17 maggio 1902: una tempesta infuria nelle isole greche sorprendendo un gruppo di subacquei greci dell’isola di Simy che erano alla ricerca di spugne, facendo loro perdere la rotta e costringendoli a rifugiarsi sull’isoletta rocciosa di Anticitera (Cerigotto) situata fra Creta e il Peloponneso. Visto che c’erano, decisero di tuffarsi in quelle acque nella speranza di fare la giornata, ma ciò che trovarono non furono certo spugne: ad una profondità di 43 metri videro il relitto di una enorme nave di 40 metri di lunghezza. Segnalato alle autorità il ritrovamento, gli archeologi che lavorarono sul relitto stabilirono che si trattava di una nave da trasporto romana del I secolo a.C. contenente un carico prestigioso tra cristalleria di lusso, ceramiche e statue in bronzo e in marmo, tra le quali spicca il cosiddetto “Efebo di Anticitera” (che, con i suoi 1,96 metri di altezza, non corrispondeva ai modelli iconografici conosciuti): attribuito allo scultore Euphranor, è un brillante prodotto della scultura in bronzo del Peloponneso.
La scoperta del meccanismo
Il ritrovamento di tali reperti fece inizialmente passare inosservato un grumo delle dimensioni di un grande dizionario, uno strano ed informe oggetto che presentava tracce di corrosione ed era in buona parte inglobato in calcificazioni e sedimentazioni dovute ad animali marini. Questo blocco si frammentò in varie parti, non sappiamo se fortuitamente o intenzionalmente, e ciò che rivelò lasciò a bocca aperta gli archeologi: una serie di ruote dentate di precisione in bronzo delle dimensioni di una moneta, molte delle quali con iscrizioni. Gli 82 frammenti di questo reperto costituivano un mistero e un puzzle diabolicamente difficile da ricostruire.
Cominciano le supposizioni e le diatribe
Ovvio che non fu facile capire di cosa si trattasse, anche perché le 82 parti in rame di cui è composto erano corrose e danneggiate. Il primo a rendersi conto che non si trattava di un oggetto comune fu l’archeologo Spyridon Stais che, nel 1902 comprese che ciò che aveva davanti era sicuramente un elaborato meccanismo ad orologeria. Ipotizzò che le dimensioni della macchina erano di 30 centimetri, dello spessore di un libro, costruita in rame ed originariamente montata su una cornice di legno. Era inoltre ricoperta da oltre 2000 caratteri di scrittura – ma si stima che in origine fossero 15.000 – (dei quali al momento ne è stato decifrato il 95%).
In seguito a queste osservazioni, alcuni studiosi sostennero che la macchina fosse troppo complessa per appartenere al relitto e alcuni esperti ribatterono che i resti potevano essere fatti risalire ad un planetario o a un astrolabio.
Non mancarono i sostenitori dell’archeologia misteriosa, che collocarono il meccanismo tra i casi di OOPArt, i cosiddetti “manufatti fuori dal tempo”. Secondo loro, il meccanismo di Anticitera non dovrebbe esistere perché convinti che il mondo ellenistico diffivilmente avrebbe potuto concepire un artefatto scientifico così complesso. Da qui le ipotesi più fantasiose che vedono il meccanismo come un cimelio di una civiltà scomparsa, di Atlantide o di Mu, o come il risultato di un “aiutino” da parte degli immancabili alieni. Vedremo in seguito che le cose non staranno in questo modo.
Secondo altri, invece, il meccanismo, considerato troppo avanzato per il I secolo a.C. (ma poi perché?), faceva parte del carico di una nave più recente affondata nello stesso punto. Ipotesi smentita comunque dall’analisi degli ingranaggi che ne confermarono la datazione iniziale.
Si comincia a fare un po’ di luce
Le polemiche e le ipotesi andarono avanti per un cinquantennio fino a che nel 1951 i dubbi sul misterioso oggetto cominciarono ad essere svelati, quando il professor Derek de Solla Price cominciò a studiare il congegno, esaminando minuziosamente ogni ruota ed ogni pezzo e riuscendo dopo vent’anni a scoprirne il funzionamento originario. Infatti, nel 1974, lo studioso pubblicò un importante documento “Gears from the Greeks”, con riferimento ad alcune citazioni di Cicerone. Una di queste descriveva una macchina realizzata da Archimede, che captava i divergenti movimenti e le diverse velocità del sole, della Luna e delle cinque stelle chiamate “vagabonde” (i cinque pianeti visibili allora ad occhio nudo). La macchina descritta ricordava proprio il meccanismo di Anticitera! In più, per la prima volta si riuscì ad esaminare l’interno del meccanismo: Price lavorò con il radiologo greco Charalambos Karakalos per ottenere radiografie dei frammenti. Furono trovati 30 ingranaggi distinti: 27 nel frammento più grande e uno ciascuno negli altri tre. Karakalos fu in grado di stimare per la prima volta il numero di denti degli ingranaggi, un passaggio fondamentale per capire cosa calcolasse il meccanismo.
Certo, le scansioni a raggi X erano bidimensionali, il che significava che la struttura degli ingranaggi appariva appiattita e in molti esiti rivelava solo immagini parziali degli ingranaggi. Dovremo attendere fino al 1990 allorchè Michael Wright, ex curatore di ingegneria meccanica al Museo della Scienza di Londra, svolse un secondo studio utilizzando la tomografia assiale, facendo importanti progressi: identificò il numero cruciale dei denti degli ingranaggi e comprese il quadrante superiore dul retro del dispositivo.
