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L’ERESIA DI AMARNA: AKHENATON, IL FARAONE MALEDETTO.

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domenica, Novembre 24, 2024

Al visitatore che vi si aggira, quelle desolate rovine semicoperte dalla sabbia del deserto devono apparire ben poca cosa rispetto ai grandi complessi di Luxor e Karnak. Eppure, ciò che affiorano semi sbiadite dal cocente sole egiziano e dalla mano distruttrice dell’uomo sono le vestigia di una città che per una ventina d’anni fu la capitale dell’Impero egizio. Arricchita da splendidi palazzi, la città, chiamata oggi Tell el-Amarna, fu la dimora del controverso faraone che la fece costruire dal nulla e che le diede il nome alquanto evocativo di Akhetaton, “orizzonte di Aton”. Qui le arti fiorirono in un modo che non si sarebbe più ripetuto nei secoli e nelle successive dinastie egizie. Ma questa città non sopravvisse alla morte del suo visionario fondatore che, insieme agli immediati, effimeri successori, venne praticamente cancellato dalla storia. I persecutori della sua idea di religione riuscirono a distruggere tutte le tracce evidenti della sua esistenza: Akhetaton venne quindi svuotata di ogni arredo, oggetto prezioso o decorazione, poi abbandonata e consegnata all’oblio delle sabbie che già cominciavano a seppellirla, mentre i nomi dei faraoni legati in qualche modo ad essa furono sistematicamente eliminati dalle liste regali. L’unica testimonianza che rimaneva della loro esistenza era quella fornita da Manetone che, nella lista dei sovrani della XVIII dinastia nominava un gruppo di re, compresi tra Amenhotep III e Ramesse, ai quali era attribuita una durata di regno assai lunga, troppo lunga per non pensare che dovessero essercene stati altri in mezzo… A causa di questa damnatio memoriae, il visionario faraone fu completamente dimenticato fino alla scoperta, nel XIX secolo, del sito dove sorgeva la sua città, la città dove egli coltivò il suo sogno, il sogno di Akhenaton, il faraone eretico.

L’Egitto della XVIII dinastia
Prima di entrare nel vivo dell’argomento, è necessario un accenno al contesto storico nel quale la vicenda si svolge. Il prestigio di cui l’Egitto godeva nell’ambito del mondo civilizzato del Mediterraneo orientale del secondo millennio a.C. derivava dall’autorità che gli conferivano il potere centralizzato e le risorse, le quali facevano sì che in questa terra si vivesse in modo agiato e lussuoso. L’Egitto era il principale referente per il rifornimento di beni di consumo dall’Africa tropicale al mondo mediterraneo, sia allo stato di materia prima, sia sotto forma di prodotti finiti lavorati dalla sua abile manodopera. Ma anche i suoi deserti producevano materie prime pregiate, come sale, natron e altri minerali, oltre a pietre semipreziose; e, soprattutto, i ricchi giacimenti di oro, i quali facevano sì che l’Egitto venisse corteggiato dagli altri regni dell’antichità, fra cui circolava il proverbio secondo il quale l’oro era la polvere della terra d’Egitto. Facile quindi immaginare l’immenso prestigio e l’influenza che il faraone, il re-dio (che governava uno Stato unificato tanto ricco), esercitava sul mondo antico.

Anche le forze armate fornivano la possibilità di emergere e di raggiungere una posizione che conferiva importanza e ricchezza; era questo un inedito modo di progredire dovuto in gran parte a un nuovo sistema sociale sorto con l’introduzione, da parte dei popoli ariani, verso il XVIII secolo a.C. del cocchio trainato dal cavallo. Infatti, durante l’anarchia che in Egitto fece seguito alla caduta del Medio Regno, gli Hyksos (le cui origini sono ancora oggi fonte di dibattito), assoggettarono il Basso Egitto e si fecero riconoscere come i legittimi successori dei faraoni. Per cacciare questi usurpatori, i principi tebani, nel XVI secolo, dovettero adottare tutte le nuove armi dei loro nemici e subito dopo adottarono anche la loro organizzazione militare e struttura sociale. I faraoni del Nuovo Regno si mostrarono sensibili all’impatto delle nuove idee: all’antico abbigliamento tradizionale del preistorico re pastorale, essi aggiunsero una nuova corona, la Corona Azzurra, che era un elmo da guerra di origine asiatica. La scimitarra sostituì l’antico bastone col quale i re massacravano i loro nemici e venne perfino affiancata al tradizionale “flagello” e agli scettri uncinati.

