Chi abbia visto una volta la Valle dei Re non può non esserne rimasto soggiogato. È uno dei paesaggi più affascinanti del mondo. Esteriormente è una contrada desertica, petrosa, coperta di polvere, delimitata da una catena di rocce rosso cupo che a mezzogiorno trasforma la conca valliva in una fornace soffocante, senza uno spiffero di aria fresca, malgrado che il Nilo non sia lontano. Qui l’aria è immobile, come le montagne millenarie. Per gli egiziani essa è indubbiamente popolata di fantasmi Quando qualche anno fa ci inoltrammo nella Valle dei Re, ciò che osservammo fu un’area perfettamente organizzata e relativamente ordinata, atta ad accogliere le centinaia di migliaia di visitatori che ogni anno visitano questo straordinario sito archeologico. E la vedemmo. La KV62, come attualmente viene denominata, era indicata chiaramente, la star di tutta la Valle, la più visitata, la più famosa. Entrata nella leggenda per il suo ricco corredo funerario, l’unica inviolata e intatta, scampata ai saccheggiatori per un caso fortunato: era nascosta da un’altra tomba, purtroppo, quella sì, saccheggiata. La maschera funeraria d’oro e lapislazzuli del faraone fanciullo Tutankhamon è divenuta l’iconico simbolo dell’Egitto stesso. Quando la ammirammo nel vecchio Museo del Cairo, essa riluceva di un bagliore che sembrava provenire da una dimensione a noi inafferrabile. Gli arredi e i gioielli che erano contenuti nella tomba sono stati e sono ancora oggetto di studio per generazioni di archeologi. Le informazioni fornite da tali oggetti hanno permesso di comprendere meglio la società, la vita quotidiana e la struttura sociale dell’Egitto della XVIII Dinastia. E hanno fatto sorgere anche altre domande, enigmi ai quali si tenta ancora di dare qualche risposta.
Tuttavia, questo articolo non parlerà né di Tutankhamon, né degli oggetti della sua tomba: in futuro, forse, ce ne occuperemo. Questo articolo è un prequel, se vogliamo definirlo così, una storia su come si è arrivati a quella incredibile mattina del 4 novembre. È la storia di un uomo la cui tenacia ha regalato al mondo una meraviglia ineguagliata: è la storia di Howard Carter.
Chi era Howard Carter?
Nato a Londra nel 1874, aveva diciassette anni quando Lord Tyssen-Amherst (uno dei più grandi collezionisti di antichità egizie dell’Inghilterra) lo spedì in Egitto, dove gli Inglesi stavano scavando, in qualità di illustratore. Per qualche settimana Howard cercò di rendersi utile, poi andò ad Amarna, dove il grande archeologo Sir Flinders Petrie aveva bisogno di aiuto. Arrivato ad Amarna, gli esumatori che vi lavoravano da anni ebbero l’impressione – con quei notes e fogli da disegno che stringeva sotto il braccio – di trovarsi di fronte ad un turista perdigiorno; lo stesso Flinders Petrie, direttore degli scavi, dubitò (come ebbe a confessare più tardi) che da quel giovanottino l’archeologia potesse mai trarre qualche beneficio. Una cosa sola sapeva fare il nuovo venuto: disegnare. Tuttavia, il giovane Carter espresse sin dal primo momento il desiderio di avere la parte che gli spettava, per poter essere il fabbro della propria fortuna. Sebbene la spregiudicata richiesta del principiante avesse spiazzato gli esperti archeologi, Petrie gli assegnò un appezzamento vicino al muro esterno del grande Tempio di Aton: un contentino, in quanto si trattava di un terreno di scavo lungamente vagliato. Ma Carter non lo sapeva e si rimboccò le maniche lavorando febbrilmente per trovare qualcosa. Ovviamente la prima giornata di lavoro non diede alcun risultato. Ma il giovane non si scoraggiò, anzi il giorno successivo si impegnò ancora di più. Probabilmente a quella vecchia volpe di Petrie deve aver rimorso la coscienza quando lo vide il terzo giorno che stava ancora sbadilando perché gli offrì un appezzamento in cui nessuno aveva mai scavato. E dopo poche ore di lavoro il ragazzo mostrò raggiante i frammenti della statua di una regina. L’entusiasmo giovanile di Carter gli aveva fatto guadagnare l’amicizia di Flinders Petrie che divenne il suo maestro e gli fece capire nel corso del tempo che la scoperta delle fondamenta di edifici era molto più importante, per la Storia, di un paio di reperti aurei o di qualche pietra preziosa: essere archeologi non significava essere cacciatori di tesori.
