Trovarselo improvvisamente davanti non è certo un’esperienza piacevole: questo canide dal muso allungato e dalle lunghe orecchie appuntite, con gli occhi che brillano minacciosi, unici elementi che spiccano dal manto completamente nero, il quale si confonde con l’oscurità del Duat – il mondo dei morti immaginato dagli antichi egizi che occorreva percorrere per raggiungere la beatitudine – avrebbe intimidito anche il più grande dei faraoni, il più coraggioso dei generali, il più audace dei soldati. Essi si sarebbero sentiti piccoli ed insignificanti al cospetto del più inquietante e il più antico degli dèi egizi: Anubi.
Ma a volte l’apparenza inganna. A dispetto del suo apparire volutamente feroce, Anubi era una divinità benevola, nella misura in cui può esserlo chi si occupa di cimiteri e aldilà. Nel corso dell’articolo vedremo la genesi di Anubi, le sue prerogative e la sua collocazione nel Libro dei Morti, opera della quale analizzeremo le caratteristiche di guida ultraterrena.
Cane, sciacallo o lupo?
Nelle rappresentazioni iconografiche Anubi è raffigurato sia in forma animale o in forma mista (con il corpo umano e testa di animale). Il canide che lo simboleggiava è stato variamente identificato come un lupo egiziano, un cane selvatico o, più tradizionalmente, come uno sciacallo. Quest’ultima identificazione, pur generalmente condivisa dagli egittologi, si è rivelata priva di fondamento zoologico in quanto analisi genetiche effettuate nel 2015 sul canide selvatico endemico dell’Egitto hanno mostrato che quest’ultimo non è uno sciacallo, ma una specie a sé stante molto più strettamente imparentata con il lupo grigio. La testa di Anubi sarebbe quindi più correttamente quella di un lupo africano. Essendo tuttavia descritta anche nella Bibbia la presenza in Egitto e in Israele di sciacalli, la teoria che Anubi vada identificato come un lupo o un cane appare poco credibile.
Di fatto, è impossibile dire con certezza a che specie appartenesse perché le caratteristiche fisiche che lo contraddistinguono fanno pensare che questo dio fosse un incrocio tra il cane, lo sciacallo, la iena, la volpe e il lupo, animali dall’aspetto simile che vivevano nel deserto e vicino ai cimiteri. Ad ogni modo, sembra che gli egizi non avessero alcun interesse a specificarne la natura in maniera precisa.
Il colore nero
Anubi, come tutte le divinità legate alla morte, era raffigurato completamente nero. Tale colore non ha alcun riferimento alla realtà fisica dell’animale, ma rientra all’interno della simbologia dei colori. Il nero è attinente alla putrefazione dei corpi (troviamo un identico riscontro anche nel più tardo Athanor, il forno alchemico preposto alla realizzazione della Grande Opera degli antichi alchimisti, in cui il nero era uno degli stadi della materia in decomposizione), al bitume impiegato nella mummificazione e al limo, ossia il deposito alluvionale lasciato dalla piena stagionale del Nilo che apportava terreno fertile per le coltivazioni. In tale contesto, il limo era un simbolo di rinascita perché era un fango scuro che celava in sé la vita e la rinascita della natura.
Il mito della nascita
La nascita di Anubi è strettamente correlata al suo aspetto di sciacallo (lo definiremo così per comodità). Esistono varie versioni del mito. Una di esse narra che egli fosse figlio di Neftis, dea delle acque, e di Osiride. Ora, Neftis era sia sorella di Osiride che di Iside e Seth. I due fratelli sposarono le due sorelle (Osiride – Iside e Seth – Neftis), ma Neftis, che detestava il marito e si era invaghita del cognato-fratello Osiride, travestendosi da Iside si coricò accanto a lui. Il mattino dopo, Osiride, accortosi dell’inganno, andò su tutte le furie. Per scampare alle ire della famiglia, Neftis si nascose in un canneto, portando in grembo il figlio di Osiride. Quando la creatura venne al mondo, la madre lo pose in una cesta e lo affidò alle acque. Il fato volle che un coccodrillo, invece di divorarlo, lo spingesse a riva dove una femmina di sciacallo lo inserì nella sua cucciolata, accudendolo come fosse suo.