Durante il Nuovo Regno, i faraoni guerrieri estesero il loro dominio sull’Asia, sulla Nubia e sul Sudan. La ricchezza materiale sotto forma di tributi e di lavoro schiavistico che si riversò sull’Egitto come conseguenza di tali conquiste, stimolò tutti i tipi di imprese, in particolar modo le grandiose costruzioni di templi in ogni centro del paese, e soprattutto a Tebe, città natale dei primi sovrani della XVIII dinastia, nonché sede del dio Amon, al quale essi attribuivano il merito del loro successo e prosperità. Proprio per questo, i faraoni mostravano la loro gratitudine elargendo tesori al dio che li aveva protetti. Ed è esattamente da qui, dall’importanza estrema che aveva Amon (con annessi e connessi), che si deve partire per comprendere come mai il suo “declassamento” a favore del dio Aton da parte di Akhenaton venne guardato con orrore.

Un giovane faraone sale al trono
Il futuro Akhenaton era un figlio minore di Amenhotep III e della Grande Sposa Reale Tiy. L’evento della morte prematura ed in circostanze misteriose del Principe ereditario Tuthmose, fece sì che il principe Amenhotep – questo il suo nome originale – divenisse il primo nella linea di successione. Quando nel 1351 a.C., giovane e inesperto, salì al trono, egli ereditò una situazione difficile: il Regno di Mitanni (situato a nord della Mesopotamia e abitato da Hurriti), a quel tempo alleato dell’Egitto, era sottoposto a pressione da parte di un Hatti (o Khatti, un antico popolo non-indoeuropeo insediato in Anatolia) che risorgeva, fomentando i poco affidabili Stati vassalli della Siria, mentre bande di nomadi predoni Hapiru (un termine accadico babilonese per indicare genti descritte come ribelli, fuorilegge o razziatori) creavano disordini in Palestina. I tempi richiedevano un sovrano forte, come lo erano stati i faraoni guerrieri degli inizi della dinastia, che avevano domato con ferocia tanto le insurrezioni quanto le zuffe. Invece il nuovo sovrano, che rispondeva al nome di Amenhotep IV, scelse come consiglieri sua madre Tiy, la sua regina principale, la celeberrima Nefertiti, e il sacerdote favorito Ay, marito della sua governante. Anziché correre in aiuto dei suoi alleati Mitanni, il ragazzo si immerse profondamente nella teologia filosofeggiante del tempo; e in tali contemplazioni egli sviluppò continuamente ideali e propositi che fecero di lui il più straordinario di tutti i faraoni e il primo personaggio della storia dell’umanità.

Aton, il Sole
Ovviamente, il culto di Aton non nasce così su due piedi, ma da un processo che inizia dalla trasformazione dell’Egitto in un impero mondiale. Questa trasformazione, compiuta appunto durante la XVIII dinastia, portò nuove concezioni nel pensiero egizio e fece sorgere l’idea di un unico dio universale, il Sole, il cui potere si estendeva su tutta la terra e che era signore di tutti i paesi, non solo dell’Egitto. Già sotto Amenhotep III era venuto in uso in modo preminente un antico nome del sole materiale, l’Aton, cioè il Disco; e sotto suo figlio Amenhotep IV il culto di questo dio si diffuse rapidamente, finché esso divenne non solo la suprema divinità, ma anche l’unica. Una nuova simbologia raffigurava l’Aton come il disco solare circondato da raggi, ognuno dei quali portava all’estremità una mano umana; di queste mani, alcune portavano il simbolo della vita (l’ankh) alle narici del re e della regina, dando così l’idea di una potenza che emanava da una fonte celeste che posava la sua mano sul mondo delle cose degli uomini. E per indicare l’importanza imperiale dell’Aton, il nome esteso del dio veniva racchiuso in due cartigli, come quello di un faraone, dando così l’idea di un supremo dio vivente.

