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TESORI NASCOSTI: IL MOLISE E I SUOI SITI ARCHEOLOGICI (Prima Parte).

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giovedì, Novembre 21, 2024

Il viaggiatore appassionato di archeologia o semplicemente curioso di esplorare il passato ha la possibilità di scoprire una regione ricca di storia e di fascino, che nasconde inaspettati tesori archeologici, a volte fuori dei grandi percorsi classici. Parliamo del Molise, una regione dalle profonde radici italiche, che oppose una lunga resistenza alla romanizzazione. A partire dal VI secolo a.C. la regione fu abitata da genti di stirpe italica unite da legami etnici e culturali; convenzionalmente, tali popoli vengono denominati “genti sabelliche”, che risiedettero anche nel vicino Abruzzo. Intorno alla seconda metà del IV secolo a.C. andarono delineandosi i vari ceppi storici centroappenninici: Piceni, Pretuzi, Marrucini, Peligni, Vestini, Marsi, Equi, mentre in Molise troviamo i Frentani, i Sanniti e i Pentri. Alcuni insediamenti molisani hanno radici sabelliche, come Larino, appartenente ai Frentani, o Pietrabbondante e Sepino, che furono sannitiche.

All’inizio del III secolo a.C. le popolazioni sabelliche resistettero strenuamente alla conquista romana: furono necessarie numerose guerre – le cosiddette guerre sannitiche – che si succedettero dal 354 al 295 a.C., perché Roma potesse avere il controllo definitivo su questo territorio e su tutta la penisola italica. Non è un caso che nel Tempio piccolo del Santuario di Pietrabbondante, la maggiore area sacra nel territorio dei Sanniti, furono ritrovate numerose armi, la maggior parte delle quali della seconda metà del IV secolo a.C. e quindi contemporanee alle guerre sannitiche.

Durante la guerra sociale, tra il 91 e l’89 a.C., i popoli italici si schierarono contro Roma. Successivamente la maggior parte delle città ottenne la cittadinanza romana e venne arricchita di monumenti ed opere pubbliche, come quelle di Sepino, particolarmente ben conservate.

In un sorprendente viaggio in due puntate attraverso i luoghi più o meno noti del Molise, ci accingiamo a presentarvi una selezione di nove siti archeologici della regione sannita. In questa prima puntata del nuovo articolo per La Stele di Rosetta, in esclusiva per IQ, parleremo dei primi due siti, quelli più conosciuti: Pietrabbondante e Sepino. Ringraziamo, inoltre, per la consulenza storico-archeologica la Professoressa Angela Bernardo, attuale Presidente dell’Associazione culturale “La Famiglia Molisana” in Roma ed appassionata studiosa della civiltà sannitica.

TABELLA DEI CONTENUTI:

PIETRABBONDANTE, IL SANTUARIO ITALICO

SEPINO, LA CITTA’ ROMANA

PIETRABBONDANTE, IL SANTUARIO ITALICO

In provincia di Isernia, a circa 1000 metri di altitudine, sul versante meridionale del Monte Saraceno in località Calcatello, in una incredibile panoramica che si apre sulla Valle del Trigno, sorge il Santuario Italico di Pietrabbondante che, per la sua monumentalità e per le sue caratteristiche architettoniche, è considerato il più importante luogo di culto dello Stato sannitico. Risalente al V secolo a.C. questo complesso custodisce la storia dell’Italia antica, in quanto ha giocato un ruolo cruciale nella vita politica e religiosa dei Samnites Pentri. Da questo popolo prende il nome la storica regione del Sannio, oggi identificata nella vasta area che comprende le regioni di Abruzzo, Molise, Campania e margini di Lazio, Puglia e Basilicata.

