di Rocco Longo
14/03/2013 – La trepidazione di un’attesa, l’accorata speranza che il Sacro Collegio potesse aver accolto –sotto la spinta di uno Spirito Santo “guastatore”- una mia aspirazione, la certezza di ritrovare presto il Pastore capace di andare in cerca della pecorella smarrita e di riportarla in spalla, sorridente e pago, nel rassicurante ovile della Chiesa, l’intimo convincimento che il successore di Pietro, questo nuovo successore di Pietro, sarebbe stato non uomo di Curia ma curato d’anime…e poi un nome: Francesco.
Impossibile contenere in poche parole la ridda di emozioni e di sensazioni che hanno vergato a fuoco uno spirito inquieto, il mio, dopo averlo strattonato e scosso.
Non mi appartiene la scienza e non sono uno studioso di storia della Chiesa, parimenti non sono un vaticanista né un esperto conoscitore di dinamiche d’Oltretevere, non sono un esegeta né uno sbiadito interprete delle vicende vaticane, non sono un cronista né un narratore, non sono un inviato speciale; avrei pagato per essere quel gabbiano che, ignaro e libero, si poggia sull’estrema propaggine della cassa armonica dalla quale stanno per risuonare i destini della Chiesa, sposa mirabile ma non sempre infallibile di un Cristo spesso dimenticato da un credente tormentato dal dubbio e confuso da modelli e riferimenti sovente scialbi ed incapaci di (ri)condurlo al pozzo di Sicar per fargli gustare, ancora una volta e pienamente, la bellezza di un Amen!
Non ho titoli, né meriti, per propormi quale indagatore di accadimenti e storie che hanno interessato Francesco, Sommo Pontefice di Santa Romana Chiesa, e che ne hanno orientato il suo cammino di uomo; in molti lo faranno con dovizia di particolari, ed in molti si accaniranno nel tentativo di cercare oscurità nella sua vita sin qui trascorsa. Verranno fuori prossimità e frequentazioni non ortodosse, amicizie e simpatie non sempre specchiate come se anche Cristo non avesse frequentato pubblicani e prostitute! Francesco, prim’ancora d’indossare il pallio e di portare l’anello piscatorio, prim’ancora di farsi interprete primo del magistero della Chiesta, prim’ancora d’essere ordinato Vescovo e pastore del popolo di Dio, prim’ancora d’indossare la talare e d’essere ammesso al sacro presbiterato…prima di tutto ciò Francesco era ed è un uomo. Un uomo che ogni giorno vede sorgere il sole e che rende grazie a Dio perché ogni giorno continua a concederglielo, un uomo che ogni giorno deve combattere con le proprie paure e con le proprie fragilità, un uomo che ogni giorno si chiede se il passo che sta per compiere sia davvero quello giusto, un uomo che ogni giorno probabilmente avrebbe voglia di fare qualcosa di diverso da ciò che è chiamato a fare, un uomo che ogni giorno coltiva speranze e vede infrangersi sogni, un uomo che ogni giorno guarda il cielo certo di potervi scorgere il volto di Dio nel continuo rincorrersi delle nuvole.
Francesco è un uomo come me, come ciascuno di noi, un uomo come quel Francesco d’Assisi che si dispera perché non riesce ad essere figlio di Dio come pur vorrebbe.
Una figura timida, sorpresa perfino di trovarsi su quella Loggia, assorta in uno sguardo che si perde nello spazio sconfinato di quella meravigliosa Piazza che lo avvolge col caldo abbraccio del suo colonnato e lo sostiene con gli occhi lucidi delle migliaia dei fedeli liberamente accorsi a salutare il nuovo Papa; l’accento imprevisto sulla figura del Vescovo di Roma che non esiterà a chiedere l’ausilio del suo Vicario mi richiama subito l’idea di una “normalità” cui forse non ero (eravamo) più abituato. La simpatia e l’affetto per i confratelli che sono andati a cercarlo fin verso la fine del mondo e lo stupore di ritrovarsi nel ruolo di guida suprema di più di un miliardo e mezzo di fedeli sono la cifra di un “uomo” che sa farsi certamente “simil cum similes”; nessun distacco ieratico ed austero.
La sommessa e quasi timorosa richiesta di pregare per lui, quel suo rivolgersi alla Chiesa di Roma perché interceda con la preghiera per il suo Vescovo, inaspettatamente chiamato a guidarla nei marosi della modernità ed inaspettatamente sottratto al suo ruolo di pastore in terra lontana. Quel capo chino davanti al mondo della cristianità quasi a dire “fiat mihi secundum voluntas tua”, ripercorrendo idealmente il totale abbandono di Maria alle parole dell’Angelo. Quel togliersi la stola solo, senza aspettare la premura del cerimoniere, quasi a voler simboleggiare il desiderio di una Chiesa senza orpelli e riverenze, di un Pontificato che inizia dalla manifestazione di un’idea di generosità e di gratuità come espressioni di libertà, di un Papa che vuol servire il suo grebbe più che farsi servire da esso.
E poi, ancora…la mitezza di un eloquio calmo e senza affanni, seppur visibilmente emozionato, il sorriso discreto, accogliente e benedicente; Francesco come Paolo VI, Francesco come Giovanni Paolo I, Francesco nel solco di una Chiesa che continua a camminare ma che vuol farlo nella piena consapevolezza dei suoi limiti.
Francesco, primo gesuita successore di Pietro, uomo di preghiera e di azione, esattamente secondo lo stile di S.Ignazio di Loyola mirabilmente richiamato in quelle poche parole proferite in questa sua prima apparizione. Francesco, felice espressione e paradigma della semplicità orante che inizia con un Padre Nostro e termina con un Ave, Maria!
Francesco, sia tu benedetto! Prenditi cura della creatura che oggi lo Spirito Santo ha affidato alle tue mani e non esitare a prendere il largo nel mistico lago di Tiberiade per farti ancora pescatore di uomini.
Francesco, ad majorem gloriam Dei, in hoc signo vinces!