Fu Thot ad informare Iside dell’accaduto e, invocandone il perdono, la convinse a recuperare la creatura e a crescerla come suo figlio. Come possiamo vedere, il tema del cesto sulle acque e di un animale che accudisce il trovatello è abbastanza ricorrente nei miti, vedi il caso di Romolo e Remo, tanto per fare un esempio. Ad ogni modo, la testa di sciacallo che caratterizza l’aspetto di Anubi è un segno di “riconoscenza” verso lo sciacallo che gli fece da madre, salvandolo da morte certa.
Il primo mummificatore
Le origini di questo antichissimo dio si perdono in una miriade di miti diversi, ma quel che è davvero importante è il ruolo che Anubi ebbe nel mito della rinascita del dio Osiride, dando a quest’ultimo la possibilità di rinascere nell’aldilà e divenirne il dio. Questa la vicenda in breve, peraltro molto nota. Seth uccise barbaramente il fratello Osiride e lo fece in quattordici pezzi che sparse per tutto l’Egitto. Sua moglie Iside riuscì a ritrovare tutte le parti del corpo del marito, consegnandoli al figliastro Anubi. Questi, con grande maestria, ricompose il corpo del padre e lo avvolse in bende, creando in questo modo la prima mummia della storia egizia, in più riportandolo in vita.
Con il corpo così ricomposto Osiride poté andare nel mondo dei morti e divenirne il dio, mentre Anubi, primo imbalsamatore della storia, divenne il dio della mummificazione. Visto che il padre gli era venuto così bene, da allora Anubi ebbe il compito di trasformare ogni morto in un “Osiride” (ossia in un defunto che sarebbe rinato nell’aldilà). La rinascita dopo la morte poteva avvenire solo attraverso la mummificazione, essendo questa un requisito fondamentale per sopravvivere al trapasso.
Due dei suoi numerosi titoli, “colui che è preposto ai bendaggi” e “colui che è nel luogo dell’imbalsamazione” sono appunto attinenti alla sua particolare abilità. Non è un caso che durante i rituali magico-religiosi legati alla mummificazione, un sacerdote impersonasse il dio, indossando una maschera di Anubi.
Un culto antichissimo
Anubi – o Anubis (che è un nome ellenizzato dall’originale egizio inpw o anepw) – assunse funzioni diverse in vari contesti. Infatti, nel costante evolversi del pantheon egizio, fu inizialmente adorato durante la I Dinastia (3100 – 2890 a.C.) come protettore delle tombe, dei cimiteri e delle necropoli. Durante il Medio Regno (2055 – 1650 a.C.) fu sostituito da Osiride come signore dell’aldilà. Anubi era anche il dio protettore del XVII nomo (termine greco che sta per “distretto”, secondo la suddivisione amministrativa egizia) dell’Alto Egitto, il cui capoluogo, Khasa, venne ribattezzato Cinopoli (Città dei cani) in epoca ellenistica per il culto che vi veniva celebrato.
Che tale culto fosse particolarmente sentito lo si evince dalla recente scoperta, nei sotterranei del Tempio di Anubi, a nord di Saqqara, di otto milioni di mummie di cani. L’offerta di mummie di animali costituiva una parte importante dell’economia che ruotava intorno a templi e necropoli. Alcune mummie canine nascondevano probabilmente resti di cani del Tempio di Anubi morti di vecchiaia. Altre custodivano invece le spoglie di cuccioli vissuti poche ore, allevati apposta per la mummificazione, separati dalla madre e lasciati morire di fame.