Il complesso comprende il Teatro e due edifici templari, il Minore (A) – quello più antico – e il Maggiore (B). Dal sito si nota in lontananza anche la rocca fortificata sulla sommità del Monte Saraceno, a 1212 metri, che aveva uno scopo difensivo ed era collegata ad analoghe opere difensive poste più a valle. Le informazioni storiche e le rilevanze archeologiche, soprattutto epigrafiche, dimostrano che il Santuario è totalmente diverso da ogni altro conosciuto nel territorio dei Sanniti: infatti, non veniva usato esclusivamente per ludi scenici, come gli altri, ma era sede di concilia, cioè delle adunanze del Senato indette in particolari occasioni. Questo suo carattere “nazionale” è documentato ampiamente dai numerosi riferimenti epigrafici alle attività svolte dai magistrati supremi dello Stato.

Gli scavi susseguitisi nel tempo hanno messo in luce un complesso monumentale senza confronti in ambito sabellico per grandiosità e per finezza architettonica ed hanno dimostrato come tutta l’area fosse già frequentata nel V secolo a.C. La maggior parte delle strutture, tuttavia, venne edificata negli ultimi decenni del II secolo e i primi del I secolo a.C., al termine delle ultime guerre contro Roma, quando i Sanniti dichiararono la propria fedeltà all’Urbe e si aprì un lungo periodo di pace nel corso del quale riescono a potenziare le proprie attività economiche e commerciali, ed utilizzare parte dei guadagni per realizzare nuove iniziative edilizie ed occuparsi della sistemazione monumentale dell’area. La costruzione del monumentale complesso Teatro–Tempio rappresentò certamente l’iniziativa di maggiore impegno, che occupò gli ultimi decenni del II secolo ed i primi del I secolo a.C. e fu il frutto di un’unica progettazione organica. Opera di un architetto rimasto anonimo, per la monumentalità degli edifici e per la qualità architettonica il complesso dovette richiedere un impegno eccezionale da parte dell’intera nazione dei Sanniti Pentri che proseguì gradualmente tra gli anni 120 – 90 a.C. fino a quando la guerra sociale non interruppe qualsiasi forma di finanziamento pubblico o privato per l’arricchimento del santuario.

Ricostruzione ipotetica del Santuario di Pietrabbondante.

Caratteristiche del complesso
Il complesso Teatro–Tempio è un insieme di grande suggestione scenografica che si ispira ai modelli ellenistici diffusi in area campana, sia per lo schema del teatro, che ricorda quello di Sarno ed il teatro piccolo di Pompei, sia per la decorazione architettonica del tempio, il cui podio ricalca il modello del tempio di Capua. L’edificio ripropone le caratteristiche dell’architettura templare italica, infatti è posto su un podio, con gradinata centrale di accesso, ed è circondato su tre lati da un corridoio; differisce per un particolare elemento architettonico, anziché presentare un’unica cella sacra, ove di solito era collocata la statua della divinità oggetto di culto, ne ha tre, come nella tradizione degli Etruschi e dei Latini, e lascia quindi supporre che fosse dedicato a una triade, unico esempio della cultura italica di tempio dedicato a tre divinità. Tutti gli edifici mostrano con evidenza la loro destinazione cultuale, compreso il Teatro, intimamente connesso con la zona templare retrostante. Pur essendo cronologicamente l’ultima realizzazione edilizia dell’area sacra, il complesso Teatro–Tempio si sovrappone esattamente alle strutture più antiche risalenti al IV secolo a.C. ricalcandone alcune misure originarie, evidentemente allo scopo di conservare inalterata nel tempo la sacralità di quel luogo. Andiamo ora a vedere nel dettaglio gli edifici del complesso.

Il Teatro sannitico, la meraviglia dell’antichità
La struttura più stupefacente di tutto il complesso è senza dubbio il Teatro, l’edificio meglio conservato dell’area monumentale. Poiché andò in disuso già in epoca molto antica, non subì nei secoli quei rimaneggiamenti di cui spesso sono stati oggetto i teatri greci riutilizzati in epoca imperiale romana. Ciò ha consentito agli archeologi, anche grazie al discreto stato di conservazione dei monumenti, di ricostruire senza incertezze gli aspetti strutturali e stilistici dell’intero complesso teatrale. L’alzato della cavea è quasi intatto ed è perfettamente leggibile la planimetria della scena, della quale è andato perduto l’alzato. Pur essendo un teatro di tipo greco, non è stato edificato su un pendio naturale del terreno, come abitualmente avveniva, ma elevando artificialmente un terrapieno sulla spianata erbosa, adeguatamente sostenuto da una solida struttura di contenimento, un maestoso muro in opera poligonale.

