“La personalità dell’indagato animato da un irrefrenabile delirio di gelosia e incapace di accettare con serenità il verificarsi di eventi avversi, come la cessazione di un un rapporto per di più caratterizzato da incontri sporadici”, sono una “manifestazione di eccezionale pericolosità e assoluta incontrollabilità”.
Lo scrive il giudice del Tribunale di Bologna nell’ordinanza con la quale ha convalidato l’arresto e disposto la custodia cautelare in carcere per Giovanni Padovani, accusato dell’omicidio, aggravato dallo stalking, dell’ex fidanzata Alessandra Matteuzzi, 56 anni, uccisa martedì sera a botte e martellate sotto casa sua.
Il 29 luglio la donna aveva già denunciato l’uomo per atti persecutori. Il controllo che Giovanni Padovani esercitava su Alessandra era “ossessivo”, come ha spiegato il legale della sorella della vittima, Giampiero Barile.
La teneva “sotto scacco a distanza”, con la richiesta pressante di foto e video, più volte al giorno, del luogo in cui si trovava e delle persone che frequentava. Un video ogni dieci minuti, da inviare su Whatsapp e dove fosse ben visibile l’orario e il luogo in cui si trovava: è una delle richieste, esposte nella denuncia presentata il 29 luglio ai carabinieri, da Alessandra Matteuzzi. La richiesta era arrivata perché sospettava dei tradimenti: se Alessandra non rispondeva alle telefonate, raccontò ai carabinieri, o se il video tardava arrivavano scenate. Ed emergono anche nuovi particolari sull’omicidio della 56enne. Padovani ha continuato a “percuotere la vittima giungendo finanche a prendere una panca in ferro battuto presente sotto l’atrio che scagliava più volte contro”. Una violenza cieca, scatenata dalla gelosia, e che lo scorso 23 agosto ha visto Padovani partire da Senigallia in auto e portarsi dietro un martello, celato in uno zaino. Prima di scagliarle contro la panca, una volta sotto casa della donna, dopo averla vista arrivare e aggredita – anche davanti a diversi testimoni, alcuni intervenuti per fermarlo – il 27enne ha recuperato il martello che precedentemente aveva nascosto dietro un albero, e l’ha colpita più volte.
Il Gip, nel descrivere sempre la personalità di Padovani, parla anche di “intensità del delirio maniacale” e le sue condotte, con appostamenti e continue chiamate, “cagionavano un perdurante e grave stato di ansia e di paura” in Alessandra, al punto che la costringevano ad alterare le proprie abitudini di vita. Dalla denuncia della 56enne al suo omicidio è trascorso quasi un mese e ciò ha spinto i familiari della vittima a rivendicare il fatto che si poteva fare di più per evitare l’ennesimo femminicidio. Il procuratore capo di Bologna, Giuseppe Amato, non pensa però che gli inquirenti abbiano qualcosa da rimproverarsi: “Ovviamente l’esito infausto nessuno lo poteva, ragionevolmente, prevedere. I fatti ci lasciano sconcertati, ma noi abbiamo fatto tutto con impegno e celerità – ha detto in un’intervista al Corriere della Sera – la denuncia è stata immediatamente iscritta e assegnata a una collega che, pur essendo in ferie, ha fatto partire gli accertamenti per i riscontri. La denuncia, va chiarito, evocava episodi di stalking semplicemente molesto”. Sul tema è intervenuto anche il presidente dell’Unione Camere penali, Gian Domenico Caiazza: “Immaginare che per ciascuna delle migliaia di denunce per stalking possa seguire una reazione del sistema giudiziario idoneo a prevenire esiti omicidiari (per fortuna percentualmente marginali, come è ovvio) è semplicemente una insensata illusione”. In ogni modo il lasso di tempo durante il quale non sono stati assunti provvedimenti a carico di Padovani o a protezione della donna, sarà al centro degli approfondimenti avviati dalla ministra della Giustizia Marta Cartabia.