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Ricordi Rock: il giorno in cui la musica morì.

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3 febbraio 1959, sono passati 65 anni dalla tragica nottata passata alla storia come il giorno in cui la musica morì. Tre nomi, tre leggende che stavano cambiando il mondo, che hanno finito per bruciarsi troppo presto e troppo giovani: Richie Valens, The Big Booper e Buddy Holly, rivoluzionari salvatori del rock’ n’ roll. Si può pensare che su quell’aereo ci fosse la vera e propria anima del rock n roll, l’unico superstite di quel volo che non è mai atterrato a destinazione, anzi ha faticato addirittura a prendere quota dopo il decollo. Quella notte il piccolo aeroplano si trovò intrappolato in una tempesta di neve subito dopo essersi staccato dal suolo dell’aeroporto di Mason City, Iowa. Forse l’inesperienza del pilota, anch’egli giovanissimo, forse le condizioni avverse o semplicemente la triste volontà di un crudele destino fecero perdere quota al velivolo che terminò la sua corsa incontrollata in una piantagione di granoturco, otto miglia a nord di Clear Lake.

Buddy, Ritchie e JP: le vittime del 3 Febbraio

Un tour nel Midwest con un’élite di cantanti, un’élite di star che si fecero ambasciatori della nuova musica e della sua riqualificazione. Era questa l’idea del Winter Dance Party del 59, ventiquattrocittà tra il 23 gennaio e il 15 febbraio, ma le tre star principali non riuscirono mai a concludere quel tour. Il rock aveva la necessità di farsi accettare, la fusione tra il blues e il primo country aveva dato origine a un tipo di musica rivoluzionaria, coinvolgente, totalmente diversa dalla contemporaneità e soprattuto sfacciata e senza pudore. Tre anni prima, la performance di Elvis Presley in diretta tv mentre cantava Hound Dog fu un momento di cesura storica per aspetti non solo musicali, ma anche sessuali, culturali e televisivi. Il mondo giovanile da quel giorno iniziò ad avvicinarsi ai temi del rock: le movenze di Elvis, i testi degli Everly Brothers, il timbro di Little Richard e gli assoli di Chuck Berry. D’altro canto la generazione genitoriale, non vedeva di buon occhio la nuova musica, la considerava una deviazione verso gli scenari raccontati nel film Gioventù Bruciata di James Dean. Il rock aveva bisogno di riaccreditarsi ed espandersi, e ad allaragarne gli orizzonti fu proprio Buddy Holly, un ventenne texano sorridente e ben vestito, con la classica faccia da bravo ragazzo che scelse la strada innovativa del rock n roll. Insieme ad Holly, sull’aereo c’erano Richie Valens, che propio in quei giorni cavalcava l’onda del pop latino con il successo La Bamba, e The Big Booper nome d’arte di JP Richardson che non avrebbe neanche dovuto prendere quel volo; ma chiese lui stesso a Waylon Jennings di cedergli il posto perché era affetto da una fastidiosa influenza… una scelta fatale mossa da un triste destino.

“Potrebbe essere in giorno in cui morirò”: il racconto di Don McLean

La cruenta fine delle giovani star (Holly aveva 23 anni, Richardson 29 e Valens appena 17), fu quasi profetizzata dallo stesso Buddy Holly che nel 1957 scrisse la canzone That’ll be the day, in cui la star canta proprio il verso diventato celebre più avanti “questo potrebbe essere il giorno in cui morirò”. Passarono anni (nel 1971) prima che un cantautore, Don McLean, riportò in cima alle cronache la giornata del 3 febbraio 59. Il suo più grande successo è un racconto sentimentale di come sia stato profondamente turbato dalla perdita dei “tre uomini che più ho ammirato” e di come quella notizia lo spinse a ripensare al percorso evolutivo che la musica ha intrapreso a partire da quel giorno. “Ricordo ancora quando, tanto tanto tempo fa la musica era solita farmi sorridere” introduce così il suo racconto, con un’immagine quasi bucolica di amore e fratellanza tra le persone che danzavano insieme ed erano “felici per un momento”. Ma dopo appena 24 secondi il brano già si addentra in temi cupi: McLean nel 59 consegnava i giornali nelle case del vicinato ricorda perfettamente quella mattina. “Febbraio mi fece rabbrividire, con ogni giornale consegnavo brutte notizie sugli usci delle porte”, si passa poi alla descrizione di uno stato confusionale tipico di quando si viene scossi dalla notizia di una tragedia: “Non ricordo se ho pianto quando ho letto della sua sposa rimasta vedova (Holly si era sposato solamente sette mesi prima), ma qualcosa mi toccò nel profondo il giorno in cui la musica morì”.