La cavea ha un’estensione frontale di m. 54 e la classica forma geometrica ad emiciclo, con un raggio di m. 27. E proprio le tre gradinate situate nella parte bassa della cavea costituiscono la caratteristica architettonica di maggior pregio dell’intero monumento: i tre ordini di sedili, senza braccioli, presentano un piano ininterrotto, costituito di blocchi accuratamente connessi fra loro. Le spalliere curvilinee, lavorate in un solo blocco, presentano un’elegante sagomatura a gola rovesciata, cioè convessa in basso e concava in alto, che conferisce ai sedili una conformazione anatomica. La lunghezza dei singoli posti a sedere è varia, l’altezza media è di circa 82 cm.

Dell’edificio scenico (lungo m. 37,30 e largo m. 10,10) si conserva la struttura semplice della scena di tipo greco, non rimaneggiata in epoca romana: un edificio rettangolare con una facciata lineare, in cui si aprono tre porte, una centrale e due laterali, utilizzate dagli attori per entrare ed uscire dallo spazio scenico. Dell’alzato non è rimasto nulla, ma la planimetria è così chiara da renderlo comprensibile in tutti i suoi aspetti.

Il podio del Tempio A

Il Tempio Minore (A)
Chi oggi volesse visitare l’area archeologica di Pietrabbondante seguendo un percorso ordinato e corretto dal punto di vista storico-cronologico, dovrebbe cominciare proprio da questo monumento, posto all’estremità orientale dell’area archeologica, che dovette costituire il nucleo originario del grande santuario.

Si tratta del più antico dei monumenti oggi visibili, fronteggiato da un sentiero già all’epoca esistente, che conduce al monte Saraceno, il cui tracciato probabilmente ne condizionò la posizione. Era una struttura di modesta concezione architettonica, completamente isolata e lontana da centri abitati, come rientrava nella consuetudine italica dell’epoca. Attualmente lo stato di conservazione è abbastanza precario, anche a causa del materiale prevalentemente utilizzato, un calcare tenero, friabile e particolarmente sensibile ai geli invernali. Il tempio fu edificato per volontà di alcuni magistrati appartenenti alla potente famiglia degli Staii in una fase in cui in tutto il territorio si assiste a una ripresa dell’attività edilizia, soprattutto nei santuari. Il centro rappresenta quindi l’espressione di quella vitalità economico-politica di cui godette tutto il mondo italico negli anni precedenti la guerra sociale.

Di questo edificio è sopravvissuto solo il podio di forma rettangolare (m. 17,70 x m. 12,20), molto danneggiato sul lato anteriore, completamente asportato per tutta la lunghezza, per cui diventa quasi impossibile ricostruirne la planimetria. Manca del tutto l’alzato del tempio, i cui blocchi devono essere stati asportati per essere utilizzati come materiale da costruzione; restano poche lastre del fregio dorico frontale e vari frammenti del cornicione di coronamento.

Tabernae nord.

Sono state invece chiaramente distinte le vicine tabernae (botteghe) di epoca romana che affacciavano lungo il porticato colonnato. Sotto le strutture crollate è stato rinvenuto un gran numero di monete risalenti alla fine del III secolo – inizio IV secolo d.C. che costituiscono l’ultima documentazione di vita antica esistente nell’area del santuario.

