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AGENZIA DELLE ENTRATE SOTTO SCACCO, RISCHIO “DEFAULT FISCALE”

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SIMONTACCHI STEFANO – Sole 24 Ore dell’ 8 luglio 2015 – Articolo di Fondo pag. 1

SOLE 24 ORE
Fondo dell’8 luglio 2015

AGENZIA DELLE ENTRATE SOTTO SCACCO, RISCHIO “DEFAULT FISCALE”

Il Governo, con apprezzabile determinazione e pragmatismo, ha appena varato i decreti che danno attuazione alla delega fiscale. Come già rilevato da Salvatore Padula su queste pagine lo scorso 27 giugno, è un primo passo e non certo il punto di arrivo.
La nota più positiva è senza dubbio il fil rouge che caratterizza plurimi interventi normativi e che consiste nella strategia di agevolazione degli investimenti nel nostro Paese.

Questi provvedimenti (cooperative compliance, patent box, interpello su nuovi investimenti, accordi preventivi per le imprese con attività internazionale) presuppongono una forte e costante interazione tra contribuente e Agenzia delle entrate.

Risulta quindi evidente che per favorire gli investimenti (soprattutto quelli esteri) il ruolo che deve essere assunto dall’Agenzia delle entrate riveste, tra gli altri fattori di contesto, rilevanza centrale. L’attività dell’Agenzia è anche determinante ai fini della modifica del rapporto fisco-contribuente che è funzionale al perseguimento della certezza del diritto voluto dal Governo e necessario per le imprese operanti in Italia.

L’Agenzia delle entrate dovrebbe quindi essere legittimata, in modo da potere proseguire nel processo di riorganizzazione interna finalizzato a valorizzare il merito e i comportamenti di cooperazione con i contribuenti.

Cosa sta invece succedendo, proprio in questo momento? Che l’Agenzia è sotto scacco per effetto del combinato disposto di sentenze avverse e inerzia del sistema. In assenza di un intervento decisivo, figlio di una precisa volontà politica, entro pochi giorni non solo l’operatività dell’Agenzia sarà definitivamente compromessa, ma verrà quasi completamente disperso un patrimonio di competenze la cui ricostituzione richiederà anni (che non abbiamo!).

La sentenza della Corte Costituzionale n. 37/2015, che ha determinato la decadenza dall’incarico dirigenziale dei funzionari incaricati delle agenzie fiscali, ha privato la struttura amministrativa dell’impulso direttivo della maggior parte delle risorse più competenti e con maggiore esperienza che erano state assegnate a rilevanti incarichi di direzione e coordinamento.
Da aprile 2015 l’organigramma dell’Agenzia ha visto scomparire quasi tutti i dirigenti. Nella sola Direzione Regionale della Lombardia, ad esempio, cinque figure hanno la responsabilità di 20 posizioni dirigenziali, ci cui ben 15 ad interim! È facile comprendere come questa situazione abbia creato lo sconcerto negli investitori esteri e come l’assenza di interlocutori legittimati comprometta i normali rapporti tra le imprese, i cittadini e l’amministrazione finanziaria.

Con l’obiettivo di limitare i danni, alcuni funzionari destituiti dall’incarico dirigenziale (con conseguente e improvvisa penalizzazione economica) hanno finora continuato ad operare mediante il conferimento di deleghe di firma.
Questa situazione precaria è stata definitivamente compromessa dalla pronuncia resa dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 2842/01/2015 che, oltre a dichiarare nullo l’atto di accertamento sottoscritto da un funzionario revocato, ha anche indicato la necessità di informare (a) la Procura della Corte dei Conti per eventuali responsabilità per danno erariale e (b) la Procura della Repubblica per eventuali rilievi penali: un grave precedente, che sta già inducendo numerosi dirigenti a rimettere le deleghe di firma.
Se tale processo non viene arrestato, gran parte dell’attività dell’Agenzia delle entrate sarebbe compromessa per un lungo periodo, con un danno per il Paese dalle conseguenze irreparabili (fra cui il rischio di perdere il gettito della voluntary disclosure).
È intellettualmente disonesto chi ritiene di approfittare di questa situazione per attaccare strumentalmente l’amministrazione finanziaria ed il suo operato. Il contesto deteriorato in cui si è sviluppata la materia fiscale nel nostro paese è da attribuirsi ad un concorso di colpa: dei cittadini e delle imprese – per il basso livello di adempimento – dei governi – per la sistematica assenza di un disegno strategico di ampio respiro – e dell’Amministrazione finanziaria (di cui l’Agenzia delle entrate è parte) – per un approccio talvolta “aggressivo” e poco collaborativo. Un classico esempio di circolo vizioso, giunto ad un punto in cui l’identificazione dei rapporti causa-effetto perde di senso: non è più tempo per analisi retrospettive e recriminazioni di sorta. L’Italia ha bisogno di concentrare i suoi sforzi sulla costruzione di un nuovo contesto, che garantisca efficienza ed efficacia a servizio della politica economica.
In questa sede non si vuole necessariamente sostenere che gli oltre ottocento dirigenti in questione siano tutti insostituibili a prescindere dal merito. È tuttavia evidente che qualsiasi organizzazione, privata di colpo della quasi totalità della propria dirigenza, è destinata ad avere una prospettiva di breve periodo.
L’obiettivo di sistema da perseguire deve essere il mantenimento nel ruolo delle risorse funzionali al progetto di riorganizzazione dell’Agenzia e con il più elevato livello di competenza ed esperienza.
La soluzione che si sta prospettando è quella di un concorso che non terrebbe in considerazione i titoli e l’esperienza. È inverosimile pensare che un’azienda che dovesse assumere un intero gruppo di dirigenti li selezionerebbe prescindendo da titoli ed esperienze, solo sulla base di un esame teorico.
Inoltre, il concorso, così come sembra essere stato finora concepito (si veda l’articolo di Mobili e Parente sul Sole 24 Ore di ieri), presenta due ulteriori, gravi problemi. In primo luogo, dato che si dovrebbe completare entro la fine del 2016, lascia totalmente insoluto il problema di gestire l’operatività nell’anno e mezzo che ci separa da quella data. Come si pensa possa funzionare l’Agenzia nel frattempo? In secondo luogo, sebbene il concorso risponda in maniera formalmente corretta ai rilievi della Consulta, corre il rischio di reiterare il problema sine die. La situazione attuale, infatti, è il frutto non già della mancata indizione di concorsi negli ultimi 20 anni, ma del fatto che i concorsi indetti si siano arenati per anni ad esito di ricorsi avanzati al Tar e al Consiglio di Stato, di fatto obbligando l’Agenzia alla modalità di nomina dei dirigenti censurata dalla Corte.
È necessario un intervento a brevissimo termine, per garantire l’operatività dell’Agenzia in un periodo critico come quello attuale.
Serve una chiara manifestazione della volontà politica di trovare una soluzione, che potrebbe consistere sia nella indizione di un concorso i cui criteri di selezione tengano anche conto di titoli ed esperienza, sia nella chiamata diretta per posizioni chiave e/o nella definizione di posizioni organizzative.

Stefano Simontacchi  e Achille Colombo Clerici
Stefano Simontacchi
e Achille Colombo Clerici

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