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Il vuoto di un ritiro: un anno dopo Roger.

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Era il 23 settembre del 2022, quando una generazione di tennisti ed appassionati si trovava riunita in lacrime, insieme al loro idolo che non vedranno più giocare da quel giorno in avanti. Roger Federer, universalmente riconosciuto come Sovrano del tennis e dello sport aveva concluso la sua ultima partita alle ore 00:26. Difficilmente il mondo scorderà la foto di quella notte: Roger seduto sulla panchina della O2 Arena di Londra con la faccia rigata dalle lacrime, al suo fianco l’amico e rivale di sempre, nella stessa condizione, Rafael Nadal. I Fedal, uniti mano nella mano, capivano in quel momento che non si sarebbero più affrontati, il dualismo parziale (cosa avrebbero potuto fare senza Djokovic e Murray?) che ha affascinato milioni di tifosi si è interrotto. Adesso, anche per Rafa il momento del ritiro sembra avvicinarsi a grandi passi, ma per il momento non vogliamo pensarci. Come il Re non ci sarà più nessuno, un perfetto connubio tra la perfezione della tecnica e la leggerezza dell’eleganza che portava in campo lo hanno iscritto nella leggenda rendendo il suo mito immortale, anche dopo il suo ritiro, nell’anno primo dopo Roger.

Federer e Nadal

Giocatori senza tempo, il calcio e i “suoi” Federer

Re Roger non è stato il più vincente, ma non c’è dubbio sul fatto che sia stato il giocatore più amato. Il Maestro Svizzero è irraggiungibile con la racchetta in mano, e considerando l’affetto che gli è sempre stato riservato, l’unico paragone contemporaneo che rimane in piedi è con Lionel Messi. La pulce che ha vinto sette volte il pallone d’oro, quattro Champions League, un Copa America e il Mondiale è diventato il simbolo del calcio, proprio come Re Roger nel tennis. È vero che la storia del Leo calciatore non è ancora finita, ma il ragazzino che dipingeva arte col mancino vestendo maglia blaugrana ha ormai lasciato Barcellona e l’Europa, spezzando una favola. In Spagna la serata della O2 Arena ha ricordato quella conferenza stampa in cui il numero 10 argentino non è riuscito a trattenere le lacrime. A Barcellona ormai sono abituati a grandi giocatori, a grandi bandiere però come scrisse Nicholas Sparks: “Più un amore è grande, più grande sarà la tragedia quando finisce” e così ogni volta il Camp Nou piangeva quando il campione di turno pronunciava la frase di congedo: “Visca el Barca y visca Catulunya”. È quel che accadde con Carles Puyol, Andres Iniesta, Xavi, GerardPiqué, e poco importa se poi la loro carriera ha avuto un breve seguito altrove, la loro immagine resterà per sempre con una maglia blaugrana addosso.

Francesco Totti

“Totti ovunque alle pareti, e maglie della Roma” anche Ligabue, il grande cantante emiliano ed interista si rende conto di quanto sia ancora presente l’immagine del Capitano nella Capitale. Era il 2017, il 28 maggio di un Roma Genoa e Totti teneva il pallone tra i piedi calciandolo cercando di liberarsi dalla marcatura di Laxalt, proprio in quel momento l’arbitro fischiò decretando la fine della carriera del più grande giocatore che sia mai passato per Trigoria. Il popolo romanista rimase in silenzio, con gli occhi lucidi per tutto il pomeriggio sentendo il discorso del suo Capitano, della sua bandiera: “mi levo la maglia per l’ultima volta e adesso ho paura, sono felice di avervi dato 28 anni di amore”. Si potrebbe dire l’addio perfetto, tenere il pallone in possesso fino al fischio finale, eppure c’è chi ha fatto anche di meglio. “Su un cerchio ogni punto d’inizio può anche essere un punto di fine”, le parole di Eraclito raccontano perfettamente l’ultima giornata da juventino di Alessandro Del Piero che segnò l’ala sua ultima rete in bianconero nel giorno dei grandi saluti. Tuttavia, il richiamo del campo era ancora troppo forte per essere ignorato; così Alex si è fatto ambasciatore del pallone nelle poche terre ancora inesplorate dallo sport più famoso al mondo: prima in Australia e poi in India.

Javier Zanetti

È stato invece un finale agrodolce per Paolo Maldini: il 24 maggio 2009 il Milan aveva appena perso lo scudetto in favore dei cugini interisti. Al momento del doveroso giro di campo, dalla curva Sud piovono timidamente degli ingiustificabili fischi che porteranno il capitano rossonero a salutare il suo stadio fuggendo furioso negli spogliatoi, rifiutando il conforto di mister Leonardo. Cinque anni dopo venne il momento dell’altra sponda di Milano di salutare il loro simbolo epico: Javier Zanetti con l’Inter giocò 858 partite portando 19 anni di fedeltà. Se Maldini salutò il Meazza contro la Roma, Javier lo fece contro la Lazio. Niente dura per sempre e anche gli interisti se ne accorsero, il 10 maggio 2014 quando il capitano argentino disse basta con il calcio. Per lui non c’era spazio per altre esperienze, tre anni in Argentina da giovanissimo, lontano dalla maglia nerazzurra gli sono bastati tant’è che non ha mai voluto perdere neanche una partita, non voleva sentir parlare di turnover; tra il 2006 e il triplete prese parte ad ogni incontro della Beneamata. Contro la Lazio non era titolare, sostituì Jonathan al 52’ e affrontò gli ultimi 38 minuti con la stessa professionalità di sempre, quasi senza pensare che dopo quel triplice fischio sarebbe iniziata la difficile era del d.Z. dopo Zanetti.

Schumacher ed il ripensamento: è durissima dire basta

Federer affermò che gli sarebbe mancato anche allacciarsi le scarpe prima di un incontro. È proprio questa nostalgia della quotidianeità del campione che porta al ripensamento al ritorno al passato; un disperato tentativo di fermare il tempo. Purtroppo gli anni scorrono per tutti e non sempre queste carriere 2.0 sono parentesi felici. Michael Schumacher nei paddock di F1 ha vissuto la maggior parte della sua vita, nel 2006 in Brasile sopravanzò Kimi Raikkonen, una sorta di passaggio di testimone verso il futuro campione del mondo in Ferrari che prese il suo posto, quello sarebbe stato l’ultimo sorpasso della carriera. Invece nel 2010 era ancora al via della stagione, con la Mercedes; una seconda carriera che venne ricordata più che per il podio a Valencia nel 2012, per gli spaventosi incidenti con Liuzzi e Vergne. Quello del sorpasso su Kimi poteva essere il finale perfetto, come quello di Del Piero con gol e scudetto o quello di Nico Rosberg ritirato da campione del mondo. Ma alla fine lui la storia l’aveva già scritta ed era il momento di divertirsi, anche al costo di rinunciare al finale romantico. Quando si pensa ad uno sport, l’accostamento al suo più grande campione è solitamente immediato: possiamo fare alcuni esempi come nuoto-Pellegrini, basket-Jordan, pugilato-Ali, Motociclismo-Rossi, football-Brady, ma purtroppo lo spazio è tiranno e non possiamo raccontare tutte le loro storie. Allo stesso modo di Schumi e Roger i ritiri di questi campioni iconici hanno spezzato il cuore agli appassionati e adesso, un anno dopo il 23 settembre 2022, possiamo ripensare con il sorriso alle loro carriere e ringraziarli per averci fatto amare lo sport.

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