Frosinone, Cosenza e Messina non sono le solite aree del Paese che compaiono ai primi posti quando si parla di statistiche immobiliari, che si tratti di compravendite, di prezzi o di valore degli immobili. Sono invece nelle prime tre posizioni nella classifica delle province con più case fatiscenti. E le statistiche mostrano un trend a livello nazionale in continuo aumento, che tocca anche grandi città come Roma, Napoli, Palermo. Se nel 2011 gli immobili in rovina erano “solo” 278mila, oggi superano le 620mila unità: 342mila in più (+123%). Sono dati che per Confedilizia disegnano una “mappa del disagio economico, sociale e demografico” dell’Italia. E fotografano anche uno spopolamento di piccoli borghi: un fenomeno che per essere contrastato avrebbe bisogno almeno di un esenzione dell’Imu nei piccoli comuni sotto i 3mila abitanti, che favorisca il recupero di queste aree.
La mappa delle case fatiscenti fotografa una grande disomogeneità territoriale. Prendiamo il caso della provincia di Frosinone, leader di questa infelice classifica. Lì gli immobili in rovina sono quasi 32mila, circa sei volte in più di quelli presenti nella vicina Città metropolitana di Roma Capitale, che ne ha poco meno di 6mila. Nel cosentino e nel messinese se ne contano rispettivamente 23 mila e 18.500, mentre nella provincia di Milano solamente 1.764. Ovviamente il dato si inverte se si analizza il numero delle abitazioni civili più diffuse, quelle di categoria A/2. In provincia di Roma ce ne sono 1 milione e 129mila, quasi dieci volte in più che nel frusinate, 128.948.
Le 620 mila case fatiscenti presenti in Italia sono concentrate soprattutto nelle aree più rurali e marginali d’Italia. Oltre alle province di Frosinone, Cosenza e Messina, ai primi posti vi sono anche quelle di Torino, Cuneo, Foggia, Reggio Calabria, Lecce e Benevento, dove ruderi e immobili diroccati sono, in ognuna di esse, tra i 14mila e i 16mila. “Si tratta – spiega Confedilizia – di zone del Mezzogiorno e di aree della regione del Nord in cui la montagna ha sofferto il maggiore declino economico e demografico, il Piemonte”.
Tuttavia l’elemento più indicativo è probabilmente la crescita nel tempo delle cosiddette unità collabenti (cioè le case obsolete, oppure con il tetto crollato o parzialmente demolite, quando non addirittura ruderi). Gli incrementi più significativi di case fatiscenti dal 2011 si sono verificati nel ferrarese (+362%). Poi gli aumenti maggiori sono stati quelli delle province di Agrigento, Avellino, Foggia e Mantova. In tutti questi casi c’è stata quasi una quadruplicazione del numero di case fatiscenti.
Ma anche nelle grandi città il dato delle case diroccate è in aumento. Napoli nel 2011 ne aveva 225, oggi ne ha 707, oltre il triplo, ma decisamente meno dei 3.810 di Palermo. Incremento ancora più alto a Roma, passata in dodici anni da 459 a 1.820 immobili fatiscenti. Tra le grandi città solo Milano è in controtendenza, con un aumento relativamente basso: da 280 a 366.
Per invertire la tendenza Confedilizia chiede di esentare dal pagamento dell’Imu gli immobili situati in Comuni con meno di 3mila abitanti. Il costo? 800 milioni. Ma sarebbe anche possibile esentare totalmente i soli immobili ‘collabenti’, che ora possono usufruire di uno ‘sconto’ del 50% dell’Imu: in questo caso l’onere sarebbe di soli 5 milioni di euro.
L’organizzazione dei proprietari di casa attribuisce all’introduzione dell’imposta municipale unica l’impennata di case fatiscenti, che nel 2011 non era ancora in vigore. Se nel caso dei ruderi l’aumento è stato, come detto, del 123%, “gli immobili di categoria A, tra il 2011 e il 2023 sono saliti solo del 6,5%, da 33 milioni e 429 mila a 35 milioni e 593 mila”, conclude Confedilizia.
Fonte: ansa.it