Fino alla metà dell’Ottocento, la chirurgia era considerata un’attività sporca, poco rispettata, visto come l’estrema ratio a cui rivolgersi, quando la scienza medica non poteva fare altro. Il chirurgo operava in condizioni igieniche scarse, tanto che oggi ci verrebbe da rabbrividire, tra le grida di dolore dei pazienti, non essendo note le tecniche anestesiologiche moderne, e con alta mortalità postoperatoria, dovuta alle infezioni e all’emorragie.
Proprio per questo motivo, i chirurghi non erano considerati medici, anzi, erano snobbati da questi ultimi; riuniti nelle corporazioni di Chirurghi-Barbieri, alle quali comunque si accedeva tramite esami molto selettivi. Questa distinzione ha lasciato dei segni tutt’oggi, basti pensare che nel mondo anglosassone il clinico viene appellato come “Doctor”, mentre il chirurgo come “Mister”.
Dal Cinquecento in poi, comunque, emersero delle figure, che portarono innovazioni impensabili, che favorirono lo sviluppo dell’arte chirurgica fino alla nascita della moderna chirurgia. Se nel XV secolo si operava nei corridoi, tra malati ammassati, già nell’Ottocento i chirurghi più importanti lavoravano in dei veri e propri teatri, circondati da osservatori, curiosi di impararne i segreti.
Una delle più grandi sfide che la Chirurgia primordiale dovette affrontare era quello dell’emorragie.
Ambroise Paré fu un chirurgo-barbiere francese, nato nel 1510 e diplomatosi presso l’Hotel-Dieu nel 1536. Al fine di accrescere la propria esperienza, iniziò ad esercitare come medico nei campi di battaglia, notando che molte delle tecniche utilizzate in quel periodo erano inutili, se non addirittura pericolose per i pazienti; egli purtroppo non aveva ancora l’autorità per imporsi, ma ebbe il coraggio di sperimentare nuove procedure: una di queste avrebbe avuto un impatto rivoluzionario.
Uno degli interventi maggiormente praticati sui campi di battaglia erano le amputazioni: queste procedure venivano eseguite in maniera rapida e sbrigativa su soldati che provavano atroci dolori duranti tutto l’intervento; le emorragie erano fermate cauterizzando i vasi con un ferro, procedura che esponeva il paziente ad un alto rischio emorragico successivo e nella maggior parte dei casi a decesso nei giorni successivi a causa dell’infezione che colpiva l’ustione. Nel 1552 durante la spedizione di Danvilliers, si trovò a curare un ufficiale ferito alla gamba da un pallottola: lesione che in quei tempi veniva curata, mediante amputazione; Paré legò le arterie e le vene e l’ufficiale guarì in pochi giorni, restandogli grato per il resto della vita.
Questo evento lo incoraggiò e iniziò a sperimentare il suo metodo, notando i risultati migliori che esso offriva rispetto alla cauterizzazione.
Il carattere combattivo di Paré, utile sia sul campo di battaglia che su quello operatorio, si mostrò nel momento di difendere la sua tecnica contro colleghi anziani e più tradizionalisti ai quali rispose che i suoi risultati non erano dovuti ad un’intuizione avuta meditando su una sedia, ma a seguito di riflessioni e a duro lavoro pratico.
Il lavoro sul campo e la ricerca basata sull’esperienza, accrebbero la sua abilità e anche la sua fama, conferendogli quell’autorità che a inizio carriera gli aveva impedito di imporre quello che non era solo il suo pensiero, ma studi supportati dai risultati pratici.
Tornato a Parigi, si trovò in mezzo agli “scontri” tra i medici e i barbieri chirurghi. La sua abilità e la sua fama lo portarono negli anni a diventare chirurgo personale di quattro re: Enrico II, Francesco II, Carlo IX ed Enrico III. Morì nel 1590, lasciando in eredità numerosi scritti nei quali spiegava le sue tecniche chirurgiche e narrava alcuni avvenimenti della sua intensa vita, diventati poi famosi.