La stagione della resa dei conti si conclude nel migliore dei modi per gli interisti e nel peggiore per i milanisti. Inter e Milan erano in parità a settembre (per la verità dal 2022), entrambe a quota 19 scudetti e a far cadere l’ago della bilancia dalla parte nerazzurra è stato proprio il derby, anzi i derby. Dal 5-1 dell’andata all’1-2 del ritorno, sull’onda dell’entusiasmo dell’Euroderby di Champions League del 2023, all’ombra del Duomo la festa è sempre e costantemente nerazzurra. Bisogna fare un balzo indietro di un anno (finale di Champions ad Istanbul) per trovare le origini di questo successo, ma forse anche di più, al 27 aprile 2022. Sul campo del Bologna un errore del secondo portiere Radu aveva inflitto una coltellata all’orgoglio della giovane Inter di Inzaghi, una ferita che aveva acceso la festa del Milan sulle note di “Pioli is on Fire”. Quello stesso coro che solo alcune domeniche fa ancora riecheggiava a San Siro, ma con la voce degli interisti che sbeffeggiavano il mister rossonero, erano già proiettati alla stracittadina-Scudetto di ieri sera. Un trionfo da interisti veri anche perché reso molto più doloroso per la controparte rossonera dai protagonisti che si sono quasi fatti gioco del Milan nel corso della loro carriera: Calhanoglu, proprio nel 2022 ha lasciato il Diavolo per il Biscione e dopo aver subito lo scherno di Ibra durante la festa scudetto, ha finalmente risposto con 11 reti e una stagione da miglior centrocampista della Serie A, coronata con lo scudetto vinto sul campo della sua ex squadra. E che dire di Thuram? Uno dei volti nuovi dalle parti della Pinetina che in estate scelse il club di Via della Liberazione dopo essere stato ad un passo dal cedere alla corte di Pioli. La reazione morale delle sconfitte (Bologna ed Istanbul) ha portato al successo più dolce, ad una vittoria memorabile che segnerà in eterno la storia della rivalità meneghina, oggi a Milano c’è solo l’Inter.
Trasformare una squadra: Simone Inzaghi
Un’ intuizione di Claudio Lotito, ferito nell’orgoglio dalla fuga di Bielsa, ha dato il via alla carriera trionfale di Simone Inzaghi, il demiurgo dell’Inter del ventesimo scudetto. Ed è poroprio da un altro rapporto interrotto bruscamente che ha origine la storia dell’Inzaghi nerazzurro, dall’addio di Antonio Conte. L’ex Lazio, fratello di un campione del mondo come Filippo Inzaghi (emblema dell’altra sponda milanese), è riuscito a superare l’esperienza dello stesso Conte, portando a casa sei trofei e una finale continentale persa per un soffio. Non guardare indietro con rabbia, canterebbero gli Oasis ed è proprio con questo atteggiamento che Simone ha forgiato la sua Inter abbagliante che ha vinto lo Scudetto come il Napoli lo scorso anno: senza rivali. “Nessun vero artista vede mai le cose come veramente sono, non sarebbe un artista” diceva Oscar Wilde, ed ecco che l’ex Lazio si è trasformato nel Caravaggio del campionato, vedendo nelle sconfitte soltanto una tappa sulla strada per il successo finale. Inzaghi ha trasformato i 21 punti di ritardo dal Napoli capolista nel marzo 2023, in 31 lunghezze di vantaggio rispetto ai campioni d’Italia nel marzo 2024. Così si costruisce il successo, guardando al passato non con i rimpianti, ma con l’esperienza.