Nella spianata a poca distanza dal tempio fu rinvenuta una notevole quantità di armi, sia integre, sia in frammenti, che venne conservata nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli: elmi, schinieri, cinturoni, paragnatidi (paraguance), un accumulo di armi databili tra la fine del V secolo e la metà del IV secolo a.C. collocate lì come trofeo di guerra o come offerte votive. Armi simili sono state ritrovate anche in occasione di scavi più recenti.

Podio del Tempio B.

Il Tempio Maggiore (B)
È l’edificio più grande che sia mai stato costruito dai Sanniti. Il visitatore è ancora oggi colpito dalla massiccia volumetria del podio del tempio che gli si presenta davanti e che si conserva ancora oggi, sostanzialmente, nella sua interezza: lungo m. 35, largo m. 22, alto m. 3,55. Il podio si eleva al di sopra di un basamento liscio, costituito da blocchi squadrati di pietra calcarea, e riprende le caratteristiche dello schema usuale del tempio italico. Sulla parte anteriore del lato occidentale del podio è ben visibile una lunga iscrizione in lingua osca, che si sviluppa, con andamento sinistrorso, su un’unica linea. Ricorda il finanziatore della costruzione, L. Statiis Klar, probabilmente un magistrato sannita, di cui le fonti storiche antiche riportano numerose notizie. Sappiamo che dopo aver partecipato alla guerra sociale, passò dalla parte di Silla e riuscì ad entrare nel Senato romano, finché, ottantenne, non venne ucciso.

Di recente in quest’area una squadra di archeologi ha scoperto, sul versante orientale del complesso, una Domus Publica , una struttura che aveva una funzione politica e religiosa.

La Domus Publica.

Un “luogo della mente e dell’anima”: Saffo
Secondo le parole della poetessa Saffo, il Santuario di Pietrabbondante era un “luogo della mente e dell’anima” tanto da descriverlo con queste parole:

“…in questo tempio santo, dov’è un amabile bosco di meli, e altari ardenti del profumo d’incensi. Qui fresca l’acqua risuona fra i rami dei meli, e tutt’intorno le rose fanno ombra, e lo stormire delle foglie stilla malioso sopore. Qui il prato, pascolo di cavalle, è fiorito dei fiori di primavera, e le brezze spirano brezze di miele”.

La fine del Santuario
A seguito degli sconvolgimenti provocati dalla guerra sociale, l’intera area perse progressivamente la propria importanza tanto che, salito al potere Augusto, essa verrà assegnata alla famiglia dei Socelli; gli edifici sacri minori continuarono ad attirare fedeli mentre quelli principali caddero in abbandono, mentre la Domus Publica venne trasformata in abitazione privata. Dopo il III secolo d.C. sono documentate forme insediative minori almeno fino al V secolo quando, in ottemperanza agli editti imperiali, vengono distrutti i templi pagani ancora attivi. L’ultimo atto della storia del Santuario si svolgerà quindi all’interno di un sacello, dove venne celebrata una complessa cerimonia che sancirà la chiusura e l’abbandono definitivo del sito.

SEPINO, LA CITTA’ ROMANA

Saepinum (che nel medioevo fu chiamata Altilia) è un’area archeologica di epoca romana, in provincia di Campobasso, e situata nella piana alle falde del Matese aperta sulla valle del fiume Tammaro. Il sito, localizzato lungo l’antichissimo tratturo Pescasseroli-Candela, sorge 3 km a nord dell’attuale borgo di Sepino, sulla piana di Bojano, un’area di importanza economica strategica essendo al centro di uno snodo stradale che collegava, tra il IV e il III secolo a.C., il Sannio Pentro con la Valle Peligna (Abruzzo) e l’Irpinia (zona di Avellino), e avendo sbocchi commerciali non solo sulla Campania ma anche sulla Daunia e, da qui, sull’Egeo.

