle della Shoah. E tuttavia: la sofferenza è sempre comparabile, simile lo strazio della morte, la fame e il freddo dei bambini, la fuga, privati di tutto. Il tema per ogni israeliano è evidente ed è tutto là: per questo da qui a frotte giovani religiosi e laici si sono precipitati ai confini a aiutare le mamme e le nonne coi bambini: gli studenti del gruppo Midreshet  Amit era in viaggio in Polonia per visitare i luoghi della memoria si è trasformato in squadriglie di soccorso ai confini; il Governo cerca un budget che deve ammettere più di 100mila persone; i media sono zeppi di mille racconti degli ucraini dal fronte e già qui. Fra russi e ucraini ci sono più di un milione di vecchi immigrati,  parlano dei 9900 sopravvissuti della Shoah rimasti a languire a Kiev e dintorni. Quanto “Never Again” c’è nella furiosa discussione politica su quanti non ebrei ammettere scavalcando la legge del ritorno, arrivando a conclusioni che superano ogni aspettativa. Sono decine di migliaia le storie che invadono le pagine e le tv israeliane, ci si rincontra, si sorride insieme, si piange molto: padri, madri o nonni della famiglia sono già  passati “allora” da quel valico rischiando la vita e trascinandosi dietro un vecchio o un bambino mezzo congelato.

E quei bambini solo fino a ieri vestiti col l’ultimo giaccone stile Benetton, il berretto di ottima lana, i guantini che per carità non si freddino le mani, parlano dello stupore che immobilizza: dal tutto al  niente, dal “diritto alla felicità” alla morte. Chi per bombe, chi per crollo, chi per una pallottola, chi per fame, chi per il freddo, chi per la disperazione perchè anche il cuore può spezzarsi. Never again vale per tutto questo? Certo che sì, e Zelensky lo sa e ne parlerà. E’ l’universale ebraico che balla di nuovo nel giorno dopo Purim, la festa di carnevale in cui si ricorda la vittoria ebraica guidata dalla regina Esther contro i Persiani. Israele è anche il Paese del valore assoluto, di Entebbe, della Guerra dei Sei Giorni, della battaglia quotidiana per la propria identità e la propria scelta democratica. Valore e memoria,

Zelensky sa che Gerusalemme possiede lo spirito, oltre alla famosa equidistanza politica di cui tutto il mondo parla, al gran numero di russofoni e di leader ucraini del passato oggi e ieri (Golda Meir, Jabotinsky). Biden si fida di Bennett, sa che comunque può Anche Putin non ignora la spinta morale in più che Israele può fornire al mondo, e qui non si sente odiato, non mette il naso nella questione siriana, non spara sugli F15. Israele resta nell’immaginario collettivo l’approdo dopo la grande terribile tempesta, la spiaggia su cui per sempre si combatte la battaglia per la storia e la vita, per non obliterare, cancellare, mettere in fuga. Lo sa Zelensky, e anche Putin non lo ignora. La pace di Gerusalemme ha qualche chance. Israele però deve chiedere un contraccambio a tutti gli interlocutori: non vendeteci all’Iran per i vostri scopi. Anche noi rischiamo la vita.

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