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Dantedì 2025, il linguista Patota: “Studiamo meglio Dante, unico italiano che chiamiamo padre”.

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E’ necessario continuare a studiare Dante Alighieri, padre della lingua italiana, perché è il “nostro orgoglio, l’unico che chiamiamo padre”. Ma, soprattutto, bisogna studiarlo di più e meglio, preferendo alla ‘quantità’ la ‘qualità’ dell’analisi e della ricerca, in particolare quando ci si rivolge ad una platea di non esperti. E’ l’indicazione di Giuseppe Patota, ordinario di Storia della Lingua italiana all’Università di Siena, per oggi 25 marzo, il Dantedì, il giorno in cui si celebra in tutta Italia l’autore della ‘Commedia’. Data che corrisponde secondo la tradizione al momento in cui – il 25 marzo del 1300 – il Sommo Poeta iniziò il suo viaggio nell’aldilà, perdendosi nella ‘selva oscura’.

Parlando con l’AdnKronos il linguista – che a Dante ha dedicato il saggio ‘A tu per tu con la Commedia’, in libreria con Laterza dallo scorso 10 gennaio – invita a “studiare Dante con grande amore perché se lo merita. E’ l’unico italiano a cui è riservata la qualifica di padre”, sottolinea Patota che argomenta: “L’italiano è venuto prima dell’Italia che, come Stato unitario, è nata nel 1861. La nostra lingua, invece, è nata prima; noi siamo stati uniti dall’italiano e dalla cultura e poi dalla politica e dagli interventi militari. Parliamo di padri della Patria, genericamente e giustamente, ma non diciamo padre Vittorio Emanuele II, padre Garibaldi, oppure padre Cavour. Parliamo di padri costituenti, ma non parliamo di padre De Gasperi o di padre Pertini. Diciamo, invece, padre Dante”. Si può continuare a portare il Sommo Poeta nella scuola e tra le persone che lo hanno letto? “Io credo proprio di sì: è necessario però preparare le studentesse e gli studenti alla parafrasi”, risponde il linguista. In una formula, insomma, secondo Patota, non si deve studiare Dante, “tanto ma studiarlo bene. E’ importante riservargli uno spazio qualitativo piuttosto che quantitativo. Studiamolo meglio”.

Patota si sofferma poi sul ruolo che Dante continua ad avere nella nostra cultura: “I suoi versi, una volta entrati nella nostra memoria, non si perdono. Questo avviene, ad esempio, per chi ha letto i versi di Paolo e Francesca. Ce ne sono altri che rimangono impressi al punto tale che li cambiamo, li modifichiamo, come nel caso di ‘non ragioniam di lor ma guarda e passa’ che è diventato ‘non ti curar di lor ma guarda e passa’. Queste varianti sono un segno ulteriore del successo di Dante. E’ anche per questo che Dante – magari in modo silenzioso – continua a vivere con noi, nelle parole che usiamo ogni giorno”.

Carlo Roma

Fonte: adnkronos.com

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