“Credi nel rock’ n’ roll? La musica può salvare la tua anima mortale?”

Don McLean, dopo aver illustrato la scena dei tre ragazzi che bevevano whiskey e segale cantando il celebre verso di That’ll be the day (questo è il giorno in cui moririrò) comincia a vivere in un flashback la storia della musica, la canzone accelera e prende un ritmo coinvolgente che rende veramente difficile all’ascoltatore ignorarne le parole. “Tu credi nel rock’ n ‘roll? La musica può salvare la tua anima mortale?” Da un riferimento al blues in cui ci si chiede “come si possa danzare così lentamente”, Don si accorge che sono passati 10 anni dalla tragica giornata e “il muschio si è ingrassato sulle pietre rotolanti”. Ecco il primo riferimento alla storica banda di Mick Jagger, che proprio negli anni in cui è uscita la canzone ha trovato la consacrazione nell’Olimpo del rock. Intanto il pensiero di McLean si rivolge ad un altro tipo di composizione, al folk americano che stava prendendo piede con Bob Dylan, che lui identifica come “The Jester che canta per Re e Regine in un cappotto preso in prestito da James Dean” una frase che si riferisce agli inizi di quando ancora Dylan faticava a trovare la propria affermazione. Il periodo antecedente all’arrivo di Zimmermann al Greenwich Village, la culla della musica folk, nella realtà, come nel brano, è rapido e brevissimo e al verso successivo si ascolta: “Mentre il Re (Elvis) stava guardando in basso, the jester gli ha rubato la sua corona di spine”. L’elenco dei rifermenti musicali agli anni Sessanta diventa interminabile, non possono mancare i Beatles e la loro nota storia, dall’ultimo concerto live tenuto sul tetto degli studi di Abbey Road: “E mentre Lennon legge e un libro su Mare, il quartetto faceva pratica nel parco, alla rinfusa (Helter Skelter), in un’estate afosa” alla svolta psichedelica: “Mentre il sergente (riferimento all’album Sgt. Pepper) suonava una marcia, alcuni musicisti cercarono di prendere il palco, ma la banda musicale rifiutò la resa”. Il concetto alla base, della canzone di Don McLean inizia lentamente ad emergere nel corso degli otto minuti del capolavoro, il cantautore sembra quasi voler dire: ci siamo distratti in questi 10 anni, “ma vi ricordate cosa venne rivelato il giorno in cui la musica morì?”. McLean va addirittura a scomodare l’esplorazione spaziale che ha portato l’uomo sulla luna e ha tanto ispirato David Bowie “una generazione persa nello spazio”, ricorda l’esibizione fiammeggiante di Jimi Hendrix a Monterey “il fuoco è l’unico amico del diavolo” e l’incendio del concerto di Frank Zappa che ispirò i Deep Purple per Smoke on the Water. Poi, improvvisamente il flashback musicale si interrompe e il protagonista della ballata viene catapultato in una tragica atmosfera: “l’uomo disse che la musica non sarebbe stata suonata, nelle strade i bambini urlano, gli amanti piangono e i poeti sognano”. Il tutto si svolge in un contesto silenzioso, come se “le campane della Chiesa fossero guaste”, perché i “tre uomini che ha ammirato di più hanno preso l’ultimo treno verso la costa il giorno in cui la musica morì”

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