Schliemann, l’archeologo autodidatta, il tenace sognatore che con caparbietà raggiunge il proprio obiettivo, lo scopritore di inestimabili tesori, l’uomo che ha legato il suo nome alla scoperta di una città che per millenni ha rappresentato un mito, dimostrando che i poemi omerici si basavano su fatti storici: questa è l’immagine che, per reminiscenze scolastiche, la maggior parte di noi conserva di tale personaggio. Ma fu veramente così, oppure la narrazione tramandataci è stata volutamente romanzata, cristallizzandosi in una versione ufficiale così da divenire un mito nel mito? Quale città ha veramente ritrovato Schliemann, dal momento che la collina turca presentava svariati strati corrispondenti ad altrettanti periodi dell’insediamento? E se ciò che ha trovato non fosse la Troia omerica, questa dove andrebbe cercata?
TABELLA DEI CONTENUTI:
- “TROVERO’ L’ANTICA TROIA!”
- GARZONE DI DROGHERIA E POLIGLOTTA
- ARRIVA IL SUCCESSO ECONOMICO
- I VIAGGI
- OBIETTIVO: TROIA
- SOPHIA EGKASTROMENOU
- 1871, LA PRIMA CAMPAGNA
- 1872: LA SECONDA CAMPAGNA
- 1873: LA TERZA CAMPAGNA
- CITTA’ SOVRAPPOSTE
- IL MISTERIOSO “TESORO DI PRIAMO”
- LA TROIA OMERICA SI TROVA VERAMENTE IN TURCHIA?
- LA FIGURA DI SCHLIEMANN
“TROVERO’ L’ANTICA TROIA!”
“Non è per vanità se comincio quest’opera con la storia della mia vita, ma piuttosto per il desiderio di mostrare come tutto il lavoro degli anni successivi non sia stato che la conseguenza, anzi il necessario coronamento, delle impressioni della mia prima infanzia. Potrei quasi dire che il piccone e la pala di cui mi valsi per gli scavi di Troia (…) furono forgiati e affilati nel piccolo villaggio tedesco in cui trascorsi i primi otto anni della mia fanciullezza”. Così scrive nel 1881, ad introduzione del suo libro “Ilios”, Heinrich Schliemann, a sessant’anni, una vita segnata dalla tenacia e dall’entusiasmo, dall’avventura e dal successo che ampiamente ha coronato certezze e progetti coltivati fin da bambino. Aveva ascoltato dalla voce di suo padre – pastore protestante a Neubukow, un piccolo villaggio della Germania del nord – il racconto delle imprese degli eroi omerici alla conquista di Troia e, come ciascuno di noi, al momento in cui si accostò al grande duello fra Achei e Troiani, aveva parteggiato con ingenuità ed entusiasmo per uno dei due contendenti. Il giovane Heinrich, che era tutto dalla parte dei Troiani, apprese con grande turbamento dal padre – ancora da adulto lo ricorderà – della completa distruzione di Troia e della sua scomparsa dalla faccia della Terra, senza lasciare alcuna traccia.
Natale 1829, un regalo decisivo
L’idea dell’annientamento totale della grande città, i cui eroi avevano infiammato il suo cuore di bambino, non poteva essere accettata da Schliemann, e fu con grande sollievo e speranza che trovò nella Storia Universale per ragazzi, regalatagli dal padre in occasione del Natale 1829, una figura di Troia in fiamme, con le Porte Scee in primo piano ed Enea in fuga col vecchio padre Anchise sulle spalle. Se il signor Jerrer, che aveva scritto il libro e curato le figure, era stato in grado di disegnare Troia, significava che doveva averla vista! A nulla valsero le parole del padre, che attribuivano quel disegno alla fantasia dell’autore del libro; se la città avesse avuto mura così possenti, sarebbe stato impossibile, per il piccolo Schliemann, che fossero sparite del tutto: dopo averne parlato a lungo con il padre, Heinrich decise che un giorno avrebbe ritrovato Troia.
Una narrazione abbellita
Oggi questo calzante ricordo d’infanzia e l’ipotetica passione per Omero sorta a Schliemann in gioventù hanno tutta l’aria di essere stati escogitati in un secondo momento: il tedesco non era nuovo a tali narrazioni, perché aveva l’abitudine di abbellire le proprie gesta e di mettersi in mostra. È il motivo per cui oggi in molti gli rinfacciano di aver manipolato la realtà. Il suo interesse per la Grecia sbocciò quando era già un uomo maturo, e il progetto degli scavi a Troia fu piuttosto il risultato di una serie di circostanze impreviste.