Blocco calcareo raffigurante Akhenaton e la sua famiglia intenti a venerare Aton. Il Cairo – Museo Egizio.

Iniziano i conflitti con la casta sacerdotale di Amon
Lo zelo del giovane faraone per il nuovo culto fu evidente fin dal principio. A Karnak venne innalzato un poderoso tempio all’Aton, mentre Tebe fu allora chiamata “la Città dello Splendore di Aton” invece che “la Città di Amon”. La casta sacerdotale di Amon, il vecchio dio di Tebe, il cui potere e la cui ricchezza si erano enormemente accresciuti durante la dinastia, non poteva certo vedere di buon occhio queste misure. I sacerdoti di Amon avevano elevato alla carica di re il grande conquistatore Tutmose III e avrebbero potuto sostituire il giovane e pericoloso sognatore che ora sedeva sul trono con una figura di proprio gradimento, se Amenhotep IV non fosse stato dotato di una straordinaria forza di carattere e non fosse stato il discendente di un’illustre progenie di sovrani, troppo forte per poter essere messa da parte da una così pur potente casta sacerdotale. Ne seguì quindi un amaro conflitto, il cui esito fu conteso fra Aton e gli antichi dèi.

Amenhotep IV diventa Akhenaton
La permanenza a Tebe stava diventando intollerabile per il sovrano, il quale decise di rompere del tutto con i vecchi culti e di fare di Aton l’unico dio. I sacerdoti vennero spodestati, la venerazione ufficiale degli dèi nei templi venne sospesa in tutto il paese e i loro nomi furono cancellati dai monumenti; perfino la forma plurale della parola “dio” venne raschiata. La persecuzione contro Amon fu particolarmente severa al punto che non venne risparmiato nemmeno il cartiglio del padre del re, perché conteneva il nome dell’odiato dio, mentre il nome del giovane faraone fu mutato da Amenhotep in Akhenaton, ossia “colui che è gradito ad Aton”. Era il suo quinto anno di regno.

La nuova capitale: Akhetaton
Come abbiamo detto, Akhenaton non tollerava più di risiedere in una città in cui aleggiava l’ombra di Amon e della sua potente, anche se ormai esautorata, classe sacerdotale. Per cui decise di abbandonare Tebe come residenza reale e di trasferirsi in quella che nel frattempo, forse già dal suo quarto anno di regno, si era fatto costruire. A questa nuova città venne dato il nome di Akhetaton, “orizzonte di Aton”. Il re aveva scelto per la sua nuova capitale un terreno pianeggiante e desertico, situato nel nomo (ossia uno dei distretti in cui era suddiviso l’antico Egitto) ermopolitano, sulla riva orientale del Nilo, e delimitato ad anfiteatro da una curva della Catena Arabica. Quattordici stele di dimensioni colossali (alte 4 metri) furono scolpite direttamente sulle pareti rocciose delle colline circostanti, come pietre di confine del nuovo territorio consacrato ad Aton. Tali stele furono poi individuate da una spedizione francese nel 1883 mentre le altre un decennio dopo da Sir Flinders Petrie, il padre dell’egittologia, e presentano tutte una raffigurazione della famiglia reale nell’atto di adorare un Aton irradiante, oltre ad un lungo testo in cui si commemora la fondazione della città e in cui si narra come essa sia avvenuta in ottemperanza ad un ordine divino trasmesso al re direttamente da Aton. Il faraone aveva scelto un luogo incontaminato da dedicare interamente al suo dio, con tutto il suo contenuto di uomini, animali, piante e beni, giurando solennemente di mantenere la città entro i confini segnati appunto dalle stele stesse.

