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Asti Lirica 2024 – La vedova allegra.

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domenica, Ottobre 6, 2024

Il dato, davvero incoraggiante, che si aggiunge alla qualità e al variegato ventaglio delle proposte offerte da Asti Lirica, è l’affluenza di pubblico, che ha fatto registrate serate di sold out che forse nemmeno gli organizzatori si sarebbero aspettati. Infatti, dopo Il barbiere di Siviglia di Rossini, del quale si è già riferito (vedi link), la rassegna astigiana ha concluso felicemente il suo percorso estivo al Teatro Alfieri con La vedova allegra di Franz Lehár. Ci sarà ancora un appuntamento a metà settembre, quando il tenore Fabio Armiliato (già in passato insignito ad Asti del Premio Aureliano Pertile) presenterà la sua autobiografia appena pubblicata; nel contempo verrà anche annunciato il titolo che andrà in scena il prossimo inverno (l’anno passato fu Tosca), così da garantire quella continuità di programmazione che fa ben sperare per il futuro della lirica ad Asti.

Prima di arrivare a riferire dell’operetta, Asti Lirica ha nel frattempo proposto diverse serate concertistiche di qualità, a partire da quella del 27 giugno, nel bel cortile del Palazzo del Michelerio, suggestivamente illuminato da candele che hanno fatto da corona a una serata dedicata a Giacomo Puccini nell’anno del centesimo anniversario della morte. Alla sicura bacchetta di Stefano Giaroli, alla testa dell’Orchestra delle Terre Verdiane, il compito di accompagnare tre voci di valore: Diego Cavazzin, tenore di solida tenuta che, come si suol dire, ha gli acuti in tasca e li sfoggia con sicurezza (il suo “Nessun dorma” ne è la prova), la fascinosa e Ksenia Bomarsi, soprano di bel timbro e garbata musicalità e, soprattutto, la promettentissima Martina Gresia, soprano dalle arcate sonore morbide, quasi belcantistiche, qui messa alla prova in pagine come “Un bel dì vedremo”, “Sì. Mi chiamano Mimì e “Vissi d’arte” nelle quali si è messa in luce per il bel fraseggio oltre che per il colore pastoso e avvolgente. Serata di buona musica, introdotta con garbo e simpatica aneddotica da Sabino Lenoci (direttore della rivista L’Opera).

Ancor più sorprendente il risultato ottenuto dall’appuntamento del 3 luglio, che ha visto l’inaugurazione del Battistero di San Pietro, restaurato e aperto al pubblico per un doppio concerto: il primo di musica barocca, “Tra sospiri e furori d’amore”, con un programma monteverdiano ed händeliano che ha visto imporsi Gustavo Argandoña, controtenore che, in “Fammi combattere” da Orlando di Händel, sgrana agilità come scartar caramelle e poi incanta per il saggio utilizzo delle messe di voce nell’aria di Bertarido “Dove sei, amato bene?” da Rodelinda di Händel. Non gli è da meno il soprano Chiara Pontoriero, fascinosissima e dalla voce luminosa e sonora, oltre che stilisticamente irreprensibile nelle esecuzioni limpidissime di “È un foco quel d’amore” da Agrippina e in “V’adoro pupille” da Giulio Cesare in Egitto di Händel. Le due voci sono state accompagnate dal giovane ensemble barocco Les arches du roi (Michele Alzati, violino primo, Riccardo D’Ariano, violino, Silvia Rossi, viola e Anna Sakharova, violoncello) condotto dal bravo clavicembalista Alessandro Tonietti, esibitosi anche come voce nella seconda parte della serata, intitolata “Armonie celesti”, con il coro Novharmony in un raffinato programma polifonico che spaziava dalla musica antica e quella contemporanea.