Dopo la Prima Guerra Sannitica (343-341 a.C.), venne realizzata una rete fortificata sulla cima delle montagne per controllare il passo della Crocella, che mette in comunicazione i due versanti del Matese. La fortificazione di Terravecchia, sulla montagna di Sepino, fu uno degli ultimi baluardi sannitici a tenere il controllo della piana fino alla sconfitta del 293 a.C. La popolazione sannita rimasta si spostò nella valle del Tammaro e successivamente si alleò contro i Romani all’arrivo di Pirro, e durante le Guerre Puniche approfittando del passaggio di Annibale. Finito il conflitto, i Roma punirà i Sanniti, smembrando il territorio, confiscando estese aree territoriali, isolando le tribù più ostili, e invadendole di colonie latine. Contemporaneamente però li romanizza con un notevole progresso economico, a detrimento della piccola proprietà contadina.

Guerrieri sanniti. Affresco del II secolo a.C.

Le aristocrazie italiche, che volevano alla parità dei diritti cominciarono ad ambire alla cittadinanza romana, e insorsero con il Sannio Pentro in prima linea. I Romani infine concessero la cittadinanza a quanti non si furono ribellati o sono disposti a deporre le armi, ma la estese poi a tutto il suolo italico.

Con la cittadinanza romana concessa a tutte le popolazioni italiche, l’intero territorio della penisola diventa ager romanus, diviso in distretti dotati di limitata autonomia amministrativa, in quanto sede di magistrati locali. Saepinum, ormai municipio, fiorisce economicamente con un nuovo assetto urbanistico che prevede edifici pubblici e sacri.

Pianta della Saepinum romana, con i cardi e i decumani.

La riorganizzazione territoriale di Saepinum, il cui nome deriva da saepire (recintare) per la sua attività transumante, non riguardò solo aspetti economici, come l’agricoltura specializzata o la transumanza su vasta scala, ma anche un assetto urbano a cardi e decumani che continuerà ad ampliarsi fino a raggiungere l’apice in età augustea (ricordiamo che nelle città romane si chiamava cardo la strada che li attraversava da nord a sud – in latino cardo significa polo, punto cardinale. Il cardo si intersecava con il decumano, cioè le strada che attraversava la città in direzione est-ovest). Sorgono la cinta muraria, il Forum pecuarium, cioè un’area recintata destinata a ricovero delle greggi, oltre che a luogo di mercato e scambi commerciali. Vengono lastricate le strade, sorgono edifici nuovi intorno al Foro, è costruito il Teatro e all’esterno delle mura sono edificati numerosi mausolei, allineati lungo il decumano che da Aesernia conduce a Beneventum, secondo un progetto voluto da Augusto stesso.

L’imperatore, inoltre, per soddisfare le continue richieste alimentari della plebe romana, decide di gestire direttamente il territorio dell’antico Samnium, che all’epoca garantiva la maggiore produzione di carne di maiale.

La presenza di famiglie influenti, portò Saepinum a diventare parte della tribù Voltinia, una delle trentacinque circoscrizioni di cui si serviva Roma per i tributi, le elezioni e la leva. Tuttavia, l’accentramento di ricchezza in mani di pochi, porta la città a peggiorare le sue condizioni economiche tra la fine del I e l’inizio del II sec. d.C., tanto che lo stesso imperatore interverrà nella questione economica. Saepinum continuò a vivere un discreto periodo, anche di rinnovamento edilizio, fino alla fine del IV sec. a.C. La sua popolazione continuò a sopravvivere grazie alla pastorizia, fino ad avere una battuta di arresto durante la guerra greco-gotica (535-553 d.C.) che portò, tra le conseguenze, un calo demografico e il declino della città.

Gli scavi
Gli scavi di Saepinum hanno restituito la tipica divisione in cardo e decumano con quattro porte di accesso alla città, di cui tre ancora con archi, e un Foro a pianta rettangolare, la cui pavimentazione a lastroni è ancora visibile. Il Foro era circondato da edifici pubblici, tra cui la Curia, il Capitolium e la Basilica. L’insediamento romano possedeva un Macellum (area destinata al mercato) e tre Terme, oltre al Teatro, che poteva ospitare ca. 3000 spettatori, e del quale ancora oggi sono visibili sia la scena che la platea. Vediamo qualche dettaglio.

