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30 anni senza Rudolf Nureyev, il genio della danza caro agli dèi.

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È uscito di scena come voleva. Soprattutto senza crederci, ancora giovane e caro agli dèi. Anche Rudolf, come Vaslav Nijinskij cui a torto o a ragione è spesso paragonato, era uno che muore se non è amato. Ma contrariamente a Vaslav è sempre riuscito a farsi idolatrare: proprio perché non s’è mai concesso. Con il tempo c’è stata lotta ma non agonia, con l’arte patti ma non sconfitte. Da trent’anni che paiono ieri (6 gennaio 1993) riposa nel cimitero ortodosso di Sainte-Geneviève-des-Bois, nella banlieue parigina. Il pellegrinaggio di chi lo porta nel cuore verso quella sepoltura, che il genio di Ezio Frigerio ha ricoperto con uno splendido kilim a mosaico per allontanare la morte, è ininterrotto.

Rudolf Nureyev, esule, leggenda di media e inconscio collettivo, dalle nostre parti s’è visto tardi. Arrivava dalle tappe di un passato fiabesco che lo mette al mondo (17 marzo 1938) sul treno in transito tra il lago Baikal e Irkutsk, mentre la madre si accinge a raggiungere il marito. Il severo politruk che sarà sempre d’ostacolo al figlio, che vorrebbe più simile alla sua durezza: che so, un ingegnere, un militare. La famiglia si ferma a Ufa, Baskiria, una provincia povera e allora scarsamente abitata, dove il Nostro aiuta la famiglia vendendo giornali vecchi d’inverno e acqua d’estate.

Intanto cresce. Testa, corpo e anima sono sempre più sostanziati di danza. Una singolare prima natura che non verrà mai meno. Un alter ego sempre negato a lui che bambino si arrampica su una collinetta e guarda e riguarda il treno che passa sferragliando sul ponte della pianura sottostante. È il treno che va a Mosca, poi a Leningrado, poi a Londra, poi chissà dove. Il treno della libertà. Un giorno, travolto dalla sua natura e in rotta con tutti, salirà su quel treno per un viaggio interminabile alla volta di Leningrado dove arriverà all’alba per aspettare ore fuori dalla porta serrata del mitico Kirov, la sua chiesa. Ma quando finalmente si trova davanti a chi lo deve ammettere, ha già 17 anni, e la maestra che lo giudica butta lì un “caro ragazzo tu diventerai un grande ballerino o sarai un gran fallimento”. Lui non se lo fa ripetere. È dotato, è vero, ma il suo impianto tecnico mostra varie falle. E come sappiamo non è facile costruire su basi difettose. Inoltre Rudolf ha già 17 anni, l’età dei compagni che escono dal sacro tempio diplomati. Ma il Nostro non arretra. Studia alla ricerca di una perfezione che non sarà mai sua. Il maestro non gli piace e lui, tra mille discussioni, cambia classe sotto l’ala protettiva di Puskin. E non scordiamo che siamo in Urss. In tre anni arriva alla fine del corso.

Le prime immagini di Rudolf che ci arrivano dalla Russia sono appunto un film di colorate danze folkloristiche (si studiavano a scuola) e soprattutto lo spezzone della Variazione del Corsaire affrontata in sala Čaikovskij per il Concorso Danza di Mosca ’58 dove, concentrato e felino, l’indomito Rudy gira, salta, affronta ogni insidia infagottato in poveri sbuffi bianchi. Ma a suo modo. Non ha ancora l’aplomb della danse d’école, né l’eleganza della muscolatura allungata che consegna solo lo studio giusto e adatto a te.
A Parigi, con una tournée del teatro, in un momento di distrazione del Kgb e un attimo prima di imbarcarsi sul volo di ritorno, Rudy conta sei passi, si getta tra le braccia degli agenti dell’aeroporto di Le Bourget e chiede asilo politico. La vita è finalmente sua. L’imprevedibile e “impossibile” episodio monopolizza l’attenzione del mondo, la carta stampata gli dedica pagine e pagine, le fantasie si scatenano tanto da essere poi consegnato alla cinematografia dove Lelouch lo riprende in Bolero e Baryshnikov ne veste i panni ne Il sole a mezzanotte.