Ad Amarna un primo indizio
Nel corso degli scavi nella città di Amarna (la capitale del faraone “eretico” Akhenaton, di cui abbiamo già fatto cenno in un precedente articolo) Petrie mostrò al suo giovane assistente un anello da sigillo, sul cartiglio del quale c’era il nome di un re: Tut-ankh-Amon. E chi era? Non era menzionato negli Annali egizi, tuttavia secondo Petrie i reperti che vi facevano riferimento dovevano trovar posto fra Akhenaton e Horemheb, un altro faraone del Nuovo Regno che fece distruggere Amarna facendo trasportare i pregiati materiali edilizi a Menfi e ad Eliopoli.
L’inizio di una carriera
Dopo aver partecipato ai lavori al tempio funerario di Hatshepsut a Tebe, Carter fu nominato, a soli 25 anni, ispettore capo del sud dell’Egitto e divenne responsabile di siti come Karnak, Luxor, Tebe e la Valle dei Re. In questo periodo la sua attività raggiunse il culmine scavando le tombe di Seti I e Nefertari, e altri siti importanti, tra i quali Abu Simbel e Aswan.
A Saqqara, però…
Un pomeriggio del 1905 il capo delle sentinelle di guardia al Serapeum arrivò di corsa all’ufficio di Carter e gli disse che un gruppo di francesi ubriachi voleva entrare senza biglietto, che uno di essi aveva maltrattato e malmenato il guardiano e che c’era stato un pestaggio generale. Carter si affrettò a raggiungere il sepolcro, fu coinvolto nella lite e malamente ingiuriato. Ingiunse alle sentinelle di difendersi; un francese rimase ucciso. Tornati al Cairo, gli sbraitanti energumeni protestarono contro Carter, e il console generale di Francia pretese le scuse. Howard rifiutò, disse di non aver fatto altro che il proprio dovere. La vicenda si concluse però con le sue dimissioni. A trentuno anni, Carter si ritrovò senza lavoro e per sopravvivere si mise a dipingere paesaggi e a venderli ai turisti. Pur rendendosi conto di mettersi sullo stesso piano dei nativi, prese a commerciare i propri quadri: doveva pur vivere, anche se gli affari furono piuttosto magri.
Un fortunato incontro
George Edward Stanhope Molyneux Herbert, nato il 26 giugno 1866, aveva due passioni: i cavalli e l’automobile. All’aristocratico (che, morto il padre, era diventato conte di Carnarvon) i quadrupedi non avevano mai procurato guai; le automobili, invece… Fu proprio l’automobile a fare di Carnarvon un seguace dell’archeologia e purtroppo in seguito ad un incidente nel quale riportò una grave commozione cerebrale, ustioni alle gambe, la frattura di un polso, lo sfondamento del palato e della mascella, la perdita temporanea della vista. Il grave incidente rese necessaria tutta una serie di interventi chirurgici dai quali non si riprese mai del tutto. I medici gli consigliarono di evitare l’umido clima invernale dell’Inghilterra e così nel 1903, per la prima volta, Carnarvon trascorse il fine anno in Egitto ed ebbe così l’occasione di incontrare quella specie umana a cui si era interessato fin da studente al Trinity College di Cambridge, composta da grufolatori scientificamente attrezzati e intenti a disseppellire relitti del passato. Egli stesso scrisse: “Avevo sempre desiderato tentare di diventare esumatore, sin dal 1899, ma per una ragione o per l’altra non ci ero mai riuscito”. Giunto a Luxor nel 1908 e ottenuta una concessione di scavo, si mise a lavorare senza alcuna pretesa. Lavorando ininterrottamente per sei settimane tra nuvole di polvere trovò…un gatto mummificato. Il Lord non tardò a riconoscere che il denaro e la tenacia non potevano sostituire la competenza tecnica. Dopo settimane e mesi di vane fatiche, fuori di sé, mandò a casa gli operai e si recò al Cairo da Gaston Maspero, direttore generale delle antichità egizie, per protestare: gli avevano assegnato un territorio già sfruttato che produceva sassi e basta. Maspero ribatté che la possibilità di trovare qualcosa esisteva un po’ dappertutto; erano però necessari dei presupposti, non ultimi il sapere tecnico e l’esperienza. Carnarvon chiese se c’era una persona competente da mandargli, e Maspero, che non aveva perso la stima nei confronti di Carter dopo l’episodio del 1905, fece il suo nome.
