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Acqua: in agricoltura utilizzati ogni anno 17 miliardi di metri cubi.

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L’Italia resta in forte ritardo negli obiettivi fissati al 2030 per una gestione sostenibile dell’acqua. A lanciare l’allarme è Legambiente che oggi a Roma ha tenuto il VI Forum Acqua organizzato in collaborazione con Utilitalia e incentrato quest’anno sul rapporto tra acqua e agricoltura.

“L’acqua – commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – è una risorsa vitale ma anche sempre più scarsa a causa di stress idrico e siccità. Per questo è fondamentale utilizzarla meglio e meno e in questa partita l’agricoltura ha un ruolo strategico. Occorre, perciò, mettere al primo posto l’agroecologia e le buone pratiche agroecologiche che, al contrario dell’agricoltura intensiva e della monocultura, ci permettono di utilizzare meno acqua rispondendo al meglio alla crisi climatica, agli eventi meteo estremi, all’abbassamento delle falde e ai fenomeni di desertificazione a cui stiamo assistendo in modo sempre più frequente. Per mettere a sistema il grande potenziale del comparto agricolo, bisogna unire interventi di economia circolare, innovazione tecnologica, prevenzione, promuovere colture meno idroesigenti, il recupero delle acque reflue depurate in agricoltura, diffondere la produzione di biologico e dare attuazione anche alle progettualità già previste dal PNRR sul risparmio idrico in agricoltura. Così potremmo avere un’agricoltura più sostenibile, più attenta alla qualità dei suoi prodotti, e più preparata a fronteggiare la crisi climatica”.

Consumo di acqua in agricoltura: i numeri

Nel nostro Paese il comparto agricolo consuma troppa acqua, rappresentando il 57% del totale dei prelievi d’acqua, seguito da usi civili (31%) e industriali (12%). Solo il 4,6% dei terreni irrigati utilizza acque reflue depurate e c’è poca attenzione nel recupero delle acque piovane. Preoccupa inoltre l’utilizzo di fertilizzanti e pesticidi nei campi agricoli che incidono anche sulla qualità della risorsa, così come la presenza di microplastiche.

Secondo gli ultimi studi disponibili di Ispra, sono state trovate 183 diverse sostanze inquinanti nel 55,1% dei punti di monitoraggio in acque superficiali e nel 23,3% di quelli in acque sotterranee, per la maggior parte erbicidi, principalmente Glifosato e dal suo metabolita AMPA.

Gli effetti della crisi climatica 

Negli ultimi quattro anni, dal 2021 al 20 settembre 2024, secondo i nuovi dati dell’Osservatorio Città Clima di Legambiente, si sono registrati 96 eventi meteo estremi legati all’acqua che hanno colpito il comparto agricolo. La maggior parte dei danni sono dovuti a grandinate (58%), siccità (27%), allagamenti (10%) e alle esondazioni fluviali (4%). Le regioni più colpite: Piemonte, Veneto, Puglia, Emilia-Romagna e Sardegna.

Agricoltura 4.0

Eppure l’agricoltura ha un grande potenziale inespresso legato all’agroecologia e alle buone pratiche, all’agricoltura 4.0 e al recupero e riutilizzo delle acque reflue depurate e a quelle piovane su cui per Legambiente è urgente lavorare. Lavorando su queste “aree di intervento”, il comparto agricolo sarebbe più sostenibile, consumerebbe meno acqua e sarebbe più resiliente alla crisi climatica. Occorre infatti puntare sul cambiamento del modello agricolo e passare da quello intensivo basato sulla chimica e la monocultura a quello agroecologico che riduce l’utilizzo della risorsa idrica attraverso piante meno idroesigenti, aumento della sostanza organica nei suoli e buone pratiche colturali. L’agroecologia, capace di coniugare sostenibilità ambientale e innovazione, con un’attenzione particolare alla salute del consumatore, secondo uno studio italo-francese, può portare importanti benefici socioeconomici.

