Giorgio Napolitano è stato uno dei più ragguardevoli protagonisti della storia repubblicana. Importantissima figura del Partito Comunista Italiano prima e della seconda repubblica poi, ha avuto una biografia complessa che riflette bene il percorso della sinistra italiana e snodi ancora irrisolti del nostro Paese.
La carriera– Nato a Napoli il 29 giugno 1925, è figlio di un colto poeta e avvocato liberale e di una nobile con ascendenze piemontesi. Di formazione umanistica, si laurea in giurisprudenza con una tesi sul mancato sviluppo del mezzogiorno ma si interessa prevalentemente nei sui anni giovanili di letteratura e teatro. Amico di intellettuali, attore di prosa e critico teatrale per periodici fascisti, nel 1945 aderisce al Pci. Ottiene da subito la stima di Togliatti che lo nomina dirigente del partito a Napoli e nel 1953 lo candida alla Camera. Sarà quasi ininterrottamente parlamentare fino 1996. Eurodeputato per diversi anni, è Presidente di Montecitorio dal 1992 al 1994 e poi ministro degli Interni nel governo Prodi dal 1996 al 1998. Ciampi lo nomina senatore a vita nel 2005, l’anno dopo diviene Presidente della Repubblica. E’ il primo ad essere rieletto nel 2013 e nel momento in cui si dimette dal suo mandato, nel gennaio del 2015, è il Capo di Stato più anziano d’Europa.
Nel Pci– Uomo di profonda cultura umanistica e giuridica , riesce ad affermarsi come uno dei massimi dirigenti del Partito Comunista Italiano, che allora selezionava i suoi capi in maniera durissima tenendo in particolare conto della disciplina. Gli incarichi affidati riflettono la sua ricca preparazione. Negli anni si occuperà di scuola, lavoro, economia, relazione internazionali e cultura. E’ lui , padrone delle lingue e forte anche di relazioni personali, che negli anni 80 compie una serie di conferenze in prestigiose università americane e ottiene la stima persino di Kissinger che lo definisce “ il mio comunista preferito”. E’ sempre Napolitano il politico-intellettuale scelto dal partito come coautore di un libro importante tradotto in più lingue “ Intervista sul PCI ” dove rivolge domande al grande storico marxista Eric Hobsbawm.
Il “migliorista”-Appartiene all’area dei “ miglioristi” di cui capo è un altro importante napoletano figlio di un liberaldemcoratico antifascista, Giorgio Amendola. La sua corrente, sempre seconda come consensi rispetto a quella dei segretari, ha una linea riformista ovvero più attenta al rapporto con il partito socialista, pragmatica, spietatamente realistica. Nel 1956 in occasione dei fatti di Ungheria non esita a polemizzare con chi sostiene la causa degli insorti difendendo l’intervento dell’armata rossa. Il suo comunismo tuttavia per quanto “ severo e ortodosso” è revisionista. La corrente di cui diventa il capo crede in una sinistra lucida, attenta ai rapporti di forza, che deve concentrarsi sulle cose concrete nella convinzione che nulla sia facile e automatico e che le conquiste per i lavoratori debbano anche essere frutto della capacità di saper leggere gli eventi e di adeguarvisi in maniera opportuna e all’occorrenza graduale.
Diventa convinto sostenitore della democrazia liberale, atlantista e europeista. Riesce a far eleggere per il suo partito Altiero Spinelli al parlamento europeo ma al tempo stesso denuncia i limiti di un’ acritica adesione della lira allo SME riflettendo soprattutto sulle conseguenze a scapito della “ classe lavoratrice”. Nelle sue memorie si scusa per la posizione assunta in occasione dei fatti di Ungheria e già nel 1979 condanna a nome del PCI e in contrasto con il suo maestro ed ex leader Amendola , l’invasione sovietica dell’Afghanistan.