GARZONE DI DROGHERIA E POLIGLOTTA
Alla morte della madre, Heinrich trascorre due anni presso uno zio, ed ha occasione di studiare con tanta serietà che, in occasione del Natale 1832, è in grado di offrire in dono al padre un componimento in latino sui fatti principali della guerra di Troia e sulle avventure di Odisseo e Agamennone.
Dopo alcuni anni di tormentata carriera scolastica, quattordicenne, lascia gli studi regolari e si impiega come umile e mal pagato garzone in una piccola drogheria di Fürstenberg, dove dimentica rapidamente il poco che ha imparato da bambino pur senza perdere l’amore per il conoscere; di quell’esperienza, che fu costretto ad interrompere per l’insorgere di una malattia al petto, Schliemann ricorderà vividamente l’incontro con un mugnaio, un tal Hermann Niederhöffer, che una sera, ubriaco, recitò con grande pathos non meno di cento versi di Omero; il giovane Heinrich, profondamente impressionato, glieli fece ripetere – pur non comprendendone il contenuto – per ben tre volte in cambio di altrettanti bicchieri di acquavite pagati con i pochi spiccioli della sua misera paga di garzone. Da quel momento, la sua maggiore aspirazione sarà quella di imparare il greco.
Intanto, la fortuna continua a non sorridere a Schliemann, che si imbarca come mozzo su una nave diretta in Venezuela. Un naufragio lo sbatte sulle coste olandesi; decide di vivere ad Amsterdam, come fattorino di banca, in grande povertà. “Ma niente sprona allo studio più della miseria”, scrive in proposito, “e della certezza di liberarsene col lavoro intenso”. Con tenacia incredibile Schliemann impara rapidamente lo spagnolo, l’italiano, il portoghese e, assunto come corrispondente e contabile in un ufficio commerciale, anche il russo. E dopo le lingue, affronta la conoscenza delle rispettive letterature.
ARRIVA IL SUCCESSO ECONOMICO
I talenti e la costanza di Schliemann cominciano ad essere premiati. Inviato dalla propria ditta come agente a San Pietroburgo (dove sposò Ekaterina Lyscina da cui ebbe tre figli) e a Mosca, si crea una base economica autonoma importando indaco, sale, pepe e piombo e si fa iscrivere alla Corporazione dei Grandi Commercianti. La fortuna lo aiuta quasi incredibilmente: tutte le sue merci si salvano nel 1854 dal grande incendio che distrugge la città di Memel, consentendogli di vendere a condizioni estremamente vantaggiose e nel frattempo riesce a trarre ingenti profitti dalla guerra di Crimea vendendo zolfo e diventando un milionario. Le nuove condizioni di serenità economica gli consentono di realizzare il vecchio desiderio di imparare il greco: in sei settimane si impadronisce del greco moderno e in tre mesi di quello antico in misura sufficiente per poter capire alcuni autori e in particolare Omero.
I VIAGGI
Nel 1858, sulla soglia di abbandonare l’attività commerciale per dedicarsi ai viaggi (Svezia, Danimarca, Germania, Italia, Egitto – dove ebbe l’occasione di imparare l’arabo – Siria, la costa turca, le Cicladi, Atene). Il denaro, il molto denaro accumulato gli consentiva di raggiungere lo scopo della sua vita: scavare Troia. Liquidati gli affari Schliemann, ormai quarantenne, spende ancora qualche anno in un’intensa attività di viaggi conoscitivi: dalla Libia all’India, dall’Himalaya alla Muraglia cinese, dalla Cocincina al Giappone e di qui, su una piccola nave inglese, attraverso il Pacifico fino a San Francisco in California (dove, già nel 1851 aveva partecipato alla corsa all’oro). E da qui agli Stati Uniti, a Cuba, a Città del Messico. Nella primavera del 1866 si stabilisce finalmente a Parigi “per dedicarsi durevolmente allo studio dell’archeologia”.
