1)Le fattorie sociali sono una realtà sempre più significativa nel nostro Paese. Quali pensa siano le parole capaci di riassumere la formula che propongono alla collettività? Crede che le fattorie sociali possano essere cellule costitutive di un nuovo modello di sviluppo? Viene in mente il ruolo del kibutz a Israele. Nel nuovo mondo post Covid l’agricoltura sociale e le cooperative saranno strumenti di una nuova economia?
Le fattorie sociali costituiscono delle pratiche innovative, il cui scopo è rivitalizzare le comunità locali mediante due strumenti che agiscono contestualmente. Il primo è l’utilizzo delle risorse agricole, materiali e immateriali. L’altro è la creazione di ambienti di vita capaci di promuovere e far crescere le persone e le popolazioni. Va precisato che le fattorie sociali prefigurano non già un modello ma una innovazione applicabile a tutti i modelli agricoli. Alla base dei progetti di agricoltura sociale c’è un’idea di società, di economia e di mercato che pone al centro le persone, i beni relazionali, la gratuità del contatto con l’altro. Gli operatori delle fattorie sociali sono mossi da passioni, vocazioni e concezioni del mondo plurime, da cui scaturiscono modelli produttivi e di consumo e attività molteplici. Questo pluralismo di idealità può produrre crescita e sviluppo se gli operatori sapranno esercitare il dialogo fino in fondo e il criterio di laicità, come metodo e sostanza. Per il laico l’unico criterio guida dell’umano-naturale è la razionalità/ragionevolezza che non significa rinuncia alle proprie convinzioni ma rimozione di ogni pretesa volta ad imporle agli altri. La dimensione comunitaria e la prospettiva di conseguimento dell’interesse generale e del bene comune sono ingredienti preziosi dei progetti di agricoltura sociale. E possono contribuire a rilanciare l’economia, dopo il blocco delle attività a causa della pandemia.
2)Cugini delle fattorie sociali sono gli ecovillaggi. Che tipo di legami e di differenze esistono tra queste diverse realtà?
Le comunità intenzionali e gli ecovillaggi sono pratiche fondate su concezioni del mondo e stili di vita alternativi che, di solito, nascono con l’obiettivo di rivitalizzare vecchi borghi rurali abbandonati nel rispetto dei valori paesaggistici e architettonici originari. Hanno in comune con le fattorie sociali la vocazione a ri-generare legami comunitari. Si differenziano da queste perché i loro componenti tendono a vivere la propria esperienza senza curarsi di un rischio che corrono: quello di rinchiudersi nel proprio mondo e rifiutare l’interdipendenza con le altre realtà. Occorrerebbe un approccio più aperto e volto a coinvolgere l’insieme delle popolazioni che vivono in un determinato territorio. I legami comunitari si rigenerano se siamo in grado di costruire una biografia sociale, una storia sociale dei contesti in cui viviamo. Da queste storie possono emergere diversità e specificità: da quella geomorfologica e climatica, a quella agricola, a quella delle architetture dei borghi, a quella dei dialetti, fino a quella religiosa. E una volta rilevate le diversità e le specificità, vanno individuati gli strumenti per valorizzarle e vivificarle. Per farlo è necessario non solo coinvolgere le Università, i centri di ricerca e le scuole. Occorre anche promuovere una particolare forma di organizzazione dei cittadini che guidi il formarsi di un’autonoma capacità dei cittadini stessi a concorrere alla determinazione delle politiche di sviluppo sostenibile. Si tratta di elaborare e realizzare progetti di educazione alla cittadinanza, all’interdipendenza, al protagonismo attivo nei percorsi istituzionali di riorganizzazione delle sovranità nazionali e di costruzione delle sovranità oltre lo Stato, come l’Unione Europea. Il cardine di questi progetti formativi dovrebbe essere la trasmissione – da una generazione all’altra – della cultura del saper fare per promuovere nuove occasioni di lavoro. Solo se si creeranno istanze dinamiche di confronto e collaborazione, le differenze tra generazioni diverse potranno riconoscersi e interagire per generare e vivificare lo spirito dello sviluppo.
3)Una delle caratteristiche fondamentali delle fattorie sociali è quella delle sinergie. Oggi la vostra realtà è in stretto legame con gli enti locali, le associazioni del terzo settore e le aziende agricole private. A suo avviso esistono potenziali nuovi partner e capacità di sviluppo ancora inesplorate nel settore?
La difficoltà maggiore che incontrano le imprese agricole disponibili a introdurre nelle proprie attività anche quelle di agricoltura sociale riguarda il coinvolgimento di figure professionali con competenze sociali. L’ostacolo si potrebbe superare se i servizi sociali e socio-sanitari territoriali creassero le condizioni per favorire la collaborazione tra le aziende agricole, i soggetti del Terzo settore, le scuole, le Università e gli istituti di ricerca. Inoltre, bisognerebbe accompagnare gli operatori dell’agricoltura sociale nella creazione di nuove aggregazioni: filiere corte e lunghe, gruppi di acquisto solidale (GAS), gruppi interessati all’utilizzo solidale dei servizi alla persona, gruppi che aspirano a fruire di orti urbani, gruppi di proprietari di piccoli appezzamenti di terra che hanno la necessità di fruire di servizi. E occorrerebbe favorire la partecipazione delle fattorie sociali ai mercati agricoli di vendita, nonché la stipula di accordi quadro con istituzioni pubbliche e private per rifornire mense collettive.
4)Cosa pensa possa fare lo Stato e gli amministratori locali alla luce anche del PNRR per incentivare lo sviluppo delle fattorie sociali nel nostro Paese? In particolare in Italia si parla spesso di piccoli comuni e di zone che rischiano una crescente deurbanizzazione. Pensa che le fattorie sociali possano contribuire a ripopolare il territorio e a costruire nuove opportunità per le comunità locali?
È molto probabile che, nei prossimi anni, i beneficiari dell’agricoltura sociale tenderanno ad ampliarsi. Diventeranno sempre più importanti la cura degli anziani non autosufficienti e, in generale, i servizi rivolti alla terza e quarta età. Le fattorie sociali potrebbero gestire progetti centrati sullo scambio intergenerazionale, orientando il servizio civile nazionale verso azioni che prevedano tale attività. Nello stesso tempo, bisognerà dare nuove risposte al fenomeno dell’immigrazione e a quello dell’abbandono delle aree interne. L’agricoltura sociale ha tutte le caratteristiche per essere protagonista nei progetti di ri-costituzione di comunità, creando una connessione virtuosa tra i due fenomeni.
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