Affronteremo oggi la parte finale del nostro percorso di indagine sul concetto di tempo e sulla sua essenza.
Considerazioni sull’evoluzione del concetto di tempo. Dalle origini ad oggi.
L’excursus sull’approccio al concetto di tempo, ha evidenziato un percorso evolutivo dell’indagine sia in termini di forma, sia in termini di sostanza.
L’approccio al tempo nasce come viaggio verso l’ignoto.
L’indagine per rendere conoscibile un elemento così strutturale, originale e primordiale del mondo che conosciamo, ha reso necessario affrontare un percorso di conoscenza dall’interno della esistenza immersa nella realtà temporale, costringendo a dover procedere risalendo dagli effetti alla causa.
E come la storia umana ci ha insegnato, quando effetti determinanti ed ineluttabili non riescono a trovare una specifica causa identificativa, il punto di partenza è costituito dalla identificazione della causa nel soprannaturale.
Il primo passo effettuato è stato quello della inclusione del tempo nel mondo del soprannaturale che governa le sorti del mondo naturale, nella personificazione della divinità (come Kronos per i greci, la divinità che domina e divora tutte le cose) in grado di avvicinare l’ignoto al mondo umano e di poterne iniziare a prendere le misure.
Successivamente, l’indagine sul tempo si è avvalsa della speculazione filosofica e scientifica, che ha spostato il concetto di tempo dapprima dal mondo soprannaturale al mondo naturale, successivamente dalla realtà esterna oggettiva alla realtà soggettiva, passando per l’individuazione del tempo in una sorta di elemento di fondo e costante nell’analisi oggettiva e soggettiva del mondo che ci circonda.
Il tempo è stato indagato dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo, alla ricerca di un frammento sul quale poter validamente applicare le logiche della filosofia e le leggi della scienza. Dalla relatività del tempo, alla soggettività del tempo, alla intimità psicologica del vissuto temporale, passando per la negazione esistenziale del tempo, fino a giungere a determinarne l’essenza indissolubile con l’essere dell’individuo o negarne totalmente l’esistenza annegandolo nell’Essere ontologico.
Il risultato di tali sforzi è stato quello di percorrere in lungo ed in largo la conoscenza umana, senza riuscire a giungere ad una definizione, senza avere uno strumento di riconosciuta efficacia per effettuarne misurazione reali e non convenzionali. (l’orologio non costituisce uno strumento idoneo in tal senso).
Ritengo, pertanto e personalmente, che per l’indagine sul tempo la questione del rapporto tra l’uomo e la conoscenza deve necessariamente essere riportata ad un concetto già espresso da Protagora di Abdera: l’uomo è la misura di tutte le cose. Tale espressione, in questa nostra riflessione, è tanto più comprensibile quanto ci si riferisce al concetto di Arte intesa come capacità di individuazione, riferimento e rappresentazione della conoscenza e dell’intuizione umana, svincolata dai limiti delle leggi della scienza e della natura, e pienamente espressiva dell’interiorità dell’uomo, in grado di cogliere l’essenza delle cose in forma ed in sostanza puramente intuitiva e diretta, non filtrata da alcun pregiudiziale preconcetto.
L’arte come mezzo per comprendere e rappresentare il tempo. La funzione evocativa della poesia.
L’Arte ha avuto oggettivamente un ruolo fondamentale nella comprensione e nella consapevolezza del tempo, così come nella comprensione di tutti quei fenomeni naturali e soprannaturali ai quali la speculazione filosofica e scientifica non sono ancora riusciti a dare una spiegazione.
La fragilità, la caducità e la temporaneità dell’esistenza, hanno fatto sorgere nell’uomo il bisogno di comunicare, trasmettere e tramandare le esperienze e le conoscenze, i fatti e gli avvenimenti, mettendo in comunicazione un’umanità passata con un’umanità futura in una sorta di coscienza collettiva universale.
