Gli stadi tornano pieni e con loro riemergono i vecchi problemi.
Dagli scontri tra le tifoserie agli episodi di razzismo, passando per le intimidazioni ai calciatori: il 2023 si è già macchiato di molte di queste situazioni e il report dell’AIC, censito però sulla stagione 2021-22, rappresenta, secondo il ministro Abodi, “un grido d’allarme”.
Sono stati 121, infatti, i casi in cui i calciatori sono stati fatti oggetto di offese, minacce e intimidazioni. Nell’85% di quelli raccolti, i campionati più a rischio sono stati quelli professionistici, con la Serie A in testa visti i quasi 7 casi su 10 (68%). Una tendenza che, se per il presidente dell’assocalciatori, Umberto Calcagno, “fa paura”, per il presidente della Figc, Gabriele Gravina, e il ministro Abodi obbliga a fare una riflessione più attenta da parte di tutti. In particolare sui casi di razzismo e violenze, fuori e dentro gli stadi. Il coro unanime è stato quello di un inasprimento delle sanzioni per i soggetti coinvolti perché “il daspo non è più sufficiente” ha detto per primo Gravina. Parole alle quali hanno fatto eco quelle di Abodi che ha aggiunto come sia necessaria anche “la certezza della pena”, invitando a non guardare solo agli scontri in diminuzione all’interno degli impianti “ma anche a quello che succede fuori dagli stadi”. Per questo tra gli auspici manifestati dal presidente della Federcalcio alla presenza anche di Paolo Cortis, presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive, c’è stato quello di una “rafforzata collaborazione tra i protagonisti in causa, magari attraverso un maggiore e migliore ricorso alla tecnologia”.
Per il momento, però, le perplessità sollevate in passato dal garante per la privacy sull’utilizzo del riconoscimento facciale restano e per questo Abodi, nel frattempo, ha chiesto a tutti di abbassare i toni (“perché oggi raccogliamo ciò che abbiamo seminato”) e ai club di troncare “rapporti equivoci con le tifoserie”. Non a caso i calciatori di colore sono il primo bersaglio dei casi di razzismo (39%), seguiti da quelli balcani (11%) e dell’America Latina (8%). A questi si aggiungono dei numeri citati da Gravina e che riguardano gli arbitri con 151 casi di violenza subiti dall’inizio della stagione in corso a fine gennaio. Basti pensare a quello più recente di Cissè in seconda categoria. “Dobbiamo fare sistema e combattere questa forma di cultura becera che deve essere espulsa dal nostro sistema” ha concluso Gravina che non dimentica le violenze che arrivano a mezzo digitale e per le quali si è augurato “un intervento drastico”. I social network, infatti, nel 9% dei casi si confermano uno strumento per esercitare odio, violenza e intimidazioni, con le cattive prestazioni, seguite dal razzismo, che restano la principale motivazione di questi comportamenti.