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LA NASCITA DELL’ANESTESIA: IL PASSAGGIO DALL’ANTICHITA’ ALLA MODERNITA’.

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Pur essendo un ramo molto antico della medicina, la chirurgia venne ritenuta una mera attività da tecnico, slegata da quella del “vero medico”, reale terapeuta, fino ad Ottocento inoltrato. Questo perché si trattava di una pratica ritenuta, a buona ragione, rischiosa, gravata da un’alta percentuale di insuccesso intraoperatorio e da alti tassi di decessi postoperatori.

Fino al XIX secolo, infatti, la chirurgia doveva scontrarsi, in quello che appariva come una guerra persa in partenza, con i suoi tre grandi avversari: le infezioni, le emorragie e il dolore.

Gli studi di William Harvey sulla circolazione sanguigna e l’introduzione della pratica di legatura dei vasi sanguigni approntata da Ambroise Paré, permisero di fronteggiare il primo avversario ad armi pari; lo scontro con il secondo, fu vinto grazie agli study di Ignac Semmelweis e di Joseph Lister che portano allo sviluppo e all’inserimento nella pratica chirurgica delle tecniche si antisepsi prima e di totale asepsi poi.

La necessità di alleviare la sofferenza fisica è una tematica da sempre presente in medicina, molti gli esempi storici.

In mesopotamia nel 3000 a.C. si era soliti comprimere le carotidi del paziente, pratica non esente da rischi, anche importanti, per determinarne la perdita di coscienza e poter operare senza dolore; gli Egizi utilizzavano la neve per ridurre la sensibilità delle zone da trattare, mentre nel mondo romano, Plinio il Vecchio attribuiva proprietà sedative alla mandragola.

Nel corso dei secoli, l’incremento delle conoscenze erboristiche, determinò la scoperta di numerose sostanze utilizzate poi come sedativi, come hashish, oppio, alcool. Altra metodica utilizzata era la compressione delle radici degli arti per determinarne una ischemia transitoria, con perdita di sensibilità.

Si può stabilire una linea di demarcazione tra l’anestesia antica e quella moderna, linea che passa attraverso il secolo dei numi, nel quali iniziò lo studio di due sostanze che si riveleranno fondamentali: il protossido d’azoto e l’etere dietilico.

Il protossido di azoto (il cui nome IUPAC è in realtà monossido di azoto) è un gas incolore, dall’odore lievemente dolce e non infiammabile. Fu scoperto da Joseph Priestley nel 1772, ma fu venti anni dopo che il famoso fisico Humphry Davy, iniziò a sperimentarlo su se stesso e su alcuni amici, non meno famosi di lui, come il poeta Samuel Taylor Coleridge, scoprendo che questo gas riduceva la sensazione di dolore, pur mantenendo il soggetto semicosciente. Davy descrisse l’azione del protossido come la stessa indotta dall’alcool, ma priva dei suoi effetti collaterali e sgradevoli.

A causa dei suoi effetti (leggerezza corporea, cambiamenti nelle percezioni tattili, visive e uditive, disorientamento, vertigini, diminuzione dei livelli d’ansia, aumento del senso dell’umorismo, distacco da se stessi e dall’ambiente attorno) il protossido di azoto è stato noto anche come “gas esilarante” e fin dal Settecento venne conosciuto per il suo uso creativo: famosi erano nel Regno Unito alcune feste della società borghese, chiamate “laughing gas parties”.

L’etere dietilico è un liquido incolore, infiammabile, dal caratteristico odore, definito, appunto, etereo, prodotto in processo che prevede il riscaldamento di alcol con acido solforico, seguito da altri trattamenti che ne aumentano la purezza. Il suo potere anestetico fu scoperto dal celebre alchimista Paracelso: la leggenda narra che casualmente la sostanza fu bevuta alcuni dei suoi polli, che caddero addormentati; l’alchimista, assistendo alla scena, rimase impressionato e iniziò a pensare all’uso dell’etere per ridurre il dolore.

L’etere è associato anche al’uso voluttario e come droga: nel XVII secolo veniva venduto come medicinale femminile, per i suoi effetti simili all’alcool, come sua alternativa in quanto era considerato poco appropriato per una donna essere dedita all’uso di bevande alcoliche. La sua assunzione per via orale richiede che esso sia mescolato con l’alcool, a causa del suo sapore poco gradevole e delle irritazioni che provoca a livello del cavo orale; modalità di assunzione privilegiata è quella inalatoria che permette di assumere quantità più concentrate di prodotto.

Famoso è il ruolo centrale dell’etere nel romanzo di Hunter Stockton Thompson, “Paura e disgusto a Las Vegas” del 1971, ai più noto per il suo film da esso tratto nel 1998, “Paura e delirio a Las Vegas”, con Johnny Depp e Benicio Del Toro. Nel libro i due protagonisti sostengono che “ti fa comportare come l’ubriacone del villaggio di un romanzo irlandese: perdita totale di ogni elementare capacità motoria, vista offuscata, niente equilibrio, lingua intorpidita. La mente si rifugia nell’orrore incapace di comunicare con la colonna vertebrale, il che è interessante perché ti permette di osservarti mentre ti comporti in quel modo spaventoso ma non puoi farci niente”.

L’etere è ormai scomparso nel suo utilizzo ospedaliero, sostituito da farmaci più sicuri ed efficaci; il protossido di azoto viene, invece, ancora utilizzato, erogato mediante una macchina che regola attentamente la sua vaporizzazione, ma non presenta più un ruolo centrale nell’anestesia, bensì un’attività complementare.

Fu pertanto la scoperta di queste sostanze dal comprovato effetto sedativo, che permisero il passaggio dall’anestesia antica a quella moderna. Nei prossimi articoli verrà riportata la storia dei personaggi che iniziarono ad applicare protossido di azoto ed etere e portarono alla sconfitta del dolore.

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