La narrazione orale, così come la rappresentazione pittorica e scultorea, aveva il compito di conservare “nel tempo” fatti e avvenimenti, consegnandoli alle generazioni future. I poemi eroici come l’Odissea, le Argonautiche, l’Orlando Furioso, hanno rappresentato i valori di un’umanità senza tempo, hanno reso immortali la personalità, lo spirito ed il carattere dei loro protagonisti.
Il viaggio nel tempo è una realtà che vive nell’arte, con particolare riferimento a quel tipo di arte che ha carattere evocativo, e che riesce a coinvolgere colui che la contempla nella pienezza dei sensi e dei sentimenti.
Tra le varie forme d’arte, la musica ha sviluppato un proprio linguaggio che si esprime in termini di vibrazioni sonore nelle scansioni temporali, mettendo direttamente in comunicazione l’uomo e il tempo. Le note musicali di un concerto o di una sinfonia creano una bolla di tempo “diverso”, nella quale galleggia vibrando l’essere di chi suona e di chi ascolta. L’effetto evocativo delle vibrazioni musicali riesce a coinvolgere anche l’esperienza sensoriale in forma efficace, tanto da riuscire a far perdere la percezione della continuità spazio-temporale ed incidere sulla percezione, sulla “cognizione del tempo”.
Tuttavia, a parere di chi scrive, la forma di arte maggiormente evocativa e capace più delle altre di percorrere ed attraversare il tempo con effetto cognitivo ed evocativo è la poesia, il canto dello spirito dell’uomo, a partire dagli illustri esempi dei poemi eroici già citati che ne costituiscono solo alcuni parziali riferimenti.
La poesia è stata in grado di legare indissolubilmente l’esistenza umana all’essenza del tempo, cogliendone i tratti legati alla nascita, alla vita ed alla morte.
A versi immortali ed eterni i poeti hanno affidato le umane vicende, le esperienze e le riflessioni, sfidando appunto l’inesorabile incedere del tempo. L’umanità imbarcata nella poesia naviga il tempo verso il proprio destino, portando a bordo tutto il suo corredo.
Volendo lasciare spazio, nella nostra riflessione, alla scelta ed alla sensibilità di ciascuno, mi limiterò qui di seguito, con criterio puramente arbitrario e personale, ma senza voler dimenticare eccelsi versi come quelli dell’Infinito di Giacomo Leopardi, le rime del Carducci o i versi immortali che hanno echeggiato nelle aule scolastiche della nostra gioventù, alla citazione di qualche autore.
Il “reo tempo” che conduce al nulla eterno, il giungere della sera e della morte come oblio di tutte le sofferenze. La quiete finale data in sorte al genere umano, come ben rappresenta Ugo Foscolo nel sonetto “Alla sera”:
Forse perché della fatal quïete
Tu sei l’immago, a me sí cara vieni,
O Sera! E quando ti corteggian liete
Le nubi estive e i zeffiri sereni,
E quando dal nevoso aere inquïete
Tenebre e lunghe all’universo meni,
Sempre scendi invocata, e le secrete
Vie del mio cor soavemente tieni.
Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme
Che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
Questo reo tempo, e van con lui le torme
Delle cure onde meco egli si strugge;
E mentre io guardo la tua pace, dorme
Quello spirto guerrier ch’entro mi rugge.
L’approssimarsi della sera e del tramonto è per l’animo umano simile all’approssimarsi della morte. Lo scorrere del tempo ci conduce dall’alba e dalle ore della luce, al crepuscolo ed al buio silenzio della morte.
Così Giuseppe Ungaretti nella poesia “Sentimento del tempo”:
E per la luce giusta,
Cadendo solo un’ombra viola
Sopra il giogo meno alto,
La lontananza aperta alla misura,
Ogni mio palpito, come usa il cuore,
Ma ora l’ascolto,
T’affretta, tempo, a pormi sulle labbra
Le tue labbra ultime.