L’agricoltura 4.0 garantirebbe l’ottimizzazione dei processi produttivi migliorando la qualità dei prodotti, l’irrigazione a goccia (o di precisione), permetterebbe la riduzione del consumo di acqua stimato tra il 40% e il 70%; mentre il recupero e il riutilizzo delle acque reflue e depurate in agricoltura, stando ai dati di Utilitalia, potrebbe coprire fino al 45% della domanda irrigua in Italia. Se opportunamente trattata, dai depuratori esce un potenziale di 9 miliardi di m³ all’anno di acqua ricca di nutrienti. Una risorsa preziosa su cui il Paese dovrebbe puntare dandosi degli obiettivi di crescita con un riutilizzo in agricoltura del 20% delle acque reflue depurate entro il 2025, il 35% entro il 2027 e il 50% entro il 2030. Serve anche colmare allo stesso tempo i ritardi normativi che ne rallentano la diffusione come quelli relativi alla redazione del Decreto Presidente della Repubblica (D.P.R.) che ne regolamenterà il riutilizzo delle acque reflue trattate per i molteplici usi irrigui, industriali civili e ambientali e su cui Legambiente chiede di accelerare il passo. E poi c’è la questione del recupero e riutilizzo delle acque piovane, un potenziale importante, su cui serve una visione strategica capillare sul territorio che favorisca l’accumulo e la reimmissione in falda e che avrebbe anche l’effetto di mitigare e ridurre i danni di eventi meteo estremi.

“Il comparto delle utilities e quello agricolo – spiega Filippo Brandolini, presidente di Utilitalia – possono cooperare in maniera sempre più stretta per fornire risposte sostenibili alle sfide dell’adattamento al cambiamento climatico: il riuso delle acque depurate rappresenta un tassello importante insieme alla costruzione di invasi a uso plurimo, all’utilizzo dei fanghi di depurazione e dei rifiuti organici come fertilizzanti, fino al recupero del fosforo e alla produzione di biometano. Il riuso delle acque reflue depurate in agricoltura è una soluzione che dovrebbe diventare strutturale applicando all’acqua, laddove economicamente sostenibile, gli stessi principi dell’economia circolare. I gestori sono pronti a fare la propria parte, considerando che il nostro Paese ha depuratori di ottima qualità: auspichiamo una pubblicazione tempestiva dell’aggiornamento del DM 185/2003 alle disposizioni del Regolamento europeo 2020/741. È, inoltre, necessario individuare misure incentivanti anche per la copertura dei costi connessi alla realizzazione e gestione degli impianti e delle infrastrutture necessarie”.

Appello al governo

Al VI Forum Acqua Legambiente lancia un appello e un pacchetto di quattro proposte al Governo Meloni e che hanno al centro l’agroecologia e le buone pratiche agricole che, unite all’innovazione del settore, favoriscono anche monitoraggio e tecniche irrigue più efficienti.

  1. Investire sul paradigma agroecologico e sull’innovazione tecnologica, che sviluppa e impiega nuove tecnologie per il monitoraggio in tempo reale della qualità e della quantità usata dell’acqua e per la diminuzione dell’impiego di sostanze chimiche in agricoltura.
  2. Adottare strategie per la mitigazione degli input chimici favorendo le buone pratiche agricole quali le rotazioni, la pacciamatura e l’inerbimento, l’incremento della fertilità dei suoli, l’utilizzo di cultivar meno idroesigenti, l’agricoltura biologica e quella integrata di alto livello, che consentono di ridurre l’uso di pesticidi, con un’attenzione anche sulla dispersione dei rifiuti agricoli in plastica. In quest’ottica è utile anche rafforzare il monitoraggio delle risorse idriche unendo alle rilevazioni biochimiche anche le innovative tecniche di biomonitoraggio.
  3. Incentivare il recupero e il riutilizzo delle acque reflue depurate per l’irrigazione agricola, efficientando la depurazione delle acque reflue, valorizzandole come risorsa e permettendone il completo riutilizzo in settori strategici come l’agricoltura, velocizzando la redazione del Decreto Presidente della Repubblica (D.P.R.) che ne regolamenterà il riutilizzo per i molteplici usi irrigui, industriali civili e ambientali, armonizzando la normativa vigente e permettendo ai gestori un quadro normativo stabile e coerente.
  4. Sul lato della governance, si ribadisce l’importanza di avere una regia unica della risorsa idrica a partire delle Autorità di bacino distrettuale garantendo la sinergia tra tutti  i settori di utilizzo della risorsa con l’obiettivo di arrivare ad una pianificazione degli usi che diminuisca innanzitutto e non aumenti la domanda di acqua; sulla base di questo è necessario regolamentare la tariffazione di conseguenza e aggiornare i canoni di derivazione anche per l’uso irriguo, basati sulla reale disponibilità della risorsa idrica e determinati tanto dalla tipologia di coltura quanto dalla modalità di coltivazione.

Fonte: lanuovaecologia.it

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