La sera successiva, al Teatro Alfieri, ancora pienone di pubblico per l’esecuzione dei noti Carmina Burana di Carl Orff, preceduti dal breve Requiem di Puccini proposto in omaggio al decimo anniversario della scomparsa di Giorgio Faletti, attore e scrittore che fu sempre legatissimo alla sua Asti. Per i Carmina Burana, in coproduzione con l’Opera Giocosa di Savona, diretti con grande trasporto e controllo da Giovanni Di Stefano, che ha guidato una compagine corale vastissima (il Coro FilHarmonia) e ha dato ritmo sonoro avvincente alla versione per due pianoforti (suonati dai bravi Gianluca Ascheri e Andrés Jesús Gallucci) e percussioni, i tre solisti erano il baritono Matteo Loi, il tenore Raffaele Feo e la voce radiosa e svettante in acuto del soprano Irene Celle.

Ed eccoci alla Vedova allegra che, come detto, è stata accolta con entusiasmo al Teatro Alfieri nella bella produzione con la regia di Alessandro Brachetti, che ha interpretato anche la parte di Njegus con attorialità spigliata e con quella conoscenza del ruolo che gli è garantita dalle tante recite affrontate nel tempo. Sul podio dell’Orchestra delle Terre Verdiane ancora il maestro Stefano Giaroli, che ha diretto con il giusto spirito un’operetta che, come modello emblematico dell’operettismo austro-ungarico, è contrassegnata da una struggente malinconia, da un sentimentalismo e da un erotismo insinuante mascherato sotto la patina brillante dell’evasione. Più che la malinconia, in questo spettacolo con le scene di Arte Scenica R. Emilia, dall’impianto pressoché fisso in stile rococò, formato da preziosi pannelli in stucco, arricchito dai costumi colorati e finemente elaborati da Artemio Cabassi, prevale il divertimento, il susseguirsi dei dialoghi animati da una compagnia di cantanti-attori magari non sempre precisi nel canto, ma ben affiatati. A eccezione del vocalmente problematico Camille de Rossillon di Imanol Laura e dal Danilo un po’ intimidito di Antonio Colamorea, si apprezza la voce della protagonista, l’Hanna Glavari di Renata Campanella, abile nel dar rilievo al coté delle primadonna senza per questo esasperarlo, scaltramente consapevole, nella eleganza dei modi e dei gesti, del potere della sua ricchezza, alla quale tutti mirano; lei stessa deve essere attenta nel far capire quanto il denaro tanto possa per il futuro del proprio Paese, il Pontevedro sull’orlo della bancarotta, ma deve anche essere abile nel cogliere quel velo di malinconica che la rende sola, quasi schiacciata delle lusinghe di un mondo di opportunisti adulatori e di tradimenti incrociati, veri o presunti tali, fino al momento in cui l’amore sincero non la libererà dalla solitudine della sua ricca vedovanza. A far la parte del leone sono gli interpreti che danno vita, nella recitazione, ai divertenti quadretti dialogici ricchi di gustosi fraintendimenti e di doppi sensi, che trovano nel già citato Njegus di Alessandro Brachetti un interprete di scatenata simpatia, affiancato dalla sicura spalla di Fulvio Massa nei panni del Barone Mirko Zeta. Brava anche Scilla Cristiano (Valencienne), Silvia Felisetti (Olga Kromov), Francesco Mei (Capitano Kromov) e Domenico Poziello (Visconte de Cascada), giovane cantante di musical al suo ottimo debutto nell’operetta.
Una serata piacevole e godibile, che forse non meriterebbe un giudizio finale così generoso, ma che, alla luce delle proposte concertistiche sopra esposte, fa premiare Asti Lirica con una valutazione di merito ascrivibile anche all’impegno che l’assessorato alla cultura del Comune di Asti, guidato da Paride Candelaresi, ha profuso per il ritorno della musica lirica ad Asti, coadiuvato dall’intelligente e determinante direzione artistica di Renato Bonajuto.

Alessandro Mormile

Fonte: CONNESSIALLOPERA.IT

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