A partire dall’estate del 1868 inizia la visita (o meglio il pellegrinaggio) alle regioni che furono patria e teatro (forse…) d’avventure dei grandi eroi d’Omero: il 6 luglio sbarca a Corfù, l’isola identificata tradizionalmente con la Terra dei Feaci, dove contempla, con lo spirito romantico dei tempi, i luoghi del presunto incontro di Odisseo con Nausicaa. Da Corfù a Cefalonia, ed Itaca dove, assoldati quattro operai e due ragazzi, prova a scavare sul Monte Aeto il palazzo di Odisseo. Trova alcuni vasi contenenti ossa e ceneri e, preso da un entusiasmo ingenuo, afferma di possedere le ceneri di Odisseo, di Penelope e dei loro discendenti.
Schliemann a Micene
Dopo nove giorni, passati tra la gente di Itaca, il pellegrinaggio continua nel Peloponneso, tra l’uno e l’altro dei miseri villaggi che sorgono in prossimità dei gloriosi centri della Grecia antica. Da Corinto a Micene, scortato da due soldati per difenderlo dai possibili attacchi dei numerosi briganti di quel paese allora ancora povero e depresso (non aveva ancora conosciuto le “meraviglie” dell’Unione Europea, che lo avrebbe in futuro poverizzato ed umiliato ancor di più); della capitale degli Atridi erano ancora visibili le mura della cittadella e la tomba o “tesoro” di Agamennone, piena di pipistrelli, e qua e là frammenti di mattoni e ceramica in superficie.
OBIETTIVO: TROIA
Tornato al Pireo, Schliemann da qui si imbarca per i Dardanelli, alla volta della Troade, la penisola in cui Omero collocava la corte di Priamo, re di Troia. Giunto a Costantinopoli, grazie all’amichevole assistenza del console russo, noleggia una guida e due cavalli, dirigendosi verso il monticello di Balli Dagh, vicino al villaggio di Burnabaşi, che fin dal XVIII secolo molti eruditi avevano identificato come Troia.
La “guerra delle colline”
Vi erano altre tre colline a contendersi l’onore di essere il sito della città di Priamo, oltre al Balli Dagh, dove uno studioso francese aveva sostenuto che Troia sorgeva sul sito dell’attuale Burnabaşi, “un villaggio sporco e miserabile di ventitré case, i cui tetti erano abitati da un gran numero di cicogne”. La prima collina era Hanay Tepe, la seconda Pasha Tepe, e la terza era…Hisarlik. Dopo una rapida osservazione, Schliemann scartò Balli Dagh, riuscendo a provare in due giorni, scavando febbrilmente insieme a cinque operai, che il terreno non offriva il benché minimo indizio che il luogo fosse mai stato abitato in antico da uomini. Anche Hanay Tepe e Pasha Tepe vennero scartate in quanto, a giudicare dal materiale repertato e dalle descrizioni di Omero, non coincidevano con la Troia omerica.
L’arrivo ad Hisarlik
Per una serie di casualità, un giorno prima della partenza dalla Troade, Schliemann ebbe modo di incontrare il diplomatico Frank Calvert, proprietario assieme ai fratelli della metà di Hisarlik e archeologo dilettante che vi aveva svolto alcune esplorazioni. Calvert era convinto che in quel luogo di trovassero le rovine della Troia omerica e quelle di Novum Ilium, la città greca e romana eretta sui ruderi dell’Età del Bronzo, condividendo tale convinzione con Schliemann. D’altronde Hisarlik significa “la Fortezza” in turco, dal momento che il colle presentava numerosi resti di mura in rovina.
SOPHIA EGKASTROMENOU
Apriamo una parentesi su questa donna che sarà resa celebre per la foto in cui indossa i “gioielli di Elena”. Sophia fu la seconda moglie di Schliemann, che la sposò, diciassettenne, attraverso una serie di tiri mancini. Infatti, dopo aver parlato con Calvert, Heinrich partì alla volta di San Pietroburgo dove ebbe conferma che, se non avesse divorziato, non si sarebbe potuto sposare con la giovane greca. La Chiesa ortodossa, a cui appartenevano sia Sophia che Ekaterina (che egli abbandonò nel 1866, ma alla quale era ancora vincolato) contemplava il divorzio, ma la moglie non diede il suo consenso. Schliemann si recò allora ad Indianapolis dove era facile ottenere il divorzio qualora uno dei coniugi fosse cittadino americano. Si procurò la nazionalità falsificando dei documenti e pagando dei testimoni affinché dichiarassero che aveva vissuto quattro anni negli Stati Uniti. Poi annullò il matrimonio contraffacendo la testimonianza di Ekaterina tramite un avvocato e un traduttore dal russo. Dopo il divorzio, Sophia venne scelta, in foto, da Schliemann, che aveva incaricato il vescovo di Mantinea di trovargli per moglie una giovane ragazza greca che incarnasse nell’aspetto lo spirito dell’antichità omerica. Ebbero due figli, Andromaca ed Agamennone. Sophia accompagnò ed aiutò il marito nei suoi scavi a Troia e in Grecia. Dopo la morte di Schliemann, avvenuta nel 1890, Sophia risiedette ad Atene, tenendo conferenze sull’attività archeologica del defunto. Morì nel 1932 e fu sepolta nel mausoleo che ad Atene accoglie le spoglie del marito e della figlia Andromaca.
