Rapita e portata in una stanza del lussuoso Fairmont Nile Hotel del Cairo, intontita con la cosiddetta ‘droga dello stupro’ e poi violentata per tutta la notte da una banda di rampolli dell’alta società egiziana. Una scena dell’orrore, e proprio un video caricato su alcuni gruppi social è alla base della riapertura di un cold case che altrimenti sarebbe rimasto lettera morta. Per sei anni quella notte da incubo è rimasta sepolta. Nessuno all’epoca, compresa la vittima dell’odiosa violenza, una ragazza che aveva preso parte alla festa all’interno dell’albergo esclusivo con vista sul Nilo, aveva denunciato il fatto.
A fine agosto la Procura del Cairo ha spiccato una serie di mandati di cattura, almeno nove quelli ufficiali. La pubblicazione del video sui social ha anticipato l’inchiesta e favorito la fuga della maggior parte dei responsabili. Tre sono stati fermati in Libano e adesso sono in attesa di estradizione da parte delle autorità di Beirut. Altri due uomini sono stati bloccati all’aeroporto internazionale del Cairo mentre stavano lasciando il Paese. Nei loro confronti la giustizia farà il suo corso, ma sono in molti a temere insabbiamenti e la fine annunciata del carteggio giudiziario con un nulla di fatto. L’attenzione delle autorità, al momento, è diretta altrove. In una società di chiaro stampo maschilista come quella egiziana le vittime di reati di questo tipo fanno in fretta a finire dalla parte dei colpevoli, convinte a tenere la bocca chiusa per evitare guai ulteriori.
Lo sanno bene le quattro ragazze che sabato scorso sono state arrestate e messe in cella in riferimento proprio al caso Fairmont. La loro colpa è stata quella di rivolgersi volontariamente alla polizia per raccontare ulteriori dettagli sulla vicenda dopo l’emersione dei fatti. Da testimoni di un atto infame (le quattro avevano partecipato a quella festa) a colpevoli di ‘incitamento alla dissolutezza e danneggiamento dell’immagine dello Stato egiziano’, oltre all’uso di droghe.