Akhenaton si trasferì nella sua nuova capitale intorno al sesto anno di regno, facendo voto di non abbandonarla mai più. Furono edificati per il sovrano, per Nefertiti, per Tiy e per altri membri della famiglia reale, grandi palazzi e templi. All’interno di un immenso recinto fu costruito il grande Tempio del Disco Solare, centro della nuova religione di Aton in tutto il mondo.

Progettata dal nulla su un’area di circa 200 km quadrati, si ritiene che al momento della sua massima espansione la popolazione sia oscillata tra i 20.000 e i 50.000 abitanti. Ricca di alberi e di verde, Akhetaton era ben servita sotto il profilo dell’approvvigionamento idrico grazie ai molti pozzi.

Il grande Tempio di Aton a Tell el-Amarna – Egitto.

L’eresia
Nella KV23, la tomba del faraone Ay, successore di Tutankhamon, fu rinvenuto, inciso sulla roccia del corridoio di ingresso, il testo più completo dell’“Inno ad Aton”. Conosciuto anche come “Grande Inno ad Aton” o “Inno al Sole”, esso è considerato un importante testo teologico e letterario dell’antico Egitto. Attribuito ad Akhenaton stesso, vi si trova la piena espressione dell’universalismo dell’impero egizio, sognato dal faraone-poeta, il quale vagheggiava una religione, appunto universale, che sostituisse il nazionalismo che aveva imperato per i venti secoli precedenti. Questa religione fondava il ruolo ecumenico del dio sulla sua cura paterna dispensata in modo uguale a tutti gli uomini, senza distinzione di razza o nazionalità. Akhenaton chiamava Aton “padre e madre di tutti coloro che egli ha creato”. Questo straordinario sognatore ebbe così non solo l’dea di un signore universale Creatore della Natura, ma egli vide e rivelò anche il benefico scopo del Creatore.

Nell’insegnamento di Akhenaton vi è una continua insistenza su maet, la “verità”, che non si ritrova né prima né dopo nella storia egizia. Il sovrano accostava sempre il suo nome alla frase “Vivente nella Verità”, e che questo non sia senza significato è evidente dal piacere che egli provava nel mostrare al pubblico la sua vita familiare. Il faraone, infatti, si fece rappresentare in compagnia della regina e delle figlie in ogni possibile occasione, mentre godeva dei rapporti più familiari e naturali con esse, le quali a loro volta venivano rappresentate mentre partecipano ai servizi religiosi nei templi.

La riforma artistica
Ma non furono solamente le scene familiari ad essere influenzate dal cosiddetto “stile di Amarna”. In virtù della nuova dottrina incentrata sulla “Verità” si passò dallo stile idealizzato, severo e ieratico dei monumenti ad un impietoso naturalismo: abbandonata infatti l’immagine idealizzata, priva di difetti fisici, si procedette nella direzione opposta, sottolineando anche in misura estrema i difetti: la testa esageratamente allungata nella parte posteriore, occhi a mandorla, labbra rigonfie, mandibole prominenti, colli lunghi e stilizzati, ventri sporgenti e cascanti con sagome talmente arrotondate da rendere difficile l’individuazione del sesso del personaggio raffigurato. Tutto questo rispondeva a precise istruzioni impartite da Akhenaton: il suo scultore capo, Bek, su un rilievo delle rocce di Assuan proclamava, infatti, di aver ricevuto insegnamenti dal faraone in persona, mentre gli artisti della sua corte ricevettero istruzioni affinché esprimessero quello che vedevano effettivamente.