La (quasi) assenza di Anubi nei miti
Pur essendo, come abbiamo detto, una delle divinità egizie più antiche, Anubi non aveva quasi alcun ruolo nei racconti mitologici. Tuttavia, il Papiro Jumilhac ha preservato uno dei pochi miti sul dio. In esso si narra come Seth tenti di attaccare il corpo di Osiride trasformandosi in un leopardo. Anubi interviene, lo ferma e lo sottomette, marchiandone la pelle con un bastone di ferro arroventato. In seguito, il dio lo scortica e ne indossa la pelle come avvertimento contro i profanatori di tombe.
I sacerdoti addetti ai culti mortuari indossavano una pelle di leopardo (e lo vediamo in molte pitture) per commemorare la vittoria di Anubi su Seth. La leggenda secondo cui egli avrebbe marchiato a fuoco il crudele zio in forma di leopardo era utilizzata per spiegare il manto maculato di questi felini.
Anubi, il dio dai molti titoli
La complessa figura di Anubi emerge dai numerosi titoli che lo accompagnano. Li illustreremo brevemente.
“Signore degli Occidentali”. Come sappiamo, l’Occidente era considerato il luogo verso cui i morti si recavano, in virtù del fatto che il sole “moriva” in quella direzione. I defunti, sepolti sulla riva sinistra del Nilo, dalla parte del tramonto, erano comunemente definiti gli Occidentali. Anche quando Osiride divenne la principale divinità funeraria della religione egizia, Anubi non ne fu privato del tutto.
“Signore della sacra terra”. La sacra terra era la necropoli e, per estensione, l’aldilà.
“Colui che è sulla montagna”. Questa espressione fornisce una precisazione geografica relativamente ai luoghi scelti dagli egizi come cimiteri. Queste zone montagnose erano, inoltre, molto frequentate da sciacalli ed altri canidi in cerca di cibo e carogne.
“Colui che presiede al padiglione divino”. Il seh-natjer – il “padiglione divino” – era una struttura temporanea ritenuta al confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Si credeva che la protezione di Anubi si esercitasse specialmente sui morti durante il processo di mummificazione che si svolgeva in tale ambiente.
“Colui che è nel luogo dell’imbalsamazione”. Il senso preciso di questa espressione non è mai stato chiarito con certezza, ma si pensa che si riferisse al luogo dove si reperivano i prodotti necessari alla mummificazione, come le resine.
Anubi, la guida delle anime
Quando il corpo del defunto veniva mummificato, posto all’interno del sarcofago e la tomba chiusa e sigillata, iniziava per lui il viaggio nell’aldilà, un viaggio irto di pericoli e di prove da superare, poiché andare nell’aldilà non era una cosa scontata e facile: bisognava meritarselo. Gli egizi sono stati tra i primi popoli a pensare che dopo la morte le azioni compiute in vita avrebbero avuto un peso dopo la morte e sarebbero state decisive per stabilire se l’anima avrebbe meritato la beatitudine o la dannazione. Durante il pericoloso viaggio, Anubi tiene per mano il defunto e lo precede nel cammino tra le tenebre della morte illuminando il cammino con la Luna tenuta nel palmo della mano: egli ha paura per quello che dovrà affrontare, ma Anubi gli è vicino, lo incoraggia e gli infonde energia. Il dio è quindi la sua guida e il suo protettore.
In tal senso, Anubi è ciò che i Greci chiamavano “psicopompo”, ossia “guida delle anime”, riferendosi al loro dio Ermes, il quale aveva questa mansione nella religione greca. Non a caso, egli compiva il suo viaggio negli inferi accompagnato da un cane, animale scelto in virtù del suo grande attaccamento e alla sua devozione verso l’uomo, per i suoi sensi sviluppati e per la capacità di vedere nella notte. Potrebbe essere che anche gli egizi, fatte salve le differenze di fondo, compirono la scelta di utilizzare un canide proprio per le caratteristiche proprie della specie.
