Anno 1227, in un luogo imprecisato della Mongolia si sta svolgendo il più spettacolare funerale che si fosse mai visto nelle ventose steppe: un corteo formato da migliaia di guerrieri e schiavi marcia sta percorrendo centinaia di chilometri per raggiungere il luogo in cui il grande imperatore dei Mongoli riposerà per sempre. Cammelli e cavalli trasportano immense ricchezze saccheggiate nelle città dell’Asia centrale: icone della Chiesa ortodossa russa, monete d’oro di Samarcanda, armi e gioielli rastrellati dopo aver sconfitto gli eserciti della Cina. Ma chi era quest’uomo così onorato al punto di essere considerato un dio e il cui impero fu il più grande che avesse mai visto la storia umana?
Nato intorno al 1162 tra le montagne della provincia del Hèntij, lungo le rive del fiume Onon, non lontano da Ulaan Baatar, la storia della sua infanzia è poco nota e controversa perché narrata solamente dopo la sua morte. Si sa che era figlio di Yesugei, capo del clan Borjigin della tribù dei Kereiti, e di Hoelun, della tribù dei Merkit. I suoi genitori gli dettero il nome di Temujin, in onore di un valoroso capitano tartaro che il padre aveva appena catturato in battaglia. I racconti narrano che dopo complicate vicende, Temujin sposa Borte, figlia del capo della tribù degli Ongirrat Seichen-Dei. Grazie a questo matrimonio e al carisma di cui godeva presso le vicine tribù, il giovane divenne uno dei possibili candidati al titolo di Khagan, o “Gran Khan”, carica rimasta vacante dopo le sconfitte subite ad opera dei Chin. Nel 1200 venne quindi indetto un grande Kuriltai, ossia il concilio dei capi-tribù nel quale Temujin venne eletto Cinggis Khan: da allora venne chiamato Gengis Khan. Il nuovo capo passò subito all’azione con l’iniziale obiettivo di unificare in un solo popolo le varie tribù mongole e turche. Questa campagna ebbe termine quando il futuro sovrano dei Mongoli sconfisse le forze dei Keraiti e dei loro alleati, e infine Buyruq Khan, l’ultimo sovrano dei Naiman, arrivando a porre sotto il suo dominio l’intera area del Deserto del Gobi nel 1206, anno in cui il Kuriltay, il futuro parlamento mongolo, si riunì al completo al Lago Blu e lo elesse Capo della Nazione.
Ora Gengis Khan era pronto per iniziare la costruzione del suo impero. Dopo aver attaccato il ricco popolo degli Xi Xia per ottenere le necessarie ricchezze da utilizzare per la spedizione contro i Jin che ebbe luogo nel 1209. La città fortificata di Yinhuan si sottomise ai Mongoli nel 1210, divenendo la loro capitale. Secondo quanto narrato da Marco Polo ne “Il Milione”, in essa venivano inviati oggetti d’oro da tutte le parti del regno per accrescere il tesoro reale: in cambio venivano rilasciati certificati di possesso cartacei, simili alle nostre banconote, che erano spendibili dai proprietari per l’acquisto di beni e servizi. Con una simile riserva aurea fu possibile coniare la moneta necessaria per le spese di guerra e passare al nuovo, ambizioso obiettivo: l’invasione della Cina! Nel 1211 Gengis Khan riunì un esercito di 120.000 uomini deciso a puntare verso Pechino. Dopo una serie di vittorie ottenute con geniali tattiche e stratagemmi, e qualche battuta d’arresto, nel 1213 i Mongoli arrivarono a sud della Grande Muraglia e nel 1214 vicino a Pechino. L’imperatore Xuan Zong aprì i negoziati con i Mongoli ottenendo il loro ritiro e pagando un enorme riscatto. Tuttavia, avendo saputo che l’imperatore cinese aveva spostato altrove la sua capitale, Gengis si sentì offeso a tal punto da riprendere l’offensiva, conquistando la Manciuria e giungendo in Corea. Nel 1218 le terre controllate da Gengis Khan si estendevano verso ovest confinando con la Corasmia, che venne annessa nel 1223 dopo una delle più sanguinose campagne mongole, con molte città messe a ferro e fuoco e circa un milione e mezzo di persone uccise. Da qui la sua fama di sterminatore e pazzo sanguinario. Dopo questi fatti, i Mongoli si diressero a nord dove conquistarono il regno della Grande Bulgaria. Nel 1225 vennero attaccati i Tangut nella Cina Nord-occidentale e nel 1227, quando la loro capitale cadde vi si compì uno dei più grandi genocidi della storia. Gengis Khan, dopo aver conquistato anche la prefettura di Deshun, si mosse verso le montagne di Liupanshan per sfuggire alla calura dell’estate. E presso Yinchuan morì. Aveva 65 anni. Le cause del suo decesso non furono mai chiarite: forse fu ferito in battaglia contro i Taguti o forse morì per le conseguenze di una caduta da cavallo, visto che non era più giovanissimo. Secondo Marco Polo, grande ammiratore di Gengis, le ferite mortali furono provocate da una freccia nemica.