Teorie speculative sulle patologie di Akhenaton
I primi viaggiatori che scoprirono Amarna e visitarono le sue tombe scavate nella roccia credettero che la figura di Akhenaton fosse quella di una donna: egli, infatti, viene raffigurato col collo simile a quello di un cigno, i fianchi larghi, i seni gonfi, senza genitali e le cosce rotonde come quelle di Nefertiti. Poiché il faraone indossa spesso una lunga gonna simile a quella di una donna, i suoi ritratti furono spesso confusi con quelli della regina. Gli scavi condotti a Tebe, nell’immenso Tempio di Aton, portarono alla luce altre straordinarie statue colossali di Akhenaton, tutte col medesimo stile artistico. Molti egittologi le guardarono con sospetto e, se obbligati a notare le loro peculiarità, non riuscendo all’epoca a spiegarne il completo significato, si limitarono a liquidarle definendole “francamente orrende”.

Non è che Akhenaton sia stato rappresentato semplicemente come ermafrodita, in ossequio al culto di Aton, il quale era bisessuale, nel senso che generava sé stesso; il problema era che nelle raffigurazioni, il faraone specificò alcune distorsioni che non appartengono né agli uomini né alle donne. In forma esagerata esse sono le anormalità che indussero numerosi patologi a diagnosticare che il soggetto rappresentato potesse aver sofferto per una forma di disordine del sistema endocrino: più in particolare, di un cattivo funzionamento della ghiandola pituitaria. Tutte queste indicazioni portarono a pensare di individuare tali caratteristiche nella cosiddetta Sindrome di Fröhlich. I soggetti colpiti da tale sindrome presentano, infatti, i genitali infantili e sepolti dalla pinguedine in modo da restare invisibili, mentre il grado di adiposità può variare, anche se comunque il grasso si distribuisce nella regione delle mammelle, dell’addome, del pube, delle cosce e delle natiche. Gli stinchi, invece, restano sottili per cui le gambe assumono quasi l’aspetto di pantaloni alla zuava. Una circostanza concomitante è rappresentata dall’idrocefalo il quale, poiché insorge quando le ossa del cranio si sono indurite e saldate, impedisce al cranio stesso di conservare la normale forma rotondeggiante e provoca un rigonfiamento delle aree parietali più sottili.

La condizione “patologica” in cui Akhenaton stabilì di farsi rappresentare venne estesa in misura minore a tutta la sua famiglia e al suo seguito. Sfortunatamente, non è venuto alla luce alcun ritratto del sovrano che abbia il capo scoperto in quanto questo è sempre nascosto sotto una parrucca o una corona.

Vi è tuttavia un serio ostacolo all’attribuzione di un disordine fisiologico come la Sindrome di Fröhlich ad Akhenaton: egli è l’unico dei faraoni ad essersi fatto rappresentare come un uomo dedito alla famiglia. Egli appariva raramente, se non in compagnia di sua moglie e di alcune delle loro sei figlie. Come poteva un marito così attaccato alla moglie e un padre così prolifico essere stato affetto dal morbo di Fröhlich, che lo avrebbe necessariamente reso impotente e passivo? Soltanto l’esame della sua mummia, scomparsa, potrebbe risolvere il quesito…

Circa un decennio fa, l’egittologa Alwyn Burridge ipotizzò che Akhenaton potesse essere affetto dalla Sindrome di Marfan. Questa patologia non implica infertilità o deficienze intellettive; essa è associata ad un petto infossato, dita molto lunghe e affusolate, eventuali difficoltà cardiache congenite, possibile palatoschisi (ossia la presenza di una fenditura della parte anteriore del palato duro), cornee incurvate e un cristallino dislocato. Le persone affette da tale sindrome tendono ad essere più alte della media, con una faccia allungata e un cranio lungo e stretto, torace a imbuto, largo bacino e cosce massicce su esili stinchi. La patologia può essere trasmessa ai figli con una possibilità del 50%. Ma gli esami genetici compiuti sulla mummia di Tutankhamon (figlio di Akhenaton) nel 2010 hanno dato esito negativo per la Sindrome di Marfan.

