Rischiano discriminazioni nell’accesso a servizi come l’ottenimento di mutui, la stipula di assicurazioni sulla vita, l’assunzione in un posto di lavoro e l’adozione di un figlio: si tratta dei quasi 50 mila giovani in Italia guariti da un tumore diagnosticato in età pediatrica.
E’ la denuncia dell’Aieop (Associazione Italiana di Ematologia e Oncologia Pediatrica), che ha scelto di supportare pubblicamente la campagna di sensibilizzazione avviata dall’Aiom (Associazione Italiana Oncologia Medica) per il Diritto all’Oblio.
L’oncologia pediatrica italiana, si legge in una nota dell’Aieop, vuole quindi affiancare l’oncologia medica in un percorso comune per promuovere una legge che tuteli le persone che hanno avuto una neoplasia.
“Il fatto di essere guarito da un cancro – dichiara Andrea Ferrari, oncologo pediatra, coordinatore del gruppo di lavoro Adolescenti dell’Aieop – diventa uno stigma, un peso rilevante per la vita sociale. Diventa naturale chiedersi del perché la società – banche, assicurazioni, datori di lavoro o altro – debba essere liberamente a conoscenza di questa informazione.
Del perché la società non possa ‘dimenticarsi’ della pregressa malattia”. L’Aieop ricorda che grazie al miglioramento del percorso di diagnosi e cura, sempre più bambini e adolescenti con patologia oncologica possono guarire in base a una proporzione che cresce di circa il 3% ogni anno. Nel dettaglio, si stima che in Europa vivano dai 300.000 ai 500.000 individui guariti da un tumore che li aveva colpiti in età pediatrica, di cui appunto circa 50.000 in Italia, con un’età media di 25-29 anni. Alla guarigione dal loro tumore, però, non sempre corrisponde la possibilità di vivere una vita con le stesse opportunità sociali dei loro coetanei. “Occorre ricordare – spiega Andrea Ferrari, coordinatore del gruppo inter-societario di Aieop e Aiop dedicato ad adolescenti e giovani adulti – come il web conservi per un periodo indefinito tutto ciò che viene condiviso, che rimane visibile potenzialmente a chiunque. È un paradosso che poi i giovani pazienti si accorgano, magari anni dopo, che sarebbe invece meglio che la loro storia venisse dimenticata per poter tornare davvero a una vita sociale normale e per avere le stesse opportunità dei loro coetanei. Si tratta di un vero e proprio diritto a essere dimenticati”.
Fonte ( Ansa)