Non urla più. Non combatte in TV ma è impegnato nella lotta più importante, quella dentro di sé . Vittorio Sgarbi, celebre critico d’arte e volto televisivo, è ricoverato al Policlinico Gemelli per una grave depressione.
Recentemente è apparso in pubblico con voce spenta, visibilmente dimagrito e segnato in volto. Le inchieste giudiziarie, un’ischemia cardiaca e un superato tumore alla prostata hanno indebolito il celebre personaggio, famoso per ira e vitalità.
La sua storia mediatica comincia nei primi anni ’90, quando irruppe sugli schermi con la grazia gentile di un piranha. Era il tempo dei festival di Pippo e dei quiz di Mike.
Finita la TV in bianco e nero di Bernabei, i palinsesti restavano patinati mentre insulti e risse venivano severamente banditi.
Fu allora il professore pazzo che ruppe il “torpore” , in nome del “caos liberatore”.
Poteva farlo grazie alla sua natura ibrida. Era dottor Jekyll e Mr Hyde: l’intellettuale dandy e l’urlatore di genio “liberato da Basaglia”.
Narcisista di stretta osservanza, assertivo e collerico, con un ostentato complesso di superiorità, Sgarbi da subito irrita, diverte e, anche quando prende gli schiaffi, fa notizia.
Anticonformista autentico con il gusto della provocazione, non ama rassicurare ma disturba come in un fumetto blasfemo, dove Vanitoso, Quattrocchi e Brontolone bollono in pentola il loro capo barbuto.
Pedagogo involontario, diventa simbolo della ribellione al “politichese” e alla forma ingessata dei format dell’epoca. “Freak” e “supereroe di massa” di un’ Italia già edonista ma ancora intimorita dal sapere, Vittorio è il “centauro mediatico”, autorevole per titoli e linguaggio forbito, ma anche proto-tronista con tanti capelli, squinzie e feticci.
In lui prende corpo un poliedrico intruglio semiotico che unisce Marinetti, Roberto Longhi e il trash di Vanzina.
La sua cifra comunicativa è, da subito, la tensione nervosa. Non conquista con la calma, ma con l’attrito. Domina la scena proiettando energia centrata. Ha eloquio, oltre che brillante, scattoso, carico di furie e scintille. Il suo carisma non è tanto dannunziano, sensuale, quanto stentoreo, elettrizzato dalle anarchiche scorribande metal della sua prepotenza occhialuta.
L’ascesa coincide con le esternazioni di Cossiga e con il crollo dei partiti e delle ideologie. Avverso al moralismo di Tangentopoli, interpreta il ribellismo istintivo di quegli anni, pur restandone estraneo, anzi, ostile, per autentica cultura liberale. Nello Sgarbi dell’epoca c’era tutto: l’intellettuale e il provocatore del salotto di Costanzo, l’erede del cafonismo rampante degli anni ’80 trasformato in presenzialismo eccessivo, ma anche il fecondo erudito che seduce parlando di Michelangelo e John Donne.
Affabulatore più che divulgatore, legittimato all’incanto dalla sua disciplina, ha sempre avuto il potere della voce e la musicalità magnetica del linguaggio, capace di attrarre quanto di incidere.
Sgarbi è stato uno spartiacque nella comunicazione. Dopo il crollo della Prima Repubblica, quasi tutti, politici compresi, hanno iniziato a esprimersi come lui, imitandone però non l’intelligenza, l’eleganza o la cultura, bensì: l’aggressività verbale, i monologhi autoreferenziali, il disprezzo per l’interlocutore. Un linguaggio amplificato dai talk e da Berlusconi, che di Sgarbi fu più figlio che padre.
Il suo limite scenico è sempre stato l’eccesso d’ira e la velocità, a scapito di logos e gravitas. Ma dalla fine degli anni novanta inizia a ripetersi e, da creatore originale, si riduce a manierista.
Quando parlare “alla Sgarbi” diventa la norma, persino nei siparietti isterici di Uomini e Donne, Vittorio è quello del “capra, capra”; uno tra tanti.
Se il comunicatore declina, restano degni di stima: l’attività di organizzatore culturale, i libri, gli spettacoli su artisti che anticipano, pur con stile opposto, ciò che Barbero ha fatto con la storia.
In un’Italia diversa, più seria, sarebbe stato un ottimo ministro della Cultura. Avrebbe potuto fare ciò che Malraux fece in Francia ai tempi di De Gaulle. Nel nostro sistema ha scelto il ruolo dell’individualista, esponendosi a rischi e derive.
Sulle indagini che lo riguardano mi attengo alla presunzione di innocenza. Ricordo però quanto mi disse, un ventennio fa, una persona che stimo e lo conosceva bene: “Sgarbi, in un mondo di truffe come quello dell’arte, si distingue per accortezza e rigore.”
Negli ultimi anni l’ho visto deriso da Scanzi, che lo attacca dileggiandolo fisicamente, come lui amava fare con i suoi avversari in gioventù. Sic transit gloria mundi. Durante il Covid, è stato tra i pochi a lottare per i principi libertari che, con coerenza, ha sempre difeso.
Ora che è malato, gli auguro di affrontare la tempesta interiore con la stessa forza con cui ha sempre combattuto tutto e tutti. L’auspicio è che chi, come lui, tanto conosce Borges, nel “labirinto” possa trovare l’Aleph, dove ogni cosa ha origine e ricomincia. Forza Vittorio.