“Nella mia messa in scena ho cercato di seguire la verità di Verdi, con l’obbiettivo di mettere in risalto tutti i segnali che ci manda, che rimangono di un’attualità impressionante. Non vedo alcun motivo di trasportare l’azione ai giorni nostri. Infatti, è proprio grazie all’ambientazione originale che possiamo suggerire una riflessione tra passato e presente, anche per riconoscere quali problemi sociali sono rimasti gli stessi, e magari pensare a come cambiare”. Così scrive nelle note di regia allegate al programma di sala Leo Nucci, creatore dell’allestimento di Un ballo in maschera andato in scena al Teatro Carlo Felice di Genova. Una coproduzione, questa, con i teatri di Piacenza, Ravenna e Ferrara, fedelissima alle indicazione del libretto di Antonio Somma e, proprio per questo, accolta con grandissimo favore anche dal pubblico del teatro ligure. In un’epoca di continue “attualizzazioni” dei capolavori del melodramma, spesso a opera di registi geniali quanto presuntuosi ed egocentrici, la versione affettuosa e un po’ fané di Nucci rischia di passare per coraggiosa e anticonvenzionale. Le belle scene, a firma di Carlo Centolavigna, ricordano un poco quelle delle storiche figurine Liebig, efficacissime nel ricreare l’ambientazione d’epoca, e colpisco nel segno soprattutto nel primo e nel secondo atto (dove finalmente vediamo l’orrido campo voluto da Verdi) anche se peccano un poco di ingenuità nella scena del ballo finale. Lo stesso può dirsi dei costumi, fastosi e ricercati, di Artemio Cabassi, enfatizzati dalle efficaci luci di Claudio Schimd.
Fra le opere di Giuseppe Verdi questa è forse la più folle e atipica. In Un ballo in maschera il grottesco e il drammatico, l’ironico e il sentimentale, si intrecciano in incantevole equilibrio, raramente attinto da altri compositori, mai cercato e ottenuto da Verdi nelle altre sue opere. Si è spesso fatto del sarcasmo sui versi del libretto di Antonio Somma, giudicato sciocco e insensato, ma versi quali “Sento l’orma de’ passi spietati” o “La rivedrà nell’estasi raggiante di pallore” sono invece di una modernità sconcertante nel loro antinaturalismo e furono tradotti magistralmente in musica dal compositore di Busseto. Tenere in equilibrio le varie componenti dell’opera è compito arduo per il direttore d’orchestra. Purtroppo raramente, dal vivo o in incisioni discografiche, questo connubio fra dramma e farsesca leggerezza, viene scandagliato con sagacia. Generalmente si tende a privilegiare il lato drammatico e cupo della partitura, trascurandone la dimensione “offenbachiana”. Donato Renzetti, che dirige l’opera a Genova, non sfugge a questa regola. Abbiamo così un’ottima introduzione all’atto di Ulrica e a tutta la scena in casa di Renato nel terzo atto, ma anche interventi del paggio Oscar ben poco frizzanti e spumeggianti e una chiusura del primo atto (il celebre “Ogni cura si doni al diletto”) non esattamente travolgente.
Verdi concepì per quest’opera il suo ruolo tenorile più complesso, cangiante e vitale, in grado di aureolare di gloria e fanatismo i tenori capaci di interpretarlo: Beniamino Gigli, Carlo Bergonzi e, soprattutto, Luciano Pavarotti legarono indissolubilmente la loro fama alla parte di Riccardo. Oggi Francesco Meli, protagonista al Carlo Felice, è considerato interprete di riferimento del ruolo. Il bravo tenore genovese esegue alcuni passaggi in modo magistrale (la Canzone “Di’ tu se fedele”, il finale dell’atto secondo, il “Non sai tu che se l’anima mia” del duetto d’amore) mentre in altre deve un poco forzare emissione e fraseggio, a discapito del bel timbro che possiede. Tutta la scena della morte lo trova comunque interprete eccelso e in grado di reggere i più temibili confronti. Carmen Giannattasio, nel ruolo di Amelia, inizia male con un “Consentimi, o Signore” faticoso e sforzato. Prende quota negli atti successivi ed esegue molto bene “Morrò, ma prima in grazia”. Anna Maria Sarra è un paggio Oscar dalla voce un po’ piccola, ma corretto e piacevole, mentre Roberto de Candia tratteggia un Renato capace di chiaroscurare efficacemente la sua bellissima aria “Eri tu che macchiavi quell’anima”. Marina Ermoleva, che prevista nel secondo cast sostituiva la titolare Agostina Smimmero, non ha nulla del ruolo di Ulrica: né le note gravi (da vero contralto) né gli acuti. Canta, inoltre, in un italiano assolutamente incomprensibile. Coro e orchestra genovesi in buona forma. Comprimari appena accettabili.
Teatro Carlo Felice – Stagione 2022/23
UN BALLO IN MASCHERA
Melodramma in tre atti
Libretto di Antonio Somma
da Gustave III ou Le bal masqué di Eugène Scribe
Musica di Giuseppe Verdi
Riccardo Francesco Meli
Renato Roberto de Candia
Amelia Carmen Giannattasio
Ulrica Maria Ermolaeva
Oscar Anna Maria Sarra
Silvano Marco Cmastra
Samuel John Paul Huckle
Tom Romano Dal Zovo
Un giudice Giuliano Petouchoff
Un servo di Amelia Claudio Isoardi
Orchestra, Coro e Tecnici dell’Opera Carlo Felice Genova
Direttore Donato Renzetti
Maestro del coro Claudio Marino Moretti
Regia Leo Nucci
Scene Carlo Centolavigna
Costumi Artemio Cabassi
Luci Claudio Schmid