Quando si incontrarono per la prima volta, i loro occhi rimasero piuttosto ostili; eppure, per sedici anni sarebbero stati insieme questi due uomini così esteriormente simili, ma anche profondamente diversi: Carnarvon aveva allora 41 anni ed era ricchissimo e pieno di vita; di natura estroversa e dai modi affascinanti era il tipico esponente della classe nobiliare nell’Inghilterra edoardiana, amava gli sport all’aria aperta e aveva uno spiccato gusto per l’avventura. Carter invece, a 33 anni, era povero, rassegnato e chiuso: un’esistenza fallita alla quale era stato sottratto ogni valore. All’inizio ci fu una specie di amore-odio; avevano bisogno l’uno dell’altro.
Per i successivi quindici anni, il sodalizio tra i due si concretizzò nell’affrontare numerosi scavi a partire da Der el-Bahari dove Carter ritrovò una tomba della XVII dinastia sulla soglia della quale rinvenne due tavolette di legno nelle quali era narrata la storia del generale Kamose, colui che liberò l’Egitto dalla dominazione Hyksos: una scoperta di importanza storica straordinaria. Nel 1911, l’equipe di esumatori aveva già esplorato una superficie di 11mila mq.
Nel 1912, dopo cinque anni di lavoro a Tebe, Carnarvon si convinse che era inutile continuare a cercare nella Valle dei Re e chiese di poter scavare altrove, in qualche località del Basso Egitto. Le autorità del Cairo gli indicarono Xois, alla foce del Nilo. Carter seguì il datore di lavoro controvoglia, ma l’avventura durò soltanto due settimane: centinaia di cobra velenosi presero le difese dell’antica Xois; ogni colpo di piccone rischiava di costare una vita; inoltre, il caldo era tremendo. Carnarvon rinunciò. Per il Lord si pose quindi il problema se valesse la pena di chiedere una nuova concessione. Le località più appetibili si trovavano saldamente in mano a Francesi, Tedeschi e Americani, ed erano Saqqara, Amarna, Tebe. Tuttavia, secondo Carter, la possibilità di scoprire qualcosa nella Valle era tutt’altro che esaurita. Ma Carnarvon si disse contrario. Howard non mutò opinione e riuscì a convincere il capo a fare un nuovo, ultimo tentativo.
Scoppia la Prima Guerra Mondiale
Carnarvon aveva appena ottenuto il permesso di tornare a cercare nella Valle dei Re quando la Grande Guerra divampò. E mentre i Tedeschi si lanciavano su Verdun, un uomo con una corda e un piccone percorreva faticosamente la Valle, sperduto e solitario: Howard Carter. Andava auscultando una pietra dopo l’altra, una roccia dopo l’altra nella speranza che risuonasse il vuoto. Ma camminare da soli nella Valle era snervante. Chi lo avesse visto, avrebbe pensato che Carter fosse un pazzo, un lavoratore folle. Batteva centimetro dopo centimetro le pareti e restava in ascolto, come se si aspettasse che dall’interno gli rispondessero. Ma risposte, almeno per il momento, non ne ebbe. Questi insuccessi lo resero ancora più convinto che doveva lavorare con intensità e tenacia accentuate. Per sondare il terreno con nuovi scavi gli mancavano però i mezzi finanziari e la manodopera. Senza il sostegno del Lord, non poteva cominciare.
