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Al Palladium di Roma, “Sogno (ma forse no)”, l’opera di Matteo D’Amico ricavata da Pirandello.

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Sogno (ma forse no) è un’opera “onirica” con musica di Matteo D’Amico, su un testo che Sandro Cappelletto e lo stesso D’Amico hanno ricavato dalla commedia omonima di Luigi Pirandello. Opera in un atto, sarà in scena a Roma, al Teatro Palladium, nell’ambito del Dams Music Fest, martedì 9 maggio (ore 21) e vede la collaborazione di Associazione In Canto, Roma Sinfonietta e Accademia Filarmonica Romana. Sul palco troviamo nei panni del personaggio della Giovane Signora il soprano Elisa Cenni, l’Uomo in frak sarà il tenore Roberto Jachini Virgili, mentre l’attore Graziano Sirci veste i panni del Cameriere. Fabio Maestri dirige l’Ensemble In Canto, Denis Krief firma regia e impianto scenico.

Replica mercoledì 10 maggio (ore 18) in forma di concerto per la stagione dell’Associazione Roma Sinfonietta all’Auditorium “E. Morricone” dell’Università di Roma Tor Vergata.

“Seduzione, gelosia, tradimento, disagio, l’incubo di una violenza subita”, così Sandro Cappelletto condensa i temi di questo atto unico scritto da Pirandello fra il 1928 e il 1929. E prosegue: “Con esemplare geometria drammaturgica Pirandello ci guida all’interno delle dinamiche universali del rapporto di coppia, restando sul crinale sottile, e per lui determinante, che separa realtà e immaginazione, la lucida veglia e lo stato onirico. Sigmund Freud avrebbe molto amato questa commedia”. Dal punto di vista drammaturgico, gli autori del libretto hanno lasciato pressoché intatta la struttura della commedia originale, limitandosi ad abbreviare leggermente i dialoghi con un certo “ammodernamento”, in modo da rendere la commedia più vicina agli spettatori di oggi, come spiega Cappelletto: “Gli interventi sul testo originale sono stati essenziali, mirati ad offrire a Matteo D’Amico una sequenza lessicale funzionale al canto e all’azione scenica. Sapendo che non una parola verrà sprecata o ignorata ed è questa sua peculiare qualità compositiva che rende per me entusiasmante scrivere un libretto per lui. Ritornare a collaborare con Denis Krief e la sua capacità introspettiva, così attenta alle dinamiche musicali e sceniche, è un ulteriore motivo di soddisfazione. Di attesa.”

“Anche in un contesto, come quello odierno, animato dalle esperienze più diverse di teatro musicale sperimentale, – afferma Matteo D’Amico – ho sempre prediletto l’impostazione tradizionale della forma operistica, quella basata, fin dai suoi albori, sulla presenza forte di un’azione drammatica guidata dalla musica e dal canto, dalla loro capacità di costruire e plasmare personaggi e situazioni”. D’Amico aggiunge anche un’annotazione personale: “Quest’ultima mia fatica segna il mio primo incontro ‘operistico’ con Luigi Pirandello, che sento molto vicino sia per motivi di stretti legami familiari [D’Amico è il pronipote del drammaturgo siciliano] sia per la lunga frequentazione dei suoi testi”. Conclude: “Ho scelto un testo fra i meno noti del drammaturgo siciliano, raramente rappresentato, ma molto amato dagli ‘specialisti’ del settore per il suo discostarsi, almeno in parte, dai temi e dai toni più usuali di Pirandello. È una commedia sottile, ambigua – l’ambiguità del sogno, o, per meglio dire, dell’incubo – un giuoco a due fra un Lui e una Lei, condotto sul filo del rasoio di dialoghi dentro ai quali la musica vuole ritagliarsi con sfrontatezza i suoi spazi, pur nel rispetto del loro ritmo stringente”.

La trama in sintesi
Una camera, o forse, un salotto dove una Giovane Signora dorme su un letto, che, forse, è un divano; a destra, uno specchio, che sembra la finestra che vi è riflessa. Ogni cosa si distingue appena, tutto appare ambiguo, per la debole luce che illumina la scena (luce fioca da un lume sul tappetino verde davanti al divano, poi luce rosea dei tre globi in alto). La Giovane Signora sogna l’Uomo in Frak, che le compare deformandosi, minaccioso: le grida la sua passione, teme di non essere più amato; lei lo rassicura, debolmente; rievocano insieme la scena del loro primo incontro, a una festa. Viene citato nel dialogo un vezzo di perle, che lei avrebbe desiderato in dono, e per il quale lui si è rovinato barando al gioco. L’Uomo, in preda alla gelosia verso un supposto amante più ricco di lui, cerca di strangolarla, e a quel punto Lei si risveglia dall’incubo. Bussano alla porta, il cameriere consegna un pacchetto: è il vezzo di perle che il nuovo amante ricco le fa recapitare. La Signora è ancora frastornata dall’incubo, ma non può fare a meno di provarsi il vezzo allo specchio. Bussano di nuovo, e il cameriere annuncia l’arrivo dell’Uomo in Frak, vestito però da pomeriggio. Conversano, con calma. Lui racconta di aver vinto molto al gioco e di aver provato ad acquistare il vezzo, ma di non averlo più trovato dal gioielliere. Imbarazzata, lei non rivela di averlo già ricevuto. Viene servito il tè: “Latte o limone?” “Latte, grazie”. Cala il sipario.

Ulteriori informazioni: www.filarmonicaromana.org

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