1871, LA PRIMA CAMPAGNA
Con l’Iliade e Strabone in mano, osservando attentamente i luoghi, Schliemann condivise pienamente le convinzioni di Calvert, ossia che la piattaforma di Hisarlik indicava il sito dell’antica Troia e che su quello stesso colle sorgeva la rocca di Priamo. Fu così quindi che Heinrich inoltrò alle autorità ottomane la richiesta di scavo, ottenendo il permesso nel 1871. La campagna iniziò ufficialmente l’11 ottobre di quell’anno. L’impresa apparve al primo momento quasi titanica: il sito sorgeva su una piattaforma alta in media 24 metri sulla pianura, con un ripido pendio sul versante settentrionale; l’angolo di nord-ovest consisteva in un colle sporgente di 8 metri, largo 215 e lungo 300 che, per la sua posizione e per le difese naturali si rivelava a prima vista come l’acropoli della città.
La grande trincea
Per giungere alla base della collina e verificare l’esistenza e la consistenza dei monumenti dell’antica Troia, in primo luogo del tempio sull’acropoli e della famosa cinta di mura, Schliemann scelse di scavare una grande e profonda trincea lungo tutta la collina, in direzione nord-sud: in pochi giorni, l’archeologo dilettante assolda 64 operai, che lavorano dall’alba al tramonto per la misera cifra di 9 piastre (quando un sorvegliante imposto dal governo ottomano ne percepiva 23 senza fare praticamente nulla, e 30 il servitore Nicola, addetto al versamento quotidiano del salario agli operai) e trasportano masse di terra con sistemi primordiali.
Dal punto di vista archeologico, i lavori furono un disastro: Schliemann non aveva esperienza né tecnica. La trincea che fece scavare in fretta e furia, convinto che la Troia omerica fosse in fondo alla collina, annullò la possibilità di ricavare informazioni fondamentali dagli strati superiori. A trenta metri di profondità, Schliemann riuscì comunque a portare alla luce imponenti strutture, ma non sapeva più se si trovasse davanti alla città cantata da Omero.
1872: LA SECONDA CAMPAGNA
Schliemann era un dilettante, ma non certo uno sprovveduto: fatto tesoro dell’esperienza della stagione precedente, questa volta assunse un ingegnere francese e predispose in anticipo i punti in cui intervenire. Un maggior rigore riesce ad ottenere dagli operai che non intendevano rinunciare alle numerose festività del loro calendario.
Il grande guaritore
Come nota a margine, riportiamo una curiosità su Schliemann: durante i lavori di scavo, la sua fama si diffuse rapidamente nella regione perché egli sapeva praticare un’arte medica che, seppure elementare – chinino, tintura d’arnica (estratta dall’omonima pianta, utile per alleviare contusioni e fratture, è usata anche per stati di shock e forti spaventi) e bagni di mare! – appariva miracolosa a gente abituata ad essere curata con salassi sistematici dal prete del villaggio.
Le “Grandi Mura”
La grande trincea procede, fra pericoli, fatiche e contrattempi. Affiorano grandi mura e quella che Schliemann chiamò Grande Torre, in realtà un doppio circuito fortificato. Affiorano anche le sostruzioni di quello che Heinrich considera il grande Tempio di Atena, alcune case, tratti di strade, oggetti di ogni genere.
1873: LA TERZA CAMPAGNA
Nel febbraio di quell’anno, Schliemann finì per liberare il perimetro di mura e raggiunge la convinzione che la grande strada riemersa in direzione della pianura conduca alla Porta Scea e che la grande doppia porta rimessa in luce sia proprio la Porta Scea, teatro di scene mirabili dell’Iliade, e portò alla luce alcuni ambienti che credette appartenessero alla Reggia di Priamo. Rinvenne anche uno strato di ceneri, per lui il chiaro indizio dell’annientamento di Troia da parte delle truppe achee. Schliemann non poteva essere più entusiasta: ogni scoperta suggeriva che si era finalmente imbattuto nella Troia di Omero, ossia quella del II Strato.