Nel 2005 un gruppo di accademici inglesi e greci utilizzò un prototipo di macchina a raggi X per acquisire immagini 3D ad alta risoluzione utilizzando la tomografia computerizzata a raggi X microfocus: i nuovi dati furono sorprendenti. Si comprese che il meccanismo prevedeva le eclissi oltre ai moti dei corpi astronomici.
Come funzionava il meccanismo?
I lunghi studi durati quasi 120 anni, e ancora in corso, hanno stabilito che il congegno era un antichissimo calcolatore per il calendario solare e lunare, le cui ruote dentate, azionate da una manovella, potevano riprodurre il rapporto di 254:19, necessario a ricostruire il moto della Luna in rapporto al Sole (la Luna compie 254 rivoluzioni siderali ogni 19 anni). Il congegno combinava i cicli astronomici babilonesi con la matematica dell’Accademia di Platone e con le teorie astronomiche dell’antica Grecia. Alcune iscrizioni trovate nella parte anteriore del meccanismo riportavano due numeri legati ai cicli sinodici di Venere e Saturno, legati cioè al tempo necessario affinché un pianeta occupi la stessa posizione nel cielo rispetto al Sole per un osservatore sulla Terra. I cicli sinodici erano alla base delle previsioni sulla posizione dei pianeti nell’astronomia babilonese. Inoltre, indicava esattamente le date delle Olimpiadi e dei Giochi Panellenici associate.
Il meccanismo è un prodigio di microingegneria, poiché alcune sue parti erano composti da ingranaggi minuscoli inseriti in spazi molto ridotti: c’è per esempio un settore di soli 7 mm che contiene ben 5 ingranaggi!
A cosa serviva?
Secondo Alexander Jones, professore di Storia della Scienza Antica all’Università di New York, non era uno strumento di ricerca, qualcosa che un astronomo userebbe per fare dei calcoli, né un astrologo lo userebbe per fare previsioni. Era qualcosa che sarebbe stato usato per insegnare il cosmo e il nostro posto nel cosmo. Una specie di manuale di astronomia per come la intendevano all’epoca, che collegava i movimenti del cielo e dei pianeti con le vite dei Greci e il loro ambiente. Un dispositivo istruttivo per i filosofi, pur di altissima tecnologia.
Un unicum tecnologico?
La nostra società che consideriamo ultratecnologica tende a vedere gli antichi come una sorta di idioti dediti alla guerra, alla celebrazione degli dei, che sì hanno costruito delle civiltà, ma che non avevano alcuna cognizione scientifica e nessuna capacità tecnica come la intendiamo noi. Questa presunzione basata sull’ignoranza tipica del nostro tempo e sulla pigrizia nel leggere dei testi storici (non si leggono nemmeno i libri contemporanei, figuriamoci quelli antichi) fa perdere di vista il fatto che tale meccanismo, pur non trovando eguali fino alla realizzazione dei primi calendari meccanici successivi al 1050, rimane comunque perfettamente integrato nelle conoscenze del periodo tardo ellenistico: vi sono rappresentati i cinque pianeti visibili ad occhio nudo e il materiale usato è un metallo facilmente lavorabile. Durante l’epoca ellenistica, ad esempio, operarono ad Alessandria d’Egitto molti studiosi che di dedicarono anche ad aspetti tecnologici, realizzando meccanismi e automi, come la macchina a vapore di Erone, il cannone a vapore di Archimede, il distributore automatico di Erone o le porte automatiche azionate con il vapore. Le conoscenze tecnologiche dell’età ellenistica erano tali da essere paragonabili a quelle europee del XVII secolo, della prima rivoluzione industriale. Purtroppo, tali conoscenze avevano lo scopo di destare meraviglia, senza alcun fine pratico. Non intendiamo qui addentrarci nella complessità del pensiero greco, ma basti dire che la stessa società dell’epoca, basata sulla forza lavoro degli schiavi, non concepiva uno sviluppo “industriale” della tecnologia.
La straordinarietà del dispositivo di Anticitera risiede nel fatto che è l’unico congegno progettato in quel periodo arrivato sino ai nostri giorni e non rimasto nel limbo delle semplici “curiosità” e da solo riscrive la nostra conoscenza della tecnologia usata dagli antichi Greci. Il primo meccanismo con ingranaggi di precisione conosciuto è una meridiana e un calendario di origine bizantina relativamente semplici, ma impressionanti per il tempo, risalenti al 600 d.C.
Perché non abbiamo altre testimonianze simili?
Si hanno forti ragioni per credere che questo oggetto non possa essere stato l’unico modello del suo genere. Tuttavia, il bronzo era un metallo molto prezioso e quando un congegno come questo smetteva di funzionare, probabilmente veniva fuso per i suoi materiali. Poiché solo un naufragio potrebbe permettere di conservare questo e altri manufatti simili, viene da augurarci di trovare altre navi sommerse con tali tesori tecnologici, che non hanno nulla, ma proprio nulla di misterioso, tranne testimoniare l’universalità dell’ingegno umano.