Da quel giorno termina la preistoria e inizia la storia. Viene subito ingaggiato dai Balletti del marchese di Cuevas, ma il suo obiettivo è Copenaghen, la città che ha forgiato Erik Bruhn, il modello cui vuole somigliare. Rudolf conosce i suoi limiti, anche se a noi bastano il carisma, lo sguardo degli occhi verdi e inquietanti, il magnetismo, la sensualità onnivora, la bocca carnosa e infantile che si muove in continuazione (ma che fa? parla?) la bellezza esotica del volto, l’eccitazione suscitata dalla sua presenza fuori e dentro il teatro: dove, anche se sta fermo, non si vede che lui.
Un po’ per volta diventa il fulgido Apollo del mito, il ballerino più osannato. Anche grazie al ventennale sodalizio artistico con dame Margot Fonteyn dall’aplomb perfetto. Margot ha venti anni più di lui e si sta ritirando, ma sedotta dalla violenza psicologica del partner torna la più affascinante delle danzatrici.
Arrogante e amabile, scontroso, superbo e umile, Nureyev è conteso dai teatri e dalla stelle del mondo. Un nome per tutti, Carla Fracci. A New York vorrebbe entrare nella compagnia di Balanchine, Mister B, il padre della danza americana. Ma ancora una volta si sente dire che la danza non è fatta solo di “arabesque” (la sua posizione preferita, protesa verso l’infinito) e “pas de deux”. Vai, tuffati anche nel moderno. E lei va, la sua intelligenza superiore abbinata all’istinto apre tutte le porte. Rudy lo ricordiamo principe ma amiamo forse maggiormente il Pierrot Lunaire di Glen Tetley sul musica di Schönberg. Un Pierrot bianco, dai grandi occhi stellati che cerca disperato di forzare la sbarre che ne comprimono l’anima. Nel suo carnet non mancano film (Valentino di Ken Russel) e manifestazioni di ogni genere. Mentre la curiosità intellettuale lo porta in musei, librerie, gallerie d’arte.

Rudy soffre di una angosciante nostalgia. La sua città, la sua patria, sua madre. Così si crea in Italia un surrogato di famiglia, la casa dell’agente tuttofare Luigi Pignotti. Amato sì, ma comandato a bacchetta. Non possiamo dimenticare la volta che, in Versilia, andammo a sbattere contro un affannato Luigi intento a rattoppare la scarpina mezza-punta che lui voleva assolutamente calzare quella sera. In Russia riuscirà solo a fare una rapida scappata per poi tornare in era Gorbaciov in tempo per vedere la madre morente.
Rudy, si diceva, non si concede. Infatti davanti a Positano compra l’Isola delli Galli, una casa su una roccia circondata dal mare delle sirene. La posta arriva alla Buca di Bacco, lo storico albergo della spiaggia. E lui atterra come un Wanderer su una barchetta, con il mantello al vento e il passo autorevole. Ha anche altri rifugi, ma i Galli sono i preferiti. I Galli dove, quando è in vena, ci permette un bagno con la semplicità contraria a quella adottata all’altro inquilino della costiera, Franco Zeffirelli. Nelle tre case dove incontravi Gregory Peck e Liza Minnelli tutto è rito. Ospiti vestiti di bianco, pranzo alle 12 al battere del gong, discesa a mare attrezzata. I due si frequentano. E ricordiamo ancora la memorabile zuffa la volta che, dopo lo spettacolo del Premio Positano, Rudolf anziché arrivare dalla strada, arrivò dal mare trovando i cancelli sbarrati. Volarono le porcellane cinesi e Luigi dovette trascinare via il divino recalcitrante su per l’erta scalinata, fino allo stradone.

Geniale e selvatico, Rudy del resto litiga con tutti. Con il padre, la maestra del Kirov, Balachine, i colleghi, il direttore dell’Opéra di Parigi, Béjart, Zeffirelli. I suoi interlocutori: “Lei, Signora, non conosce la danza”. È bizzoso e imprevedibile. La sezione classica della tournée del Ballo scaligero al Met (’82) prevedeva Romeo e Giulietta. Tutto bene con Carla Fracci, ma quante prese sbagliate con Anna Razzi! Ama visceralmente i balletti di repertorio, tanto da volerli fare suoi rendendo più complessa la coreografia e soprattutto declinando i libretti in modo psicoanalitico. Alla Scala, consegna la sua versione di SchiaccianociRomeo e GiuliettaLago dei cigniDon Chisciotte e Cenerentola. Dei quali, un giorno sì e uno no, minaccia di ritirare i diritti.
Nella casa dei Galli aveva collocato una sbarra davanti alla finestra dove continuava a studiare con quei suoi piedi massacrati dall’usura quotidiana. Poi, le onde cominciano a portarci le note del primo Preludio del Clavicembalo ben temperato. “Adesso suona?”- “No, sono un direttore d’orchestra”. Infatti, poco dopo a Varese, eccolo sul podio alle prese con Beethoven.
Ma lui è la danza. Gli ultimi tempi, a Parigi, monta Raymonda e controlla le prove sulla sedia a rotelle collocata tra le quinte. Poco dopo se ne va. Se ne va apparentemente, perché una singolarità della natura come lui non se ne andrà mai. Infatti il magnifico kilim che portava sempre con se è ancora con lui, nel cimitero ortodosso della banlieue. Meta di ricordi e ampolla di lacrime e fiori.

Elsa Airoldi- Connessiall’Opera.

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