IQ. 23/05/2013 – In un’Italia ancora dal passo claudicante nel processo di multi-etnicizzazione verso cui la globalizzazione spinge i paesi più sviluppati, c’è ancora chi è pronto a levare gli scudi contro episodi di razzismo e omofobia.
Ben venga.
Se poi di mezzo c’è il pallone ancora di più. Lì, dove le folle si radunano per assistere ad una partita di calcio, è tanto più probabile che tra il furore che accende gli spiriti, nell’idea di confondersi nella massa indistinta, ci scappino i “buh” ed altri oltraggi ai giocatori in campo o a persone ad essi care. Giusto intervenire. In modo deciso.
Il calcio poi, ha un tale seguito che guai a trascurare o minimizzare episodi che potrebbero ripresentarsi, visto che c’è sempre qualche “imbecille” pronto ad “emulare”, in un altro stadio o anche fuori, passeggiando per strada, in un locale, a scuola, dentro al posto di lavoro.
Dopo gli ennesimi “buh” è stata chiusa per un turno la curva della società sportiva Roma per i cori razzisti rivolti dai tifosi all’indirizzo di Mario Balotelli, e comminati 50 mila euro di ammenda alla società calcistica capitolina.
Unanimi le condanne da parte del mondo politico e della società civile mentre il ministro per l’integrazione Kyenge, voce fuori dal coro, ha parlato di episodio “che non ha a che fare col razzismo” bensì dettato da fattori di contesto.
In un caso come nell’altro, giusto intervenire.
Ciò che non torna, rispetto alla presa di posizione della Lega Calcio, tanto da suonare un tantino “ipocrita”, è come mai ci si accorga di un problema “razzismo” negli stadi solo dopo i “buh” rivolti a Mario Balotelli.
Succede da anni, ma quando il calciatore di colore è sconosciuto, sono in pochi ad accorgersene e certo non vengono multate le società i cui tifosi hanno rivolto ingiurie a quel giocatore.
Succede anche che esistano razzismi e discriminazioni di seria A e di serie B e quindi, si può tranquillamente insultare un calciatore dell’est europa chiamandolo “zingaro” senza che Abete, Platinì e Blatter se ne accorgano, si può dare del “terrone” ad una persona del sud, consigliare ad un napoletano una doccia calda sotto la lava vesuviana, lanciare epiteti offensivi contro mogli o compagne di calciatori dandole delle poco di buono, ricordare agli arbitri che le proprie donne sanno come divertirsi in loro assenza.
Tutto lecito. Tutto passabile.
Nel giorno in cui Amnesty International torna a ricordarci quanto siamo indietro in termini di diritti umani, siamo tutti in prima linea nel condannare i tifosi “imbecilli” e più inclini a tollerare che nelle più alte sfere della politica alberghino soggetti che, con estrema naturalezza ed in pubbliche assisi, usino toni sprezzanti, discriminatori ed anche violenti contro i diversi per razza, etnia, religione, orientamento sessuale.
Partire dagli stadi per “educare” alla civiltà, per quanto demagogico, rischia di non portare i risultati auspicati.
Pensare che la “civiltà”, l’eduzione ed il rispetto del diverso debba stare negli stadi prima che nelle scuole, nella società civile, nei mass media, nei luoghi istituzionali, è quantomeno utopistico.
(*) Sociologo e Membro Redazionale di Informazione Quotidiana