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Pompei, nuova scoperta smentisce decenni di ipotesi sui rapporti tra gli abitanti.

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Nuove scoperte da Pompei potrebbero cambiare la nostra conoscenza sul grande sito archeologico. Un recente studio condotto da ricercatori dell’Università di Firenze, dell’Università di Harvard e dell’Istituto Max Planck di Lipsia ha utilizzato l’analisi del DNA antico per rivedere le interpretazioni tradizionali riguardanti gli abitanti di Pompei, sepolti durante l’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. I risultati hanno rivelato una sorprendente varietà di genere e parentela, contraddicendo le assunzioni basate solo sull’aspetto fisico e sulla posizione dei resti.

Sin dall’Ottocento, i calchi, attraverso il metodo messo a punto all’epoca da Giuseppe Fiorelli, venivano realizzati versando gesso nei vuoti lasciati da questi corpi dopo la loro decomposizione. Il team di ricerca ha estratto il DNA dai resti scheletrici incorporati in 14 di 86 calchi sottoposti a restauro. Questo processo di estrazione ha permesso agli studiosi di stabilire con precisione relazioni genetichedeterminare il sesso e tracciare l’ascendenza. È interessante notare che le scoperte hanno spesso contraddetto le precedenti ipotesi basate esclusivamente sull’aspetto fisico e sul posizionamento dei calchi.

I dati genetici hanno anche fornito informazioni sulla discendenza dei pompeiani, che avevano background genomici diversi. La scoperta che discendevano principalmente da immigrati recenti dal Mediterraneo orientale evidenzia la natura cosmopolita dell’Impero romano. L’analisi ha mostrato inoltre che le interpretazioni tradizionali, come l’associazione di gioielli con la femminilità o la prossimità fisica come prova di legami familiari, sono errate. Ad esempio, un adulto con un bracciale d’oro e un bambino, inizialmente considerati madre e figlio, si sono rivelati un maschio adulto non imparentato con il bambino.

I risultati suggeriscono che l’integrazione dei dati genetici con quelli archeologici e storici è fondamentale per evitare fraintendimenti basati su assunzioni moderne. I risultati, pubblicati il 7 novembre sulla rivista scientifica Current Biology, rivelano dunque che alcune delle storie raccontate per decenni sui sessi degli individui e sulle relazioni familiari, che si basavano sull’aspetto fisico dei calchi e su altre prove archeologiche, non sono corrette o non sono così semplici come si crede.

Il Parco di Pompei include da anni nei suoi protocolli di studio l’analisi del DNA antico di esseri umani e animali, integrando altri tipi di dati per formare un’interpretazione completa e aggiornata dei reperti archeologici del sito e per sviluppare nuovi metodi di ricerca che favoriscano la comprensione del passato. Questo studio rappresenta dunque un cambiamento significativo nella comprensione della vita a Pompei e sottolinea l’importanza dell’analisi del DNA nell’archeologia.

Dichiarazioni

“Questo studio”, ha detto David Caramelli, docente di Antropologia all’Università di Firenze, “dimostra quanto l’analisi genetica possa arricchire notevolmente narrazioni elaborate sulla base di dati archeologici. Queste scoperte sfidano interpretazioni di lunga data, come l’associazione dei gioielli alla femminilità o l’interpretazione della vicinanza fisica come indicatore di relazioni biologiche. Ugualmente, i dati genetici complicano le semplici narrazioni di parentela: nella Casa del Bracciale d’Oro, che è l’unico sito per il quale abbiamo dati genetici di più individui, i quattro individui comunemente interpretati come genitori e i loro due figli, in realtà non sono geneticamente imparentati”.

“I dati scientifici che forniamo non sempre sono in linea con le ipotesi comuni”, ha spiegato David Reich dell’Università di Harvard. “Un esempio degno di nota è la scoperta che un adulto che indossava un braccialetto d’oro e il bambino che teneva in braccio, tradizionalmente interpretati come madre e figlio, sono risultati essere un maschio adulto e un bambino non imparentati. Allo stesso modo, una coppia di individui che si pensava fossero sorelle, o madre e figlia, in realtà include almeno un maschio genetico. Queste scoperte sfidano le ipotesi tradizionali”.

“I nostri risultati hanno implicazioni significative per l’interpretazione dei dati archeologici e la comprensione delle società antiche”, ha affermato Alissa Mittnik, del Max Planck di Lipsia. “Evidenziano l’importanza di integrare i dati genetici con le informazioni archeologiche e storiche per evitare interpretazioni errate basate su ipotesi moderne. Questo studio sottolinea anche la natura diversificata e cosmopolita della popolazione di Pompei, che riflette modelli più ampi di mobilità e scambio culturale nell’Impero romano”.

“Inoltre”, ha aggiunto David Caramelli, “è possibile che lo sfruttamento dei calchi come veicoli per la narrazione abbia portato alla manipolazione delle loro pose e del loro posizionamento da parte dei restauratori in passato. I dati genetici, insieme ad altri approcci bioarcheologici, offrono l’opportunità di approfondire la nostra comprensione delle vite e dei comportamenti delle persone che furono vittime dell’eruzione del Vesuvio”.

Il Direttore del Parco di Pompei, Gabriel Zuchtriegel, conclude dicendo che “le analisi del DNA antico sono ormai da anni parte dei protocolli di studio del Parco di Pompei, e non solo per quello che riguarda le vittime umane: altre linee di ricerca riguardano, ad esempio, le vittime animali. Allo stesso modo, il Parco, attraverso il laboratorio di ricerche interno, coordina una serie di progetti di ricerca relativi alle analisi isotopiche, alla diagnostica, alla geologia e alla vulcanologia, e non ultima la reverse engineering”.

Fonte: finestresullarte.info

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