Per non sprecare tempo, costruì una casa sulla strada che conduceva alla Valle: doveva servire a lui e a Carnarvon da abitazione-ufficio-laboratorio. Fu Howard stesso a progettarla e non si può dire che l’edificio fosse bello: la cupola centrale, che lo proteggeva dal sole, gli dava l’aspetto di una sbilenca moschea.
Mentre Carter presidiava con la sua abitazione la Valle, Lord Carnarvon cercò a modo suo di sbrigarsela con la guerra. Lo avevano dichiarato inabile a causa della cattiva salute. Prevedendo che i generi alimentari sarebbero diventati scarsi, era corso ai ripari, accumulando scorte per le 253 anime di Highclere, nel cui castello venne allestito anche un ospedale. Nel frattempo, riceveva da Carter resoconti di scoperte: aveva trovato la seconda tomba di Hatshepsut, eseguito scavi di assaggio nella Valle e diede notizia di essere sulle orme di un grossissimo ritrovamento.
Sebbene infuriasse il conflitto e fosse da suicidi affrontare il mare, Carnarvon cercò più volte di raggiungere l’Egitto. Giunto al Cairo, volle parlare subito con Carter chiedendo in quale località si sarebbe continuato a scavare. Quando Howard trasse dalla tasca la planimetria della Valle e indicò una crocetta, Carnarvon, deluso e indignato non poteva credere che quell’archeologo fosse così fissato con quel sito ormai già sfruttato, convinto di poter trovare un faraone praticamente sconosciuto, quel Tut il cui nome esisteva solo su qualche sparuto reperto.
Un ultimo tentativo
Pochi giorni dopo la fine della guerra, Carter e Carnarvon ripresero gli scavi dove li aveva interrotti quattro anni prima, ma senza alcun risultato. Il conte decise di tentare nel Fayyum, la gigantesca oasi al limitare del deserto libico, ma una rivolta che scoppiò proprio lì spinse l’Egitto verso l’anarchia e il Cairo rimaneva l’unico luogo sicuro. Dopo qualche settimana, all’approssimarsi dell’inverno, il Lord fece ritorno a Londra.
Arriva il 1922
Come ogni anno, Carter aveva trascorso l’estate del 1922 a Londra, col morale a pezzi. A giudicare dall’atteggiamento di Carnarvon, il Lord non era più disposto a finanziare scavi nella Valle. Ma giunse una lettera da Highclere: Carnarvon gli chiedeva un colloquio. Carter intuì di cosa si trattasse. Da quando aveva avuto il permesso di farlo (dal 1914), Howard aveva scavato e setacciato la Valle, sistematicamente, sempre alla ricerca di Tut il Dimenticato. Professori di tutto il mondo avevano sempre affermato che tutto era già stato dissotterrato e sulla faccia della terra non c’era più un solo professore di archeologia disposto a dar credito all’eccentrico Lord e al suo invasato esumatore. Tuttavia, pur essendo sempre più scettico, Carnarvon fu influenzato dalla perseveranza dell’archeologo, continuando a finanziare scavi anno dopo anno senza vedere alcun risultato ma solo costi. Il conte gli riconobbe i meritori sforzi compiuti ma “tenuto conto delle difficoltà economiche di questo dopoguerra, mi è impossibile continuare a dare il mio appoggio ad una attività dimostratasi praticamente sterile”. E con questo, stava stroncando la carriera di Carter, la vita di un uomo. Eppure, Howard dimostrò ancora una volta una determinazione non comune, dicendosi convinto che la Valle nascondesse almeno una tomba, quella di Tutankhamon. Dispiegando ancora una volta la mappa della Valle l’archeologo vi indicò segnati tutti gli scavi effettuati in ogni stagione. Vista in maniera superficiale, quella mappa poteva dare l’impressione che tutte le possibilità di scavo fossero davvero esaurite. Ma Howard indicò un piccolo triangolo e disse: “Sotto l’ingresso della tomba di Ramses VI ci sono resti di fondamenta in muratura appartenute ad antiche capanne di pietra, presumibilmente edificate dai costruttori di sepolcri. Potrei togliere di mezzo le fondamenta per esaminare il terreno sottostante. Soltanto quando avrò sgomberato questo angolo mi convincerò che il mio lavoro nella Valle è finito”. Carnarvon rifiutò di finanziare un’altra stagione di scavi. Carter gli fece un’offerta: avrebbe scavato a sue spese utilizzando la concessione intestata al Lord. Se non avesse trovato nulla, sarebbe tornato a Londra, ma se avesse fatto una scoperta, sarebbe appartenuta al conte, come da concessione. Fu un colpo di genio: Carnarvon non poteva permettere di lasciar scavare Carter addossandogliene i costi. E lo finanziò ancora.
