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Cento anni ma non li dimostra. Breve storia del Pli.

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giovedì, Novembre 21, 2024

I liberali sono stati l’informale partito di maggioranza in un’ epoca delicata della nostra storia; quella che va dall’unità alla grande guerra. Nel loro periodo, che qualcuno banalizza come quello dell’”Italietta”, non solo abbiamo raggiunto e consolidato l’unità nazionale ma è stato costruito un moderno stato europeo con una burocrazia funzionante e una scuola che cominciava sia pure timidamente a diffondersi anche negli strati più bassi della popolazione.

Finito il periodo illuminato e in parte classista della “destra storica”, il “trasformismo” della “sinistra” parlamentare e la sbornia coloniale e filotedesca di Crispi, l’Italia liberale dei notabili aveva trovato nei primi del 900, grazie al giovane Vittorio Emanuele III e a Giovanni Giolitti, un nuovo assetto. Il grande giubileo laico del 1911, un più solido avvio dell’industrializzazione, le prime forme di welfare e maggiore disponibilità nel trattare con i sindacati, ci fanno capire come forse questa Italia avrebbe potuto evolversi “ in un paio di generazioni” se non ci fosse stato il primo conflitto mondiale. L’attentato di Sarajevo purtroppo pose fine a questo graduale e illuminato modello di sviluppo che, secondo uno dei padri fondatori del liberalismo italiano Benedetto Croce aveva trovato proprio in quegli anni il giusto equilibrio.

Giovanni Giolitti.

Le trincee e i fanatismi di diversi colori con cui inizia il “secolo breve” scuotono infatti le fondamenta del mondo liberale. Quando l’8 ottobre 1922, mancano 20 giorni alla marcia su Roma, giovani intellettuali dell’area si riuniscono per dar vita ad un partito organizzato in modo analogo a quello che avevano fatto le grandi forze politiche di massa, è ormai troppo tardi.

I liberali ancora una volta si dividono sul fascismo e solo quando Mussolini in maniera chiara getta la maschera ritrovano nelle loro differenze un’unità comune, tornando ad essere come nel Risorgimento, il partito della Patria e della Libertà; la forza politica che guarda al mondo moderno e rifiuta i compromessi con le controriforme autoctone, basate sugli autoritarismi e sul becerume “ barocco” dei fanatismi.

Ha eroi come Giovanni Amendola e Piero Gobetti, personaggi singolari nei loro profili politici ma significativi esponenti di un mondo che si vuole per definizione variegato e dominato dall’individualità; altri come Luigi Einaudi, Benedetto Croce, l’indomito Giolitti e Luigi Albertini si oppongono al regime in maniera diversa scegliendo la via del buon ritiro, della testimonianza intellettuale e se possibile del gesto clamoroso.

Piero Gobetti.

Quando il mondo impazzisce e l’Italia viene trascinata in una guerra disumana dove persino il razzismo trova legittimazione, l’idea liberale considerata obsoleta da tanti, torna a farsi sentire. Sotto le bombe e in preda al disastro, la vecchia Italia di Cavour offre echi di saggezza a generazioni smarrite. Se nella Resistenza i liberali hanno un ruolo importante, oggi dimenticato, è vero che furono prevalentemente monarchici in occasione del referendum del 1946. Con lungimiranza i liberali partecipano attivamente alla costituente e danno i primi due capi di stato all’Italia repubblicana, temono però non tanto la fine della dinastia, quanto quella dello stato risorgimentale schiacciato dai grandi “partiti chiesa”. Intuiscono tutti i limiti provinciali della Democrazia Cristiana ma accettano comunque di collaborare con De Gasperi e con i governi guidati dal suo partito. Il Pli è un partito di centro , centro destra, non popolare ma votato soprattutto da persone benestanti spesso ricche , desiderose di pagare poche tasse e scettiche nei confronti dell’intervento attivo dello stato nell’economia. Questo del resto è il ruolo che al partito vuole dare la DC e che alla fine i liberali accettano.

Solo nel 1963 il Pli , minoritario nell’arco parlamentare, riesce ad avere un ottimo successo elettorale presentandosi alternativo all’alleanza tra democristiani e Socialisti.

Il segretario Giovanni Malagodi esprime contrarietà al centro sinistra che accusa non di essere riformista, ma potenzialmente ostile alla scelta occidentale e soprattutto portatore di una visione dell’economia statalista, assistenziale, clientelare e dirigista che avrebbe compromesso il boom economico e rafforzato il peso del parassitismo e dei partiti. La previsione è giusta.

Giovanni Malagodi.

Si accentua l’ambigua politica estera dell’Italia, un po’ “Bulgaria della Nato”, un po’ membro esterno della lega araba; cresce lo “statalismo senza stato” che diverrà una caratteristica strutturale della nostra economia. I liberali tuttavia non sono premiati dagli ideologismi degli anni settanta. Il Pli di Malagodi non piace alle nuove generazioni che preferiscono Evola, Mao o Don Giussani. Il partito borghese per antonomasia, che si richiama all’illuminismo e che indica come modello di sviluppo quello delle democrazia mature dell’ovest , non convince i più.

Nulla può contro questo declino la svolta lib lab di Valerio Zanone, l’abbraccio un po’ innaturale con i Dem americani, la condanna nei primi anni 80 del liberismo conservatore e nazionale di Ronald Reagan e Margaret Thatcher. Il Pli è socio junior della prima repubblica, appoggia i governi del compromesso storico con il pci e poi il pentapartito. In quegli anni per i liberali il massimo del trasgressivo è il polo laico con Pannella e Spadolini, un po’ poco.

Solo dopo la caduta del muro di Berlino si cominciano a intuire nuove potenzialità. Si capisce che la fine dell’unità politica dei cattolici, la necessità di ricostruire in maniera moderna lo stato, la spinta ad un’ economia pro mercato possono e devono essere punti di un programma liberale.

I liberali tuttavia non hanno il tempo e forse il personale politico adatto per divenire, come scriveva Gobetti, alfieri di una “ rivoluzione”.

Mani pulite pone fine ai soggetti politici legati al pentapartito e il Pli si divide tra destra e sinistra. Benedetto Croce decenni prima aveva definito il Pli un “prepartito” in attesa di una democrazia pienamente liberale nella quale non avrebbe avuto più senso far proseguire in maniera unitaria l’azione politica. A quasi trenta anni di distanza dalla fine del partito bisognerebbe chiedersi quanto l’Italia sia oggi liberale e come la creazione di una forza politica coerentemente legata a questa cultura, sia pure transpartitica, possa essere utile ancora per tentare in tempi difficili di costruire l’ Italia dei liberi.

Vedi anche: https://www.informazionequotidiana.it/centenario-dalla-fondazione-del-partito-liberale-italiano/

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