Un successo dietro l’altro.
Donald Trump è in un momento di grazia e dopo aver schiacciato Joe Biden nel primo dibattito televisivo inanella un’altra importantissima vittoria: per la prima volta dalla fondazione degli Stati Uniti nel XVIII secolo, la Corte Suprema ha dichiarato che gli ex presidenti possono essere protetti da accuse penali negli atti ufficiali.
La prima conseguenza di una decisione che avrà ripercussioni non solo sulla sorte del tycoon ma negli anni a venire è che il processo per il tentativo di sovvertire il risultato delle elezioni del 2020 slitterà, quasi sicuramente, a dopo l’election day. Proprio quello a cui puntavano Trump e i suoi avvocati. “Grande vittoria per la nostra costituzione e la democrazia. Orgoglioso di essere americano!”, ha subito esultato The Donald, che è riuscito a portare a casa questo risultato fondamentale anche grazie alla maggioranza di giudici conservatori (sei su nove) da lui nominati nel massimo tribunale Usa.
Dura, invece, la reazione delle tre giudici liberal – Sonia Sotomayor, Elena Kagan e Ketanji Brown Jackson – che hanno criticato aspramente la sentenza. “I padri fondatori non l’avrebbero appoggiata, la nostra Costituzione non protegge il presidente”, ha dichiarato Sotomayor esprimendo il suo dissenso. “Questa sentenza rende il presidente un re al di sopra della legge”, ha avvertito.
Ora il caso torna nelle mani della giudice di Washington, Tanya Chutkan, che dovrà decidere se una parte delle accuse mosse dal procuratore speciale Jack Smith deve essere archiviata sulla base della distinzione dei saggi tra azioni decise nei poteri costituzionali del presidente, e quindi ufficiali, e azioni intraprese nella sua capacità privata.
Non solo, se l’ex presidente dovesse vincere le elezioni il 5 novembre potrebbe anche imporre al dipartimento di Giustizia di archiviare il procedimento e lasciar cadere le accuse, come potrebbe concedersi la grazia. Galvanizzato da questa vittoria – che arriva in un momento cruciale della campagna con la convention repubblicana e la sentenza di condanna per il caso dei pagamenti alla pornostar Stormy Daniels tra dieci giorni – il tycoon chiede “la fine della caccia alla streghe” per tutti gli altri casi che lo riguardano. Sul fronte democratico l’atmosfera non potrebbe essere più diversa. Nonostante il tentativo di ostentare tranquillità con una copertina sulla più patinata delle riviste americane, Vogue, la famiglia Biden sta vivendo le sue ore più buie tra accuse e scelte difficili.
Da una parte infatti, Jill e il resto del clan starebbero implorando il presidente di resistere alle pressioni e rimanere al suo posto. Dall’altra è cominciata la resa dei conti contro i principali consiglieri della campagna – Ron Klain, Anita Dunn e Bob Bauer – colpevoli secondo la famiglia e alcuni donatori di non aver preparato adeguatamente il commander-in-chief sovraccaricandolo di numeri e statistiche. La decisione della Corte Suprema sull’immunità ha contribuito ad aggravare ulteriormente la tensione nel campo dem. “La sentenza non cambia quello che è successo il 6 gennaio: Donald Trump ha incoraggiato una folla a rovesciare i risultati di un’elezione libera ed equa”, recita una nota dello staff. “Trump è candidato alla presidenza pur essendo un criminale condannato per la stessa ragione per cui è rimasto seduto a guardare mentre la folla attaccava violentemente Capitol Hill: pensa di essere al di sopra della legge ed è disposto a fare qualsiasi cosa per ottenere e mantenere il potere”, ha attaccato la campagna. Ma più che continuare a screditare l’avversario, la priorità di Biden e i suoi in questo momento è fermare l’emorragia dei donatori: per questo non solo i suoi consiglieri hanno trascorso il weekend al telefono ma lo stesso Biden ha in programma nelle prossime ora una chiamata con i principali finanziatori per convincerli a continuare a puntare su di lui.
La sentenza per il esperti rallenterà il processo
La sentenza della Corte suprema Usa sull’immunità parziale di Donald Trump nel processo per l’assalto al Capitol fa tornare il caso nelle mani della giudice Tanya Chutkan, che dovrà decidere se una parte delle accuse deve essere archiviata sulla base della distinzione dei nove saggi tra azioni decise nei poteri costituzionali del presidente e azioni intraprese nella sua capacità privata. Questo comporterà, secondo gli esperti, un ulteriore slittamento dei tempi del dibattimento, sicuramente oltre l’election day del 5 novembre.
Fonte: ANSA.IT