Pur stimando Berlinguer , non è un berlingueriano. Critica l’alleanza con la democrazia cristiana a cui preferirebbe invece quella con il Psi . Non sopporta il moralismo a cui contrappone invece la creazione di una grande forza socialista incentrata sulla difesa del mondo del lavoro, capace di guardare l’Occidente.
Uomo delle istituzioni e Presidente della Repubblica-Dà prova del suo senso dello stato quando da Presidente della Camera impedisce alla guardia di finanza di entrare in parlamento per acquisire dati contabili o quando da ministro degli interni prova a redigere la legge per regolare l’immigrazione con criteri di governo invece che seguendo passivamente gli isterismi di Sant’Egidio e delle Ong. Nei primi anni del suo mandato presidenziale è accusato dai più di essere debole e accondiscendente con Berlusconi. Lo si ricorda abbastanza dimesso e incolore in occasione della finale dei mondiali poi i primi scontri istituzionali con il governo per il caso Englaro e il suo ruolo che si fa crescente in occasione della crisi che si apre con la guerra di Libia e prosegue con quella legata ai titoli di stato. E’ lui il regista del governo Monti ed è sempre lui che viene rieletto Presidente quasi all’unanimità per un secondo mandato con il voto dello stesso leader che aveva contribuito a disarcionare dal potere.
Il politico -Nonostante certa stampa, che prova a trasformarlo in un’ ayatollah , Napolitano ha sempre avuto doti e a mio avviso limiti. Uomo ponderato, all’occorrenza risoluto, il vecchio capo dei “miglioristi” ha saputo mostrare assoluta lucidità e fermezza in un momento di bufera. Che le sue scelte poi siano state giuste è altro discorso. Sobrio, preparato, colto e autorevole, Napolitano spiccava per stile persino nella Prima Repubblica. Laico coerente, i suoi funerali si svolgeranno in forma civile, era un uomo onesto che ha concepito il servizio della cosa pubblica come missione di vita, difendendo sempre le istituzioni e il primato della politica. Il suo maggior pregio è stato la capacità di leggere i tempi per adeguarvi nella misura del possibile le sue idee. A sinistra ideologicamente ma conservatore nella concezione del potere, il suo più grande limite è legato invece alla concezione passiva dei rapporti di forza in particolare di quella altrui. Pur a capo di un’ Italia diversa rispetto a quella di Sigonella , il custode degli equilibri non ha mai indicato strade concrete con cui innovarli. Per quanto giuste le sue scelte su Nato, Europa, razionalità economica, i suoi erano punti di partenza non di arrivo. Il tema della sovranità nazionale e di tutto ciò che essa implica durante la sua presidenza comincia a sparire dall’agenda politica. Così è per il ruolo dell’Italia nell’Unione o in occasione della crisi di Libia e della bufera sui titoli di stato. Probabilmente Napolitano con gli anni ha perso il contatto con quella che nel suo partito chiamavano la “ base “ . I problemi del lavoro, la vita reale, le difficoltà concrete di un Paese duramente compromesso nella sua possibilità di sviluppo a causa anche di un europeismo passivo e dell’incapacità di concepirsi attivamente potenza occidentale. Il suo mondo politicamente correttissimo era al tempo stesso lontano dall’Italia reale e totalmente incapace di fornire soluzioni ai problemi al di là di qualche parola d’ordine tra le quali la gettonatissima “ più Europa”. Politico concreto ma al tempo stesso di apparato, capace di comprendere le conseguenze dello SME ma al tempo stesso di elogiare i carri armati sovietici , probabilmente nella seconda parte della sua vita questa sua seconda natura da custode passivo più che da statista propositivo ha avuto la meglio. Resta un interrogativo suggestivo. Con lui segretario del Pci al posto di Natta e Occhetto cosa sarebbe successo? Probabilmente non avremmo avuto Tangentopoli e Craxi avrebbe portato avanti la sua politica tesa a trasformare l’Italia in un paese più simile alla Francia di Macron che all’Argentina di Menem.