Rigore tattico e geometria di reparti che hanno cancellato gli errori di inesperienza del mister, che gli hanno permesso di accantonare la fobia da cartellino rosso: Inzaghi infatti, non lesina più sui cambi, ha trovato il coraggio di lasciare in campo i giocatori ammoniti iniziando a modellare la squadra a partita in corso secondo le esigenze di gioco. Adesso anche le riserve hanno trovato la loro tela per dipingere; all’occorrenza Sanchez ha dato una maggiore spinta offensiva (la vittoria ad Udine ne è un esempio); e Frattesi, che ha scelto la squadra con il centrocampo più forte d’Italia condannandosi al turnover ha realizzato sei reti tra cui quella contro il Verona che ha dato il via alla volata solitaria verso lo scudetto. L’Inter di Inzaghi è diventata un’arma di aggressione di massa, ha affrontato gli avversari con il costante obiettivo del gol, con il costante pensiero alla progressione offensiva ed alla conclusione vincete. Il derby di andata in tal senso è emblematico, un 5-1 nel quale i nerazzurri non hanno mostrato alcuna pietà per i cugini milanisti. Inzaghi ha trasformato una buona Inter in una squadra a tratti invincibile: solo vittorie nelle prime 13 del 2024, e il 4 marzo vincendo con il Genoa aveva già raggiunto la quota punti del 2022/23. I nerazzurri rubano l’occhio a tutti, per la capacità di segnare (siamo a 79 reti stagionali, almeno uno in ogni partita, qualcosa che non è mai accaduto) e di difendere (solo 18 reti subite), tant’è che i difensori stessi si sono spesso resi determinanti nella maniera più classica del calcio, il gol che di solito appartiene agli attaccanti. Per trovare un esempio di ciò basta penare alla partita del Dall’Ara con il Bologna, lancio di Bastoni e gol di Bisseck. In estate, hanno lasciato la maglia nerazzurra alcune colonne della squadra, Dzeko, Brozovic, Skriniar, Onana e Handanovic. Un taglio netto con il passato, evidenziato da subito da Lautaro Martinez che quando in Inter-Fiorentina Thuram ha provato a riprodurre con lui l’esultanza della LuLa ha sorriso, ha scosso la testa e ha affermato “Non esulto più così”, una frecciatina non troppo velata a Lukaku.
Dal passo falso in Europa, alla fretta di vincere: Notte stellata nerazzurra
Lo ha affermato Bastoni, uno dei protagonisti degli ultimi due scudetti dell’Inter: “Lessing aveva torto, io voglio vincere subito”. La filosofia di Inzaghi di godersi il panorama vincendo rapidamente ha contagiato tutta la squadra dimostrando che non sempre “l’attesa del piacere è essa stessa il piacere” perché i nerazzurri non si sono lasciati pervadere dall‘ansia del traguardo e hanno chiuso il discorso al primo match point a disposizione. L’Inter ha iniziato a flirtare con il successo fin dalla primavera ed ha potuto dedicare allo scudetto le parole di Ligabue: “Ti sento, nell’aria che è cambiata, che anticipa l’estate”. Una stagione perfetta, ora dopo Van Gogh anche Inzaghi ha dipinto la sua notte stellata, con un’unica macchia rappresentata dalla delusione europea. Tuttavia, si sà, la Champions League è qualcosa di diverso dal campionato, non perdona gli errori, neanche quando a commetterli è un campione infallibile come Lautaro. Dopo il flop europeo si poteva pensare ad un contraccolpo psicologico, invece l’Inter è rimasta concentrata sul suo obiettivo andando incontro al successo, al ventesimo titolo che fa riecheggiare la voce di Bennato: “Seconda stella a destra, questo è il cammino. E poi dritto fino al mattino”.
L’Inter vince lo Scudetto della seconda stella nel derby, si aggiudica la sesta stracittadina consecutiva. Un’evento dedicato a quella “gente che, ama soltanto te” (come dice il celebre coro della curva nerazzurra), una festa per i tifosi che ora, riprendendo uno dei passi più romantici di Shakespeare, possono vantarsi con i Diavoli di aver visto il paradiso. Questa stagione ha evidenziato che i nerazzurri sono veramente “il vanto di Milano”, loro che festeggiano lo Scudetto più bello di lunedì, che dopo oggi difficilmente un interista “doc” come Vasco Rossi potrà odiare (come afferma in una delle sue canzoni). E’ il titolo di Inzaghi, che in caso di rinnovo potrebbe diventare l’allenatore più longevo all’Inter dai tempi del Mago Herrera; è il titolo di Lautaro e lo ha dimostrato vincendo la classifica dei cannonieri; ma è anche il titolo di Beppe Marotta che ora, come una canzone degli One Republic, “conta le stelle”. Una per lui (è la sua decima affermazione in Italia) e due per l’Inter. Dopo la sconfitta di Bologna 2022 e quella di Istanbul 2023, la bacheca dell’Inter si era addensata di rimpianti. La stessa Champions League (dopo le delusioni con City e Atletico) attualmente è un sogno, ma non vanno mai dimenticate le parole di Jim Morrison: “i sogni sono come le stelle, basta alzare gli occhi e sono sempre là”, e visto che le stelle sono state conquistate, Inzaghi potrebbe anche iniziare a credere a questa similitudine.