Colosso di Akhenaton proveniente dal Tempio di Aton a Karnak. Il Cairo – Museo Egizio.

Cresce il malcontento
Immerso nell’esaltazione delle sue idee religiose e preso dagli estesi programmi di costruzione della sua città, Akhenaton lasciò che gli affari dell’impero fossero trascurati, e solo quando era ormai troppo tardi egli si rese conto che era necessaria un’azione energica. Gli Ittiti e i loro alleati avevano continuato ad erodere l’influenza egizia sulla Siria, e una situazione simile si andò creando più a sud, in Palestina, fino al punto che l’impero egizio in Asia cessò praticamente di esistere. Inoltre, il popolo era pieno di risentimento per la soppressione delle antiche divinità, mentre un potente partito sacerdotale, apertamente o in segreto, faceva tutto quello che era in suo potere per sovvertire le dottrine del sovrano. A ciò si aggiunse il malumore dell’esercito per la conduzione troppo “pacifista” degli affari esteri e per la perdita dei territori dell’Asia.

La fine della rivoluzione di Amarna
La fine del regno di Akhenaton è documentata molto scarsamente e la situazione appare confusa. Ciò che si sa è che egli morì nel 1334 a.C., subito dopo il periodo della vendemmia, nel suo diciassettesimo anno di regno, in circostanze che ci sono completamente oscure e che, verosimilmente, lo rimarranno per sempre. Suo figlio Tutankhaton regnò da solo per un anno o poco più sotto l’influenza di sua madre Nefertiti fino a che, con la morte di quest’ultima, la rivoluzione di Amarna ebbe una brusca fine e si aprì il trionfale ritorno all’ortodossia. Akhetaton venne abbandonata come residenza e la corte fece ritorno a Tebe, dove i sacerdoti di Amon riacquistarono la loro antica influenza.

Tutankhaton fu costretto a cambiare il proprio nome in Tutankhamon e ad intraprendere un pesante programma di restauro dei monumenti e delle dotazioni degli antichi dei, e in particolare di Amon. La religione di Aton venne abbandonata e Akhetaton, l’”orizzonte di Aton”, lasciata decadere, si trasformò dapprima in una città di gente sbandata ed infine in una zona deserta. Tutankhamon governò per nove anni interi e si adoperò per il ritorno allo status quo esistente al tempo di Amenhotep III, ma morì per cause sconosciute prima che il lavoro di restaurazione avesse fatto molti progressi. Nessuno dei monumenti di Karnak e della maggior parte delle altre località pervenuti fino a noi porta il suo nome; egli sarebbe rimasto uno dei faraoni più effimeri se non avesse acquistato una postuma fama mondiale che seguì la scoperta della sua tomba, l’unico sepolcro reale di Biban el-Moluk – la Valle dei Re – ad essere praticamente intatto e colmo di tesori.

Non avendo Tutankhamon lasciato figli, il sacerdote Ay si impossessò del trono, governando per un breve periodo, dopodiché gli successe il generale Haremhab.

Haremhab, il restauratore
La capacità che Haremhab portò all’amministrazione dei pubblici affari fu evidente dagli sforzi costanti per restituire ordine e prosperità allo Stato. Un editto da lui emesso dimostra che egli si adoperò per abolire gli abusi che si erano venuti a creare nell’amministrazione centrale e in quelle locali nel periodo in cui Akhenaton si preoccupava delle sue riforme religiose, abusi che avevano portato all’oppressione del popolo, specialmente della povera gente, alla requisizione dei loro beni e all’imposizione di servizi con ogni genere di pretesto: sono enumerate le esazioni arbitrarie che avevano contribuito ad impoverire le casse dello Stato.

Questi provvedimenti contribuirono a restaurare la prosperità materiale dell’Egitto e l’autorità della corona; ma Haremhab intraprese anche lavori per migliorare il morale del popolo, lacerato dalle dispute religiose ed i cui guai sembravano dovuti tanto all’alienazione del favore degli dèi quanto all’avidità e alla disonestà degli uomini. Il faraone restaurò i templi, li consacrò, ne ristabilì le offerte giornaliere e le dotazioni. Così la popolazione poté nuovamente dedicarsi alla pubblica venerazione degli dèi.

