Primo Carnera fu un pugile italiano, primo campione del Mondo dei pesi massimi per il nostro Paese; era un uomo imponente, alto e grande, molto più della media degli italiani degli anni Trenta. Carnera era tanto forte, quanto buono; sconfisse i migliori pugili del suo tempo, ma fu battuto dalla sua caviglia che si fratturò durante l’incontro in cui perse il titolo a favore di Max Baer.
Questo fu uno dei motivi per cui tra i vari soprannomi che gli attribuirono, accanto a “La Montagna che cammina”, vi fu anche “Colosso dai piedi d’argilla”. Questa definizione, che deriva da un episodio biblico riguardante un sogno del Re Nabucodonosor, è entrata a far parte dei modi di dire, quando si vuole descrivere qualcosa di potente che si regge su una base così debole, da rischiare di cadere da un momento all’altro.
Può apparire strano, ma pensando al grande pugile Carnera, mi è venuto in mente il nostro Sistema Sanitario Nazionale, perché egli si infortunò dopo appena due minuti dall’inizio dell’incontro,, ma Primo era un campione vero, aveva vissuto una infanzia di povertà, conosceva il sapore del sacrificio e tenne testa al suo avversario fino all’undicesima ripresa, quando fu l’arbitro a interrompere il match, decretandone la sconfitta. Carnera era rimasto in piedi.
La nostra sanità pubblica ha una struttura forte, i cui pilastri sono gli operatori sanitari, che resistono ad ogni difficoltà e ad ogni pugno (e purtroppo in molti casi non si tratta solo di una metafora), ma ha delle fondamenta deboli: una politica che non tutela un suo bene e, purtroppo, anche una parte dei cittadini; il piede destro e il piede sinistro di argilla.
La politica fa il suo danno: noi operatori sanitari lavoriamo in contesti strutturali spesso troppo vecchi, con mancanza di presidi, con attrezzature superate; ne risente la qualità del lavoro. Le scelte che sono arrivate dall’alto hanno reso meno appetibile lavorare nel pubblico, provocando un’emorragia di medici: ne consegue che chi resta vive la quotidiana carenza di personale, è costretto a straordinari male o per niente pagati, è oppresso dalla burocrazia, dalle denunce facili, dalla mancanza di formazione e gratificazione. Non biasimo chi ha abbandonato, chi è andato dal miglior offerente, chi ha deciso di lavorare in condizioni più umane, con un migliore guadagno a fronte di rischi ridotti, perché forse il più grande disastro è che non solo siamo costretti a lavorare in condizioni umilianti, ma siamo utilizzati come scudi umani dalla politica, che si nasconde dietro i nostri camici, mentre ci prendiamo insulti e aggressioni.
Non mi sento comunque di assolvere l’utenza, che è sì vittima di uno Stato che lascia agonizzare la propria sanità pubblica, calpestando il diritto alla salute, ma è anche carnefice, perché stiamo vivendo un periodo di bassa educazione sanitaria civile, dove il cittadino spinge ancora più fondo il proprio dito nella piaga della sanità. Vivendo il mio lavoro ho avuto spesso l’impressione che molti si rechino in ospedale come se andassero alle Poste (con tutto il rispetto per un altro servizio pubblico ovviamente), li vedo entrare in ambulatorio arrabbiati per aver aspettato, quando dovrebbero essere contenti, perché attendere significa che io sto dedicando ai pazienti il tempo di cui hanno bisogno e non i quindici minuti che l’Azienda Ospedaliera mi concede per una singola visita.
Siamo esseri umani prima che medici: se subisco un’aggressione verbale, se mi trovo a litigare con un paziente maleducato, successivamente la mia lucidità sarà alterata, mi sarà più difficile concentrarmi sul paziente successivo e questo non dipende dalla mia bravura. E perderò fiducia.
Poi apri i giornali e ogni giorno si legge di casi di cosiddetta malasanità, ovviamente senza conoscere i retroscena, senza sapere nulla di medicina, traendo conclusioni frettolose e la maggior parte delle volte sbagliate; da quello che leggo sembra che ogni medico si svegli la mattina e si rechi a lavoro con l’intenzione di fare del male a qualcuno, o peggio. Mai, però, che si scriva qualcosa quando un medico viene assolto (succede praticamente nella quasi totalità dei casi), mai che si punti il dito verso chi ha denunciato ingiustamente un operatore sanitario che stava facendo il proprio lavoro.