CITTA’ SOVRAPPOSTE
Dovettero trascorrere diversi anni prima che Schliemann, a cui dobbiamo riconoscere almeno una buona onestà intellettuale, accettasse che la città scoperta sulla collina di Hisarlik era di 1.500 anni anteriore alla Troia omerica e che quest’ultima coincideva (almeno secondo Wilhelm Dörpfeld, il giovane architetto che affiancò Schliemann negli scavi e che gli subentrò nella loro prosecuzione) forse con Troia VI.
Eh, sì, perché Hisarlik non è una collina naturale, ma si formò dalla sovrapposizione nello stesso sito di diverse città, una dopo l’altra. Schliemann ne contò un totale di sette, con il numero romano ascendente. Dörpfeld individuò una serie di nove città, e gli scavi successivi ne accertarono ancora altre due, per un totale di 11 Troia successive. Al giorno d’oggi, gli studiosi non sono ancora concordi nell’identificare la Troia di Omero.
IL MISTERIOSO “TESORO DI PRIAMO”
Schliemann scoprì a Troia 21 tesori, dei quali quello cosiddetto “di Priamo” è il più spettacolare per la varietà e la fattura dei pezzi che lo compongono. Risalente in realtà al 2.500 a.C., è composto da circa 8.830 elementi, tra gioielli e oggetti in oro, argento e bronzo.
Un ritrovamento dai molti punti oscuri
Il tesoro costituisce l’aspetto più controverso dell’operato di Schliemann. Infatti, è impossibile risalire con certezza a come, quando e dove lo rinvenne, e neppure a quali pezzi lo costituissero, Perché l’archeologo fornì informazioni contraddittorie nei quattro documenti redatti: i diari di scavo, il rapporto quindicinale per la stampa (Il Times), le memorie degli scavi e la pubblicazione finale sotto forma di libro. È sicura solo la data: il 31 maggio 1873.
L’imbarco segreto verso la Grecia
Per evitare che i rappresentanti del governo ottomano, allertati dagli operai, prendessero la metà del ritrovamento, come previsto nel permesso di scavo, Schliemann lo imballò e lo inviò a casa della famiglia Calvert e dopo qualche giorno lo imbarcò di nascosto verso la Grecia, dove fu controllato con calma ad Atene.
Per evitare problemi, Schliemann distribuì il corredo tra la famiglia di Sophia e la Scuola Francese di Archeologia di Atene, e pensò di farne realizzare una copia da un orafo francese.
Tuttavia, il governo ottomano accusò Schliemann di esportazione illegale, reclamando la propria parte. La contesa si concluse nel 1875, quando l’archeologo accettò di pagare un forte indennizzo in cambio dei gioielli, di cui divenne, quindi, il proprietario legale.
Il tesoro a Berlino…
Depositato il tesoro in una banca, e dopo averlo cercato di vendere a vari governi europei, Schliemann, nel 1881, lo donò a Berlino, che insignì lui e la moglie del titolo di cittadini onorari. E qui vi rimase fino alla Seconda Guerra Mondiale.
Il 6 maggio 1945, Hitler ordinò che il tesoro fosse nascosto nelle miniere di sale di Helmstedt per evitare che cadesse in mano ai Sovietici. L’ordine di Hitler non venne eseguito e il tesoro venne quindi confiscato come bottino di guerra dall’Armata Rossa, finendo a Mosca.
…e poi a Mosca
Negli anni successivi i Russi smentirono che il tesoro si trovasse nelle loro mani. Rimasto per anni in un luogo segreto, ricomparve nel 1993 nel Museo Puskin di Mosca.
Il tesoro conteso
La querelle sul “Tesoro di Priamo” è ben lungi dall’essere conclusa. Attualmente, ben quattro nazioni se lo contendono: la Turchia, dove è stato rinvenuto, la Grecia, erede della tradizione omerica, la Germania, a cui fu donato, e la Russia, che lo considera un legittimo bottino di guerra. A tale contesa, si aggiungono gli eredi dei fratelli Calvert.
LA TROIA OMERICA SI TROVA VERAMENTE IN TURCHIA?