Le mura con le torri a pianta circolare.

Le Mura
Le mura di fortificazione erano un sistema di torri elevate a cadenza regolare (35 le torri originarie) e con quattro porte di accesso in corrispondenza delle due strade principali. Le mura e le 35 torri, che a distanza regolare (100 piedi romani, pari a 29,60 m) si distribuiscono lungo il percorso, erano in opera reticolata. Vi erano incorporate 27 torri, delle quali 25 a pianta circolare e due a pianta ottagonale, in posizione perfettamente speculare, tutte collegate da un cammino di ronda che passava sulla sommità del muro. Nelle mura erano presenti numerose feritoie, per permettere agli arcieri di colpire eventuali nemici.
La cinta muraria, in opera quasi reticolata, è realizzata con calcare proveniente dal Matese. Ha uno sviluppo di 1270 m e racchiude un’area di circa 12 ettari a pianta quadrangolare. Il tracciato è interrotto da quattro porte monumentali e da una postierla del teatro oltre che da una ulteriore apertura rivenuta nel settore sud compresa tra le torri 4 e 5.

Le Porte
Le porte monumentali erano quattro e si aprivano in asse con le due arterie viarie principali:

Porta Tammaro.
Porta Bojano.
Porta Benevento.
Porta Terravecchia.
  • Porta Tammaro (lungo il lato nord-est della cinta muraria di fronte alla piana bagnata dal fiume Tammaro);
  • Porta Bojano (nel tratto nord-ovest della cinta, in direzione di Boiano);
  • Porta Benevento (sul lato sud-est della cinta muraria, in direzione di Benevento)
  • Porta Terravecchia (sul lato sud-ovest della cinta muraria, verso il Matese).

Sono concepite come archi trionfali, ad un unico fornice, con corte di sicurezza interna, controporta a doppio battente, ed affiancate da due torri circolari. Qui veniva riscosso il dazio per il passaggio e venivano controllate le greggi che transitavano. Delle quattro porte tre conservano anche l’arco o parte di esso.

Il Foro di Sepino.

Il Foro
Di età augustea e di forma trapezoidale, è situato all’incrocio tra cardo e decumano non ortogonali tra loro. È lastricato con grosse lastre di pietra calcarea disposte su 82 filari ed è circondato da un canale, l’euripo, anch’esso in calcare, che convoglia le acque smaltendole nella rete fognaria.

Il Foro copre un’area di circa 1.412 m². Un tempo circondato dagli edifici pubblici, è oggi completamente spoglio per il lavoro di distruzione a lungo operato nei secoli. I lati corti della piazza, paralleli al cardo, misurano a nord-ovest m. 29,56 e a sud-est m. 23,25, mentre i lati lunghi del trapezio misurano a nord–est, allineato al decumano, m. 53,90 e a sud-ovest m. 53,13. La piazza è lastricata a basolato di lastre di calcare disposte in piano su 82 filari paralleli.

Particolare della Fontana del Grifo.

Nel Foro sono presenti anche i resti degli edifici pubblici che su esso si affacciavano. Fra questi la Curia, il Capitolium e la Basilica che ancora possiede le venti colonne circolari in ordine ionico a fusto liscio che circondavano un peristilio.

Sono ancora esistenti resti di case, un mulino del quale rimangono le vasche, e la fontana detta del Grifo.

Il Macellum.

Il Macellum
Alle spalle della Basilica era presente il Macellum (mercato). Ha pianta trapezoidale, con ambiente centrale a pianta esagonale, pavimentato con tessere irregolari di calcare. I vani posti lateralmente sono botteghe di forma trapezoidale e rettangolare.

Al centro si trova un bacino esagonale, realizzato nel I secolo d.C. per volere di un augustale, M. Annius Phoebus. L’edificio di culto ha pianta quadrata e pronao trapezoidale. Al muro di fondo si addossa un bancone rivestito di lastre marmoree policrome, su cui probabilmente erano poste le immagini di culto. Nella pavimentazione del pronao è scavata invece una vaschetta quadrata rivestita di marmi policromi, da cui parte una canaletta coperta in direzione del decumano.

