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Addio a Totò Schillaci, grazie per le Notti Magiche.

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Fu “Un’ estate italiana” quella del 1990, dal titolo della canzone meglio nota come “Notti Magiche” che porta la firma di Gianna Nannini, Edoardo Bennato e Giorgio Moroder, ma anche quella non musicale di Salvatore “Totò” Schillaci. Il volto dei mondiali, l’uomo simbolo di una Nazionale e di un sogno troppo bello per essere realizzato: vincere, otto anni dopo il 1982, e per di più a casa nostra. Si è spento ieri all’età di 59 anni per una recidiva di un tumore al colon. Per i pochi anni in cui ha incantato la Serie A ha portato in campo un calcio fatto di rovesciate, punizioni dalla distanza e guizzi in area di rigore che i difensori non erano in grado di leggere e prevedere. Un attaccante per il quale oggi si può spendere la fatidica espressione, ormai inflazionata, “aveva il fiuto per il gol”.

Totò Schillaci

Dal Messina ad eroe-mondiale

Nato a Palermo il 1 dicembre del 1964, si era sposato due volte, con Rita e poi con Barbara e aveva avuto tre figli, Jessica, Mattia e Nicole. Nel 1982, quando l’Italia vinceva il Mundial in Spagna, lui stava festeggiando a Messina arrampicato su un autobus e sognava di vedere -solo di vedere- una partita della Nazionale allo Stadio. Otto anni dopo quella maglia azzurra la indossava inseguendo il traguardo più abito da ogni calciatore. La sua carriera calcistica iniziò proprio nel capoluogo siciliano, all’AMAT, la squadra del servizio di trasporto pubblico della città che, quando era solo un bambino rifiutò di cederlo ai rosanero per 28 milioni di lire. Nel 1982 salutò la sua città natale, dove oggi sorge una scuola calcio che porta il suo nome, e si diresse in Serie C2 al Messina, iniziava la sua esperienza da professionista. Sotto la guida di Franco Scoglio contribuirà alla promozione in Serie B, segnando 11 reti nella stagione 1985/86 e anche al consolidamento della squadra nella serie cadetta (in cui rimarranno fino al 1992). “Aveva una voglia di fare gol che non avevo mai visto” diceva di lui l’allenatore, ma la vera trasformazione la ebbe quando sulle rive dello stretto arrivò Zdenek Zeman. Portatore di un calcio nuovo e a suo modo unico, l’allenatore boemo diede il via ad una stagione trionfale per l’attaccante, che andando a segno in 23 occasioni divenne il capocannoniere del campionato cadetto. A quel punto Nicolò Napoli, siciliano come lui, convinse Boniperti a versare 6 miliardi di lire nelle casse del Messina per far vestire a Totò la maglia della Juventus, era l’estate del 1989 e all’orizzonte già si intravedevano le notti magiche Italia 90.

Totò Schillaci

In quel primo campionato di Serie A Schillaci segnò 15 gol, quanto bastava per convincere il ct Azeglio Vicini a convocarlo per i mondiali in casa. Doveva essere una riserva, il posto da titolare sarebbe dovuto andare ad Andrea Carnevale, ma le gerarchie mutarono già dopo la prima partita contro l’Austria. A Totò bastarono 4 minuti dal suo ingresso in campo per raccogliere un cross di Vialli e sbloccare l’incontro, il resto è storia. Sei reti portarono la sua firma in quel mondiale, sufficienti per laurearsi Scarpa d’Oro e per piazzarsi al secondo posto del pallone d’oro alle spalle di Matthaus. Cecoslovacchia, Uruguay, Irlanda, Inghilterra e Argentina, sì proprio l’albiceleste che ci eliminò, furono le altre cinque vittime di Schillaci. La rete contro Maradona al San Paolo aveva illuso gli italiani che si erano trovati ad un passo dalla finale di Roma prima di vedere le loro speranze infrante da un errore in uscita di Zenga e dalla lotteria dei rigori. Era iniziata la maledizione del dischetto che venne interrotta poi solo nel 2006. Schillaci non figurava tra i rigoristi, aveva accusato un fastidio all’adduttore e dopo 120 minuti di gioco non riusciva a camminare. Sbagliarono Donadoni e Serena, gli argentini tornarono a Roma per perdere il mondiale contro i tedeschi a causa di un rigore realizzato da Brehme all’85esimo minuto. L’Italia si “consolò” vincendo a Bari la finale per il terzo posto contro l’Inghilterra; segnarono Totò e Baggio, una coppia incredibile che ha anche vissuto alcuni momenti di astio reciproco. Una volta, mentre Schillaci leggeva il giornale, il Divin codino stava cercando di infastidirlo tirando dei calcetti all’aria vicino alla sua testa, cosa che fece perdere la calma a Totò il quale si alzò e colpì il compagno di squadra con una testata. “Mi è dispiaciuto tantissimo, è stato solo un episodio che va cancellato” dichiarò anni dopo, con toni rilassati, in un’intervista alla Gazzetta. Dopo il Mondiale iniziò un lento declino che lo portò all’Inter (dove comunque sengò nel 1992 undici reti) e a diventare il primo italiano nel campionato giapponese. A convincerlo fu la Yamaha, l’azienda motociclistica che nel decennio successivo, per i risultati nel motomondiale legò il suo nome ad un altro italiano, Valentino Rossi. La compagnia giapponese già da tempo aveva fondato una squadra di calcio, la Jubilo Iwata che diede a Schillaci gli ultimi anni di carriera. Di Totò resterà il ricordo di un trionfo sfiorato e del dolce sapore della sorpresa; nell’estate italiana del Novanta avevamo scoperto un fenomeno, un attaccante puro che, come il suo collega di reparto Roberto Baggio, meritava di alzare la coppa più prestigiosa.

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