Desideriamo accennare ad una questione che da qualche anno si è affacciata con sempre maggiore insistenza: che la Troia omerica non sia affatto quella scavata da Schliemann, ma che si trovi in un luogo che nulla ha a che fare con l’ambiente mediterraneo, essendo esso del tutto incoerente, sia come geografia che come clima, con le narrazioni dell’Iliade e dell’Odissea.
A tale questione dedicheremo un prossimo articolo. Qui ci preme solo dire che già dai tempi antichi la geografia dei poemi omerici ha dato adito a problemi e perplessità: la coincidenza tra le località descritte, spesso con abbondanza di dettagli, nei due poemi e i luoghi reali del mondo mediterraneo è spesso parziale, approssimativa e problematica, quando non dà luogo ad evidenti contraddizioni, come ad esempio quello evidenziato dal geografo greco Strabone (63a.C. – 23 d.C.), il quale già si domandava perché mai l’isola di Faro, situata davanti al porto di Alessandria, veniva collocata da Omero in mezzo al mare, ad una giornata di navigazione dall’Egitto. La chiave per penetrare questa e tantissime altre singolari realtà geografiche viene fornita dallo scrittore greco Plutarco di Cheronea (50 – 120 d.C.), il quale in una delle sue opere fa una affermazione sorprendente: l’isola Ogigia (dove Ulisse approdò al termine delle sue avventure e dove la dea Calipso lo trattenne a lungo prima di consentirgli il ritorno ad Itaca) è situata nell’Atlantico del nord, “a cinque giorni di navigazione dalla Britannia”, in una zona dove d’estate invece della notte vi è un breve crepuscolo che dura “meno di un’ora”! È chiaro che ci si riferisce ad un’ambiente nordico.
Tale chiave di lettura non solo permette di risolvere immediatamente tutti i problemi relativi alle descrizioni contenute nei poemi omerici, ma ci dice anche che il mondo di Omero, oltre ad essere molto lontano dal Mediterraneo, è più antico della civiltà micenea in Grecia (quella di Agamennone, per intenderci), anziché più recente come creduto finora.
La conseguenza logica è che anche la città di Troia, la Troia omerica non quella turca, si trovi in latitudini nordiche. E questo è un argomento che aprirebbe nuovi e straordinari orizzonti, oltre cambiare le nostre convinzioni apprese sui banchi di scuola in un tempo che all’autore appare ormai lontano. E chissà, è probabile che i guerrieri achei fossero più simili ai vichinghi che agli opliti greci…
LA FIGURA DI SCHLIEMANN
Una dolorosa malattia alle orecchie, che si protraeva ormai da alcuni mesi, indusse Schliemann a recarsi nel novembre del 1890 ad Halle, in Germania, per sottoporsi ad un intervento chirurgico. Incurante dei rischi della convalescenza, Schliemann lascia Halle il 12 dicembre per recarsi nel giro di appena tre giorni a Lipsia, a Berlino e a Parigi. Di qui riparte, nonostante il riacutizzarsi del dolore, per Napoli, attratto dagli scavi di Pompei. A Napoli, il 26 dicembre 1890, Schliemann muore. La salma viene trasportata ad Atene, dove il 4 gennaio viene sepolta alla presenza dei sovrani di Grecia e dei rappresentanti dei maggiori istituti scientifici, oltre che di una folla immensa di popolo. A capo della bara, esposta per l’ultimo omaggio, stava un busto di Omero…
Un pioniere della ricerca archeologica
Il giudizio sulla figura e sull’opera di Heinrich Schliemann è implicito nei risultati dei suoi scavi e nelle prospettive che essi aprirono allo studio scientifico dell’antichità classica. Ha scritto Carl Blegen, il continuatore degli scavi dopo Dörpfeld: “Molto è stato detto per condannare i metodi di scavo di Schliemann e i molti errori che spesso commise. Sebbene alcune deplorevoli e grossolane sviste vi siano state, queste critiche sono largamente influenzate dal confronto con le moderne tecniche di scavo; ma è giusto ricordare che prima del 1876 pochissime persone, se pur ce n’erano, già conoscevano la tecnica dei moderni scavi scientifici. Allora non esisteva una scienza della ricerca archeologica e probabilmente nessun archeologo era migliore di Schliemann nella ricerca sul terreno… Egli fu un pioniere in questa ricerca e tutti quelli che vennero dopo di lui trassero profitto dalla sua esperienza”.