Il Teatro di Sepino.

Il Teatro
Il Teatro, di età giulio-claudia e posto nella zona nord del municipio, è l’edificio meglio conservato di Saepinum. Poteva contenere circa 3000 persone e presenta un diametro di m. 61,50 per un altro diametro di m. 53. Tutto intorno al teatro si trovano alcune ex case coloniche (oggi adibite a museo) costruite successivamente e che seguono l’andamento semicircolare della platea. Un corridoio aveva lo scopo di far defluire gli spettatori verso la città al termine dello spettacolo e qui è possibile ammirare alle pareti numerose lapidi e resti di colonne e capitelli. Della summa cavea (ossia dell’ultima fila, quella riservata alla plebe) restano soltanto pochi avanzi della muratura di sostruzione, essendo stata completamente ricoperta da una cortina di edifici: infatti, molti teatri furono sommersi dagli edifici quando il cristianesimo ne proibì l’uso in quanto fornivano spettacoli peccaminosi.

La Basilica di Sepino.

La Basilica
La Basilica, posta all’incrocio fra cardo e decumano, chiudeva il lato nord-ovest del foro con una pianta rettangolare di m. 31,60 x 20,40, divisa al suo interno da un peristilio di venti colonne a fusto liscio, quattro sui lati brevi ed otto sui lati lunghi, sormontati da capitelli di stile ionico.

Il peristilio, di venti colonne a fusto liscio, sormontate da capitelli ionici, che sostenevano un corpo sopraelevato, era a pianta rettangolare. A pianta rettangolare di m. 19,50 x 9,00, di esso è scomparsa ogni traccia pavimentazione in quanto asportata, ed è circondato da un recinto largo m. 3,60. Questo edificio fu costruito a cura di Nevio Pansa verso la fine del I sec. d.C.; danneggiata gravemente dal terremoto che colpì il Sannio nel 346 d.c., fu ristrutturata da Fabio Massimo, governatore della provincia, e dal suo successore Flavio Uranio intorno alla metà del IV secolo d.C.

La basilica verso la fine del IV-V sec. d.C. quando diventa luogo di culto cristiano, con l’aggiunta dell’abside e dei due ambienti simmetrici nell’aula laterale.

Le Terme di Sepino.

Le Terme
Dalla sommità di Porta Bojano, resa oggi accessibile da una scalinata, è possibile ammirare la maggior parte della città. A ridosso delle mura presso questa porta si trova una delle tre Terme rinvenute fino ad ora nella città, per ora scavate solo in parte. Oltre a queste Terme, ne sono state identificate altre due: una, lungo il tratto di mura che va da Porta Terravecchia a Porta Benevento, purtroppo inglobata in un casale rurale, con suspensurae (i pilastrini a sezione quadrata o circolare, di mattoni o di pietra, alti circa mezzo metro, che sorreggevano il pavimento rialzato delle sale termali romane destinate ai bagni caldi, intorno ai quali circolava l’aria calda che veniva dai forni) ancora visibili, e un’altra del II sec. d.c., posta lungo il decumano, a ridosso del lato interno della cinta muraria e affacciante sulla piazza con un porticato, anch’essa caratterizzata da ambienti a pareti curvilinee.
Di quest’ultima si è individuata una serie di ambienti con varie destinazioni: vani absidati, un praefurnium, vasche disposte in stretta successione per bagni in acque a temperature diverse.

Per ora ci fermiamo qui. Ma il viaggio continua. Nella prossima ed ultima parte, andremo a vedere altri siti archeologici del Molise: da Larino al Santuario sannitico di San Giovanni in Galdo, dal Tempio di Vastogirardi al Teatro Romano di Venafro. Vi aspettiamo tra quindici giorni.

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