Solo una manciata di stagioni fa nessuno ci avrebbe mai scommesso: in Italia il teatro batte il cinema.
Basta dare uno sguardo, da nord a sud, dalle commedie ai grandi autori drammatici: a Spoleto e Napoli tutti in fila per vedere Il berretto a sonagli di Pirandello interpretato da Gabriele Lavia.
A Torino sold out per Chiara Francini nei panni che furono di Franca Rame in “Coppia aperta quasi spalancata”. A Roma il Sistina ha dovuto aggiungere nuove date a maggio per accontentare tutte le richieste per Rugantino con Serena Autieri e anche un testo nuovo, complesso, come M Il figlio del secolo che Massimo Popolizio ha tratto dal libro di Antonio Scurati, per un mese ha riempito l’Argentina di Roma in ogni ordine di palco.
E se pensate sia solo un fatto generazionale o di “qualità” del pubblico, allora avreste dovuto fare un giro davanti al Brancaccio qualche giorno fa, sempre nella capitale, quando era ancora in scena il musical “Tutti parlano di Jamie” e la folla di giovanissimi all’ingresso intasava il traffico. Si, gli stessi che tre anni fa avrebbero forse preferito una serata al multiplex.
Invece oggi il cinema langue come non fosse mai uscito veramente dalla pandemia facendo dell’Italia un caso pressoché unico al mondo. Cosa è successo? Per citare Lavia, potremmo dire che “il teatro è un’agorà”, uno “specchio” e pertanto “è necessario all’uomo”. Questo spiegherebbe tanta attenzione per gli spettacoli dal vivo “ritrovati”.
Ma il cinema, dopo due anni di tutti chiusi in casa, è davvero rimasto schiacciato sotto il peso delle piattaforme di streaming? “No, i cinema non si sono svuotati per questo.
Esistevano già nel 2019, che pure per noi era stato un grande anno”, racconta il produttore Andrea Occhipinti. “E’ stato il Covid a svuotare le sale, insieme a una certa politica un po’ terroristica. Prima di Natale, ad esempio, Spiderman aveva segnato uno dei migliori weekend prenatalizi. Poi i Tg hanno dato la notizia di nuove restrizioni e tutto è crollato”. Già, ma ora le restrizioni sono più “morbide” e, comunque, valgono sia per il teatro che per il cinema. “E’ come se parte del pubblico, quello che diserta il cinema, avesse dimenticato quanto è importante la condivisione”, riflette Lillo che in coppia con Greg da sempre si divide tra grande schermo e palcoscenico e che proprio in questi giorni sta scommettendo sulla sala con “Gli idoli delle donne”. “Pensano: tanto il film me lo recupero a casa. Ma ridere da soli non sarà mai come ridere con gli altri”. Ma allora, al contrario, perché quelle lunghe file a teatro? “Intanto, i cinema hanno una sfilza di concorrenti che il teatro non ha: paytv, download, computer, cellulari”, riflette Alessandro Longobardi, che, oltre a essere il direttore artistico del Brancaccio e venire da una lunga tradizione famigliare di esercenti cinematografici, è anche il produttore di quella scommessa (vinta) tra i ragazzi che è “Jamie”. “I cinema di città poi – prosegue – sono gestiti come luoghi senza identità: programmano l’ultimo film, se va bene per due-tre settimane, poi si passa al successivo. Senza connessione. I teatri invece hanno una direzione artistica, c’è un filo nelle scelte che fidelizza il pubblico. Vieni al Brancaccio perché sai quello che troverai e che lo troverai solo lì”. E questo, alla “riapertura” dopo il Covid ha contato tantissimo, quasi come tornare a trovare un amico. “Un film, invece, se lo vedi da una parte o dall’altra, è lo stesso. Anzi, a volte non tutti cinema sono belli. Se sei un ragazzino cresciuto con i videogames 3d o la tv di ultima generazione, la mancanza di certi standard la senti. Per noi adulti, poi, il Covid ha spazzato via un’abitudine che era una certezza: il sabato sera con pizza e cinema. Non si fa più, come se non fosse mai esistita”.
A teatro invece resta un evento. “Avviene tutto lì, solo lì e solo per quella sera. Se c’è un attore popolare, è un’occasione per vederlo a pochi metri. Ti ci puoi fare anche un selfie. E questo ha un forte impatto”.
Come se ne esce? “Rendendo unico l’appuntamento con la sala – suggerisce Longobardi – Servono film che esaltino il grande schermo e, perchè no, ‘eventi’ intorno alla proiezione. Magari il numero dei cinema si ridurrà, diventeranno un appuntamento di nicchia, con biglietti più cari. Ma spettacoli pazzeschi”.
( ANSA )