Un guardiano instancabile
Molte statue e pitture di Anubi si incontrano molto spesso all’interno delle tombe di re e nobili, poiché, in quanto guardiano della necropoli, questi doveva difendere la tomba da ladri e presenze demoniache. Una meravigliosa scultura di Anubi – che possiamo vedere nell’immagine qui sotto – viene dalla tomba di Tutankhamon ed era posta a guardia della cassa dei vasi canopi, quelli che contenevano le viscere del morto, nella camera del Tesoro. Tale funzione di protezione delle viscere viene dal mito di Osiride in cui si racconta che, quando egli venne assassinato da Seth, i suoi organi furono dati in dono ad Anubi.
Anubi e la pesatura del cuore
Una volta superate tutte le difficoltà del percorso infero, Anubi accompagnava il defunto verso la decisiva prova finale, la più drammatica, la più pericolosa: la pesatura del cuore, detta anche psicostasia o pesatura dell’anima. Essa avveniva all’interno di una doppia sala, chiamata “La Sala della Doppia Verità” nella quale avveniva un vero e proprio processo. Nella sala era presente una bilancia a due piatti, davanti a questa il dio Osiride in trono e, al suo fianco, quarantadue divinità che costituivano la giuria.
Anubi aveva il compito di controllare la perfetta taratura della bilancia e il suo corretto funzionamento. Una volta completate tali verifiche, si procedeva alla pesatura. Era Anubi stesso a collocare sul primo piatto una piuma di struzzo che simboleggiava la verità (Maat) e la giustizia, mentre sul secondo poneva il cuore del defunto, che rappresentava i suoi sentimenti, negativi o positivi.
Il peso del cuore non doveva superare quello della piuma. Se esso risultava più leggero o dello stesso peso della piuma di Maat, significava che il trapassato aveva condotto una vita virtuosa e sarebbe quindi stato ricompensato conducendolo nei campi Aaru, luogo di beatitudine presso Osiride. Se invece il cuore pesava più della piuma, esso veniva divorato dal mostro Ammit in agguato dietro alla bilancia, e il suo possessore sarebbe stato condannato a rimanere in eterno nel Duat senza speranza di immortalità.
Il Libro dei Morti, un “manuale di sopravvivenza”
Se è pur vero che Anubi accompagnava attraverso le insidie del mondo infero il defunto, questi aveva comunque bisogno di una “carta” in più, un manuale che gli permettesse di conoscere in anticipo i pericoli per evitare di cacciarsi nei guai. Questo manuale è oggi conosciuto come “Il Libro dei Morti”.
Da non confondere come una sorta di Necronomicon di lovecraftiana memoria (complice anche il film La Mummia, in cui esso veniva usato per riportare in vita il grande sacerdote Imhotep) il Libro è in realtà una raccolta di testi funerari e incantesimi, il cui titolo originale traslitterato ru nu peret em heru è traducibile come “Libro per uscire al giorno” o “Libro per emergere dalla luce”. Il termine moderno, impiegato inizialmente dai profanatori delle necropoli reali, per qualsiasi rotolo di papiro rinvenuto nelle tombe, fu ripreso dallo studioso Karl Richard Lepsius nel 1842 e convenzionalmente rimasto in uso fino ad ora.
Il “Libro dei Morti”, che venne utilizzato stabilmente dall’inizio del Nuovo Regno (1550 a.C.) fino alla metà del I secolo a.C., si inserisce in una tradizione di testi funerari più antichi, i cosiddetti Testi delle piramidi, tipici dell’Antico Regno (dal 2700 al 2192 a.C.) e i cosiddetti Testi dei sarcofagi, di epoca successiva. I papiri delle varie copie del Libro, o parte di esso, erano comunemente deposti nei feretri insieme alle mummie nell’ambito dei riti funebri. Redatto quasi sempre in caratteri geroglifici o ieratici, era talvolta decorato con illustrazioni o vignette del defunto e delle tappe del suo viaggio ultraterreno.
Erroneamente considerato il libro sacro degli antichi egizi, come una specie di Bibbia o Corano, il Libro dei Morti non è né un rituale religioso, né un rito funebre ma, come abbiamo accennato sopra, una raccolta di formule, un insieme di magie e di incantesimi, la cui lettura mira al raggiungimento di ben definiti effetti. Il giusto impiego di tali formule sottraeva il defunto al suo Karma e impediva alle proprie colpe di essere considerate come tali. Ciò significa che anche colui che in vita fosse stato un poco di buono, l’avrebbe sfangata.