Gengis Khan lasciò un impero che si estendeva dal Pacifico al Mar Caspio, dalla Siberia all’India, dalla Corea all’Ungheria e permise alla Via della Seta di divenire uno snodo economico cruciale cambiando per sempre le sorti della storia mondiale. I 33 milioni di km quadrati di territorio che sottomise conobbero un’opera di civilizzazione senza precedenti che comprendeva i concetti di immunità diplomatica e libertà religiosa, banconote di carta e un avanzato sistema postale. Egli creò un regno in cui tecnologia, arti e scienze progredirono notevolmente così come la sicurezza (“Una vergine con un piatto d’oro poteva girare indisturbata da un angolo all’altro dell’Impero”, scriveva nel Seicento Abdul Ghazi). Nonostante la sua fama di sterminatore (fama alimentata soprattutto dai resoconti degli sconfitti) egli abolì la tortura e la pena di morte.
Torniamo quindi allo spettacolare corteo funebre. Una volta sepolto, vennero eseguite le sue ultime volontà. Infatti, secondo la leggenda, Gengis Khan ordinò che nessuno dovesse conoscere il luogo del suo eterno riposo. Fu così che le 2000 persone che avevano assistito ai suoi funerali vennero uccise da 800 soldati i quali, mentre si allontanavano dal sito uccidendo tutti coloro che incontravano (anche gli animali), vennero anch’essi uccisi da un altro gruppo di soldati che a sua volta fu ucciso da un terzo gruppo Nessun mausoleo, nessuna lapide doveva indicare la presenza della tomba e centinaia di cavalli vennero fatti passare sul terreno intorno al sepolcro per chilometri e chilometri in modo che fosse impossibile distinguere il luogo dello scavo originario. Alcune testimonianze riferiscono che un’intera foresta venne piantata nel luogo della sepoltura. L’area di 400 km quadrati venne recintata da un cordone di soldati che ne controllava gli accessi, e venne dichiarata Ikh Khorig (Grande Tabù) e inviolabile. Nessuno poteva entrarvi, se non i membri della famiglia imperiale e i Darkhad, guerrieri ai quali era affidato il compito di vigilare sul rispetto del tabù. Chi sconfinava era punito con la morte. Questa tradizione del Grande Tabù venne tramandata di generazione in generazione al punto che perfino i sovietici (che annessero il paese nel 1924), per non inimicarsi la popolazione, niente affatto entusiasta dell’idea di diseppellire il loro eroe, decisero di rispettare e mantenere dichiarando il territorio “Area ad alta restrizione”.
Da 800 anni, quindi, il luogo della sepoltura di Gengis Khan rimane un mistero. Per secoli sono fiorite leggende e superstizioni, una delle quali afferma che la scoperta della tomba causerebbe la fine del mondo. Questa credenza potrebbe essere ispirata alle circostanze in cui fu scoperta la tomba di Tamerlano, un sovrano turco-mongolo che visse alla fine del XIV secolo. Nel luogo della sua sepoltura, scoperto nel 1941 da un gruppo di archeologi sovietici, si trovava una profezia: “Quando risorgo dalla morte, il mondo tremerà!”. Beh, tre giorni dopo Hitler diede il via all’Operazione Barbarossa e invase l’Unione Sovietica… Suggestivo, non c’è che dire, ma i Mongoli potrebbero essere contrari ad uno scavo per rispettare la volontà del loro antico sovrano, che in molti considerano un loro antenato. E il rinnovato orgoglio nazionale mongolo che dopo la caduta dell’Unione Sovietica ha ricevuto una spinta notevole (statue e immagini di Gengis Khan sono sparse un po’ ovunque nel Paese) non aiuta a concepire molte iniziative scientifiche. Tuttavia nel 1990 cominciarono le prime ricerche coordinate da un team nippo-mongolo. Queste ricerche portarono a scarsi risultati: tante tombe possibili ma nessuna sicura. E in più i locali cominciarono ad innervosirsi e protestarono per cui, prudentemente, le indagini vennero sospese. La tradizione vuole che l’imperatore sia stato tumulato su una montagna della provincia di Khentii chiamata Burkhan Khaldun, a 160 km da Ulaanbaatar. Quest’area era un tempo accessibile solo ai membri maschi della discendenza reale del Khan, e oggi è patrimonio dell’Unesco, quindi off-limits per i ricercatori. I quali tuttavia non si lasciano scoraggiare e nel 2010 passano alle immagini satellitari: la University of California, organizzando un’impresa collettiva con circa 10mila volontari reclutati su internet, chiede loro di vagliare per sei mesi circa due milioni di immagini satellitari che hanno incoraggiato una nuova spedizione non invasiva, ma dai risultati dubbi e contrastanti. E’ come cercare un ago in un pagliaio dal momento che parliamo di un’area di ricerca di 12mila km quadrati, nella quale vi sono decine e decine di tombe di reali e nobili che vollero farsi seppellire accanto al loro sovrano e che quindi inducono in errore.
La tomba di Gengis Khan è uno dei segreti meglio conservati al mondo. Il suo ritrovamento, se mai avverrà, farà piacere solo agli occidentali che vogliono portare alla luce gli innumerevoli tesori provenienti da tutto l’impero e sepolti col sovrano, ma sicuramente sarebbe un gravissimo insulto alla popolazione mongola che, ancora fedele alle ultime volontà del suo grande imperatore, potrebbe causare disordini di cui il Paese non ha certo bisogno. Per il momento, il segreto sul luogo dove Gengis khan riposa sembra destinato a durare ancora a lungo.