La transitorietà della vita e la quiete definitiva della morte, rappresentata da Salvatore Quasimodo nella celeberrima poesia “Ed è subito sera”:
Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.
Il ripetersi rassicurante dei suoni della natura nelle stagioni, che conforta l’uomo
prima del sonno e lo conforta nel calore dei suoi sentimenti:
Al mio cantuccio, donde non sento
se non le reste brusir del grano,
il suon dell’ore vien col vento
dal non veduto borgo montano:
suono che uguale, che blando cade,
come una voce che persuade.
Tu dici, È l’ora; tu dici, È tardi,
voce che cadi blanda dal cielo.
Ma un poco ancora lascia che guardi
l’albero, il ragno, l’ape, lo stelo,
cose ch’han molti secoli o un anno
o un’ora, e quelle nubi che vanno.
Lasciami immoto qui rimanere
fra tanto moto d’ale e di fronde;
e udire il gallo che da un podere
chiama, e da un altro l’altro risponde,
e, quando altrove l’anima fissa,
gli strilli di una cincia che rissa.
E suona ancora l’ora, e mi manda
prima un suo grido di meraviglia
tinnulo, e quindi con la sua blanda
voce di prima parla e consiglia,
e grave grave grave m’incuora:
mi dice, È tardi; mi dice, È l’ora.
Tu vuoi che pensi dunque al ritorno,
voce che cadi blanda dal cielo!
Ma bello è questo poco di giorno
che mi traluce come un velo!
Lo so ch’è l’ora, lo so ch’è tardi;
ma un poco ancora lascia che guardi.
Lascia che guardi dentro il mio cuore,
lascia ch’io viva del mio passato;
se c’è sul bronco sempre quel fiore,
s’io trovi un bacio che non ho dato!
Nel mio cantuccio d’ombra romita
lascia ch’io pianga su la mia vita!
E suona ancora l’ora, e mi squilla
due volte un grido quasi di cruccio,
e poi, tornata blanda e tranquilla,
mi persuade nel mio cantuccio:
è tardi! è l’ora! Sì, ritorniamo
dove sono quelli ch’amano ed amo.
(Giovanni Pascoli, “L’ora di Barga” della raccolta Canti di Castelvecchio)
Il cuore dell’uomo che scandisce il tempo che passa, con ritmo crescente dalla tranquillità dell’ozio nell’inizio del giorno all’ansia per l’incombente fine:
Come scorrea la calda sabbia lieve
Per entro il cavo della mano in ozio,
Il cor sentì che il giorno era più breve.
E un’ansia repentina il cor m’assalse
Per l’appressar dell’umido equinozio
Che offusca l’oro delle piagge salse.
Alla sabbia del tempo urna la mano
Era, clessidra il cor mio palpitante,
L’ombra crescente d’ogni stelo vano
Quasi ombra d’ago in tacito quadrante.
(Gabriele D’Annunzio, “La sabbia del tempo”, Alcyone)
Stanzas for Music
They say that Hope is happiness;
but genuine Love must prize the past,
and Memory wakes the thoughts that bless:
they rose the first–they set the last;
And all that Memory loves the most
was once our only Hope to be,
and all that Hope adored and lost
hath melted into Memory.
Alas it is delusion all:
the future cheats us from afar,
nor can we be what we recall,
nor dare we think on what we are.
Strofe per musica
Dicono che la Speranza sia felicità,
ma il vero Amore deve amare il passato,
e il Ricordo risveglia i pensieri felici
che primi sorgono e ultimi svaniscono.
E tutto ciò che il Ricordo ama di più
un tempo fu Speranza solamente;
e quel che amò e perse la Speranza
oramai è circonfuso nel Ricordo.
È triste! È tutto un’illusione:
il futuro ci inganna da lontano,
non siamo più quel che ricordiamo,
né osiamo pensare a ciò che siamo.
(George Gordon Byron, da “Hebrew Melodies”)