Un percorso irto di pericoli
Naturalmente, la salvezza bisognava comunque guadagnarsela. Ed ecco che il cammino verso la beatitudine è colmo di entità mostruose e pure crudeli: spiriti, larve di morti vengono a contrastare il passo al defunto. Senza contare i pericoli fisici della mummia nel mondo reale: animali nocivi, vermi e serpenti che possono corrompere il corpo e impedirne la resurrezione. In tal senso, il Libro dei Morti rappresenta una potente arma: vibrazioni di voce e segni grafici diventano arsenali da utilizzare per disgregare e respingere le entità malvagie e per circondare la mummia di una invulnerabile corazza difensiva. Oltre a questo, il Libro dei Morti serviva a dare le risposte giuste e opportune alle domande poste da Osiride al momento del processo, l’atto finale del percorso: di fronte a 42 giudici, il defunto avrebbe dovuto dichiarare di non essere colpevole di nessuno dei 42 peccati contro la giustizia e la verità, recitando un testo noto come “Confessioni negative”.
La magia del Libro dei Morti
I testi e le immagini del Libro dei Morti erano magici e religiosi allo stesso tempo: pregare gli dèi e compiere incantesimi erano, per gli egizi, la stessa cosa. Il concetto di magia era connesso a quello di parola, sia pronunciata che scritta. Pronunciare una formula magica era un atto di creazione, mentre la potenza magica delle parole scritte era attribuita al dio Thot. Si credeva poi che conoscere il nome di qualcosa desse potere sulla cosa stessa: il Libro dei Morti fornisce il nome di molte delle entità che l’anima avrebbe affrontato nel Duat, dandogli così il potere di affrontarle. Ed è così che anche di fronte ad Osiride, la possibilità di costringere – mediante la magia delle formule – il cuore a tacere i peccati e le eventuali verità scomode sul defunto, gli avrebbe permesso di entrare nell’aldilà anche avendo alle spalle una vita non proprio irreprensibile.
Il Libro dei Morti di Iuefankh
Concludiamo con un paio di esempi notevoli del Libro. Il primo è il “Libro dei Morti di Iuefankh”, un papiro di oltre 19 metri che fa parte della Collezione Drovetti e che oggi rappresenta uno dei pezzi più importanti conservati nel Museo Egizio di Torino. Anche su questo papiro è rappresentata la famosa scena della “pesatura del cuore” ad opera di Anubi.
Il “Papiro Waziri”
Si tratta di un documento ritrovato durante gli scavi nella necropoli di Saqqara nel marzo del 2022. Una volta al Cairo, i ricercatori hanno appurato che misurava ben 16 metri e che conteneva gli incantesimi del Libro dei Morti. Il papiro è stato rinvenuto arrotolato all’interno della bara di un uomo di nome Ahmose, vissuto intorno al 300 a.C., all’inizio dell’era tolemaica, e menzionato circa 260 volte nel testo. Dopo la scoperta, questo straordinario esemplare del Libro dei Morti è stato sottoposto ad un esame approfondito e ad un complesso processo di restauro. Il documento è composto da dieci immagini che raffigurano scene dell’oltretomba in cui compaiono varie divinità ed è scritto in ieratico, la forma corsiva ed abbreviata della scrittura geroglifica. L’eccezionalità della scoperta consiste nel fatto che è la prima volta in questo secolo che viene rinvenuto un papiro completo, a cui è stato dato il nome del segretario generale del Consiglio supremo delle Antichità d’Egitto, Mostafa Waziri, il quale ha annunciato che l’antico documento sarà presentato quest’anno all’inaugurazione del Grande Museo Egizio del Cairo.
Complimenti all’autore per l’ottimo pezzo e per aver saputo rendere al meglio la figura al contempo affascinante e misteriosa di Anubi.