La scoperta
Carter tornò in Egitto e si rese conto che quella era la sua ultima stagione di scavi: o trovava il faraone dimenticato o il fallimento avrebbe posto fine alla sua carriera di archeologo, bancarotta dell’esistenza, disoccupazione ciclica, come vent’anni prima.
Arrivato a Luxor il 28 ottobre del 1922, Howard rimise insieme la vecchia squadra di scavatori. I lavori ebbero inizio il primo novembre. Sotto l’ingresso sepolcrale di Ramses VI, liberate dalle macerie, vennero alla luce le fondamenta delle capanne erette tremila anni prima dai costruttori della necropoli. Carter le fece rimuovere. Il 3 novembre, le fondamenta non c’erano più.
Al mattino del 4 novembre 1922, quando giunse in cantiere, non udì il consueto rumore dei picconi e dei badili: doveva essere accaduto qualcosa. Il caposquadra gli fece strada e gli mostrò un gradino nella roccia, proprio dove erano state asportate le fondamenta. Anni di insuccessi avevano reso scettico l’esumatore: “Stentai a credere che avessimo finalmente scoperto una tomba”. Lavorarono come matti fino al pomeriggio del giorno seguente per disseppellire dodici gradini e la parte superiore di un portale murato, con ancora i sigilli intatti! Carter ancora non ne aveva la certezza, ma aveva appena fatto la scoperta più importante del XX secolo. Concludiamo qui la storia citando il memorabile cablogramma che Carter inviò in Inghilterra: “Finalmente fatta splendida scoperta nella Valle; magnifica tomba con sigilli intatti, richiusa in attesa del vostro arrivo; congratulazioni”.
Una storia che continua
Come i lettori avranno capito, la storia della scoperta della tomba di Tutankhamon proseguì per anni, con scrupoloso metodo scientifico. Infatti, fu solo il 26 novembre del 1922 che i sigilli della porta furono rimossi, permettendo agli scavatori di proseguire verso la scoperta di nuove meraviglie che apriranno una nuova pagina della storia dell’archeologia. Magari ce ne occuperemo in un’altra occasione. Ma ciò che a noi premeva era chiarire che il 4 novembre del 1922 fu scoperto il primo gradino di una serie sconvolgente di ritrovamenti.
Grande fu l’emozione che la scoperta della tomba suscitò in tutto il mondo. La società dell’epoca ne fu talmente influenzata al punto che fiorirono racconti fantasiosi, strane dicerie riguardo alla presunta maledizione, argomento che saremo lieti di affrontare in futuro. Il cinema, la letteratura e le arti trassero ispirazione dagli oggetti straordinari emersi dalle nebbie di quel passato, e per ironia della sorte, un fanciullo che in vita non ebbe quasi alcun rilievo, divenne il faraone più conosciuto del mondo: Tutankhamon.