Vorrei riportare alcune considerazioni di una mia amica e collega, Sara Palmieri, radiologa a Brescia: in questi giorni sta girando su alcune testate e sui social una sua lettera, dal titolo eloquente: “Non lasciateci soli”. Mi fa piacere poter contribuire alla visibilità delle sue considerazioni, che condivido.
“Questa settimana è iniziato l’evento Bergamo Brescia città della cultura italiana 2023. C’è un bellissimo video di presentazione che si apre con due immagini emblematiche: la processione dei carri dell’esercito che porta via le salme da Bergamo e l’ospedale civile di Brescia illuminato dal tricolore.
Siamo a marzo 2020.
Inizia probabilmente la pagina più buia della sanità italiana.
L’ospedale civile in pochi giorni verrà stravolto e diventerà il più grande ospedale covid del mondo.
Assisteremo al crollo della medicina territoriale. I medici di base abbandonati a se stessi, senza indicazioni nè presidi. Intere zone prive di riferimenti sanitari, con i cittadini che si riversano sulle strutture centrali già in sofferenza.
Assisteremo al vero volto della sanità privata, che cerca di trincerarsi e non perdere produttività. Ci vorranno 20 giorni e una ricca offerta economica prima che aprano i cancelli ai malati covid.
E assisteremo al crollo del Servizio Sanitario Nazionale. Che trabocca di malati, che non ha posto e ossigeno per tutti, che non è preparato, non ha i mezzi, le strutture e le persone.
Anni di tagli e mortificazioni, di scelte scellerate, che in questa regione hanno lo stesso colore da almeno 30 anni e vedono incredibilmente ancora ben saldi i principali protagonisti degli eventi che sto raccontando.
Se siamo qui oggi, a raccontarcela, se il sistema ha retto, è grazie al personale sanitario, che non ha mollato il colpo, nonostante fosse già in una situazione critica. Per cercare di salvare tutti.
La politica non c’era o faceva danni, questo lo stabilirà la magistratura. Mentre i medici, gli infermieri, i tecnici e gli oss non arretravano di un passo davanti allo tsunami, lavorando in condizioni paragonabili ad un ospedale di guerra, senza conoscere orari, riposi o la minima sicurezza.
Sono 379 i medici morti di covid. Fra tutti, ricordo Gino Fasoli, bresciano. Un medico di base in pensione, richiamato in servizio per aiutare a coprire i colleghi malati o che stavano lavorando in ospedale. Gino è morto, il 21 marzo 2020, di Covid.
Ma nonostante tutto questo, abbiamo sacrificato la nostra vita personale, affettiva e familiare, perchè questo è il nostro lavoro. Questa è la nostra etica. Che va bene in una situazione di emergenza, ma non può e non deve essere considerato uno standard.
La risposta della politica è stata quella di consolarci e rabbonirci con la retorica dell’eroe, ma poco o niente è stato fatto per aiutarci realmente nè per porre rimedio alle paurose crepe che abbiamo davanti.
Tra i cocci che ci sono rimasti dopo 3 anni, emergono le spaventose liste d’attesa e il drastico peggioramento delle nostre condizioni lavorative. In tutta Italia.
Ancora oggi i turni di lavoro sono al limite della legalità, mancano le ferie e i riposi, per sopperire alla carenza di personale. A dicembre al pronto soccorso del policlinico universitario di Udine lavoravano con oltre cento pazienti al giorno in attesa. La notte fra l’11 e il 12 dicembre, la dottoressa Lucia Damiano lavora ininterrottamente per 14 ore, con un afflusso enorme, fra una marea di stupidaggini e 3 arresti cardiaci ripresi. Lucia, esausta, torna a dormire a casa finalmente. Dopo qualche ora, la figlia aprirà la porta alla zia chiedendo di non disturbare che “mamma riposa”. Lucia, 49 anni, in realtà è già morta, nel sonno.