Haremhab escluse anche i nomi dei suoi predecessori dalle liste ufficiali dei re in modo che il suo nome apparisse come immediato successore di Amenhotep III. In tutto il paese vennero mandati degli artigiani della pietra per radere al suolo i monumenti di Akhenaton. La città di Akhetaton venne ispezionata, i suoi edifici demoliti e il pietrame portato via per essere utilizzato altrove. Anche l’immenso tempio di Aton a Karnak venne smantellato e migliaia di blocchi di pietra furono usati per le fondazioni e i riempimenti di tre piloni, oltre che per altre parti del tempio di Amon.

Ogni sforzo venne fatto per spazzare via qualsiasi ricordo di Akhenaton il quale, nei casi in cui era inevitabile fare riferimento a lui, era indicato come “il Ribelle”, o “quel criminale”.

Mosè un seguace di Aton? La teoria di Sigmund Freud
Concludendo questo lungo e tuttavia incompleto articolo, non posso non citare la teoria di Freud, che ancora oggi viene ignorata da molti, e cioè che Mosè era un egizio seguace del culto di Aton, il quale, dopo la morte di Akhenaton, dovette fuggire perché non volle abbandonare la nuova religione. Tornò dopo molti anni perché il suo dio gli aveva assicurato: “Sono già morti tutti quelli che volevano toglierti la vita”. Ma il culto di Aton era stato soppresso. Per riportarlo in vita, Mosè si rivolse agli Israeliti, annunciando che il loro unico dio era Yahweh. Poi uscì con loro dall’Egitto, senza tuttavia poter mettere piede nella Terra Promessa, dalla quale egli non proveniva. Questa teoria contiene un elemento chiave: l’idea che la religione mosaica sia stata coniata ed influenzata dal monoteismo di Akhenaton. Secondo Freud, Mosè dovrebbe essere fuggito dopo la morte di Akhenaton, nel 1334 a.C. e l’esodo sarebbe avvenuto di lì a qualche anno. Se così fosse, gli Ebrei uscirono dall’Egitto alcune generazioni prima del termine generalmente accettato, il 1250 a.C. Questa teoria spiegherebbe bene perché un egizio come Mosè si sia potuto mettere con gli Israeliti: egli, perseguitato politico in quanto seguace del “faraone eretico”, cercò nuovi compagni di fede e andò con essi in esilio. Questa è una delle tante teorie speculative che girano intorno all’affascinante figura di un anomalo faraone, e sicuramente è quella vista meno di buon occhio dai teologi, la cui costante e logica preoccupazione è quella di salvare l’unicità della divina rivelazione biblica e di richiamare l’attenzione sulla differenza tra un fenomeno naturale (il sole) e l’idea di un Dio personale creatore.

L’eredità di Akhenaton
Comunque sia, di tutte le implicazioni del regno di Akhenaton, quelle artistiche si rivelarono le più durevoli, sopravvivendo alla sua morte. La sua concezione politica, infatti, morì con lui, insieme alle sue idee religiose. Solo le riforme artistiche gli sopravvissero per qualche tempo, sebbene attenuate e molto distanti dagli esiti più eccentrici. Bisogna dire che, per quanto danneggiati dai suoi detrattori, i monumenti di Akhenaton gli hanno procurato l’eredità di una favorevole reputazione: la sua vita familiare senza macchia, i poetici sentimenti espressi nel suo grande inno ad Aton e la bellezza di sua moglie Nefertiti gli hanno procurato un’eredità di benevolenza. Poiché non abbiamo uno Svetonio egizio che ci descriva un Caligola egizio, anche se Akhenaton dovesse aver fatto del male…beh, questo è sepolto con le sue ossa.

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