Negli ultimi 3 anni, 21 mila medici hanno abbandonato il SSN, si stima che quasi 100 mila lo faranno nei prossimi anni. Vanno a fare i gettonisti, a lavorare nel privato o all’estero. Perchè si lavora meglio e si viene pagati di più, non a caso i medici italiani statali sono fra i meno pagati d’Europa. La concorrenza col pubblico è spietata e sembra non interessare nessuno.
La retorica dell’eroe, dicevamo, pulirsi la coscienza con le monete da 2 euro e le statue, sono solo un balsamo effimero per romantici creduloni, ma non possono compensare il pesantissimo prezzo che paghiamo nelle nostre vite. La solitudine, l’isolamento, la frustrazione, la tensione, la stanchezza. Una collega anonima racconta che per 4 giorni di fila non è riuscita a vedere i propri figli da svegli, fino ad un pomeriggio in cui crolla piangendo sul letto. E la figlia di 5 anni la abbraccia, le accarezza la testa e la rincuora “andrà tutto bene”.
Ma questo non è giusto, non è umano. Perchè il nostro è un lavoro e non una missione. È una professione che ci pone a contatto continuamente con la sofferenza, il dolore e la morte. Per gestire tutto questo, anche emotivamente, e lavorare meglio, abbiamo bisogno di dedicare tempo alla vita: la nostra.
L’università di Milano Bicocca ha stimato che il 72% dei medici italiani è in una condizione di burn out, ansia o depressione. Non un collega solo è arrivato a compiere il gesto estremo. Ma nessuno ci aiuta. Nessuno ci ascolta. Siamo rimasti da soli.”
E mentre si cerca di coprire la falla con medici gettonisti, non specialisti, non controllati e strapagati, agli ospedalieri si chiede sempre di più: turni oltre l’orario di servizio, ambulatori aperti a oltranza, recupero e addirittura aumento della produttività rispetto al pre covid. Non ve lo devo spiegare io come questo non migliori la qualità e l’efficienza delle nostre prestazioni, anzi. E i medici si licenziano sempre di più, sfiniti, incazzati, frustrati. Aumentando ancora di più il carico su chi resta.
Ed è un loop infinito.
I pazienti non si sentono seguiti, non trovano spazio, si riversano nei pronto soccorso sempre più affollati, crescono l’esasperazione e la tensione, alimentate anche da una assurda e raffazzonata narrazione della stampa. E sono sempre di più le aggressioni al personale sanitario: dalla collega in guardia medica strangolata per aver suggerito un trattamento, al medico di reparto picchiato per aver comunicato un decesso, fino al medico di ps ucciso a colpi di accetta nel parcheggio dell’ospedale.
Riversano su di noi la frustrazione e il disagio che la politica ha creato.
Ed è ora e tempo che la politica si assuma le proprie responsabilità e risolva questo dramma.
Non lo chiedo per me. Fatelo per Gino, per Lucia, per Alessandro, per i medici aggrediti perchè svolgono il loro lavoro in scienza e coscienza, per tutti i medici che ancora credono nella sanità pubblica e stanno cercando di sopravvivere. Fatelo per tutti i malati che non riusciamo a curare adeguatamente e per tempo. E in fin dei conti, fatelo per i 45 mila morti di covid in questa disgraziata regione, che un po’ glielo dovete.”
Noi viviamo ogni giorno accanto alla sofferenza delle persone, noi vediamo la morte, vediamo la fiamma della speranza che si spegne negli occhi di chi sa che un proprio caro sta per andarsene; viviamo il fallimento di non essere riusciti a salvare qualcuno, ci rodiamo dentro nel chiederci se avremmo potuto fare di più o meglio.
Noi sentiamo tutto questo e poi proviamo, con scarsi risultati, a non portarlo a casa con noi; quando, ancora troppo giovani, abbiamo capito che avremmo vissuto questo nella nostra vita sapevamo che non sarebbe stato facile. Almeno, però, non rendetecelo ancora più difficile.
Siamo le ossa che tentano di sorreggere un colosso dai piedi di argilla, ma manca poco e non saremo più in grado di farlo e potremo salutare per sempre la nostra